Cinque armi usate per la pace

Pedro Reyes al lavoro su una delle sue creazioni (foto dal blog dell'artista)
Pedro Reyes al lavoro su una delle sue creazioni (foto dal blog dell'artista)

Questo sito, lo sapete bene, si occupa di cose belle o quantomeno interessanti. La guerra e le armi, soprattutto quelle moderne e vicine a noi, non dovrebbero avere quindi diritto di cittadinanza, legate come sono a lutti, violenze e drammi che per fortuna, almeno qui in Italia, ci toccano solo di striscio.

A volte però le armi possono assumere anche una valenza positiva, ed è proprio di questo che vogliamo parlarvi oggi: è possibile riutilizzare o riciclare fucili e pistole per farne strumenti d’uso pacifico? Per ricavarne delle opere d’arte? Per renderle utili all’umanità, per dare un messaggio positivo?

Qualcuno, in giro per il mondo, c’ha provato. Vediamo insieme quali sono state finora le soluzioni migliori, le più curiose e le più interessanti.

 

1. Sedie fatte coi fucili

La Cambogia ha avuto, negli ultimi cinquant’anni, una storia fragile e martoriata.

Coinvolta nella guerra del Vietnam prima dalle faide interne e poi dall’intervento diretto, governata brevemente dal sanguinoso regime dei Khmer Rossi, invasa poi dal Vietnam e solo dal 1997 sostanzialmente pacificata, ha vissuto decenni di morte e distruzione talmente intensi e drammatici che si calcola che sia il paese col maggior numero di vittime in rapporto alla popolazione.

Sedia ricavata dalle armi

Dopo tutto questo, com’è possibile tornare alla normalità? È una domande che si devono essere posti frequentemente i primi amministratori chiamati a guidare la ricostruzione. Una delle risposte che hanno dato è particolarmente interessante e si chiama PAPC, acronimo che sta per Peace Art Project Cambodia.

L’arredamento derivato dalle armi

Il progetto, varato nell’ottobre 2003, si proponeva di riutilizzare le migliaia di armi ancora presenti sul territorio cambogiano per creare, letteralmente, “arte di pace”, cioè oggetti che servissero a veicolare un messaggio di rifiuto della guerra.

Come si può vedere dalle foto qui di fianco, si è andati perfino oltre, cercando di creare oggetti dall’utilità pratica, in particolare mobili. I lavori più frequenti riguardano sedie, poltrone e divani, ma non mancano i tavolini, le librerie e perfino una bicicletta.

Una bicicletta ricavata dalle armi

Le opere sono state realizzate da studenti cambogiani dietro l’aiuto e la direzione di insegnanti perlopiù europei. Tra i professori, anche la britannica Sasha Constable (una discendente del celebre paesaggista romantico John Constable).

 

2. Musica di guerra

Non serve andare in zone martoriate da anni di guerra civile per trovare le armi. Spesso sono anche nelle nostre città, o a pochi passi da noi.

In Messico, ad esempio, esiste una metropoli da un milione e mezzo di abitanti di nome Ciudad Juarez che si trova esattamente di fronte alla statunitense El Paso, a un passo sostanzialmente dal benessere e dal sogno americano.

Eppure Ciudad Juarez è la città col più alto tasso di criminalità al mondo, ben superiore alla famigerata Caracas così spesso citata negli spot televisivi. Una criminalità, quella di Ciudad Juarez, legata in grande misura al narcotraffico, con decine di omicidi ogni mese, sparatorie, ferite.

Far suonare le pistole, ma senza usare pallottole

Il quarantunenne artista messicano Pedro Reyes, uno dei più stimati della sua generazione, ha deciso di dare spazio, nelle sue opere, al tentativo di esorcizzare questa violenza e virarla verso la poesia, l’arte, la bellezza.

Leggi anche: Cinque frasi sulla pace nel mondo adatte ai bambini

In due diverse occasioni – prima nel 2012 col progetto Imagine e poi nella seconda parte del 2013 con Disarm – Reyes ha deciso di riutilizzare armi da fuoco provenienti dalle bande messicane per costruire degli strumenti musicali, nei primi tentativi più rudimentali e poi via via sempre più perfezionati, grazie anche alla collaborazione con musicisti professionisti e con sviluppatori di software.

Gli ultimi suoi lavori, come si può ammirare anche nel video qui di seguito, consistono quindi addirittura nella realizzazione di strumenti che si suonano da soli (tramite il coordinamento di un computer) e per questo danno un’esperienza artistica completa senza l’intervento di esseri umani.

 

3. Carri armati come trattori

Durante i periodi di guerra è abbastanza comune, per le industrie, essere riconvertite a scopi bellici: le industrie chimiche lasciano da parte i farmaci di consumo e cercano di supportare le truppe al fronte e la popolazione civile con più precisi medicinali, le industrie automobilistiche si concentrano sui camion, le industrie siderurgiche diventano di armamenti.

In alcuni casi, però, il percorso può essere fatto anche al contrario, come è accaduto qualche anno fa in Ucraina: con la caduta dell’Unione Sovietica e l’indipendenza acquisita, molti dei vecchi armamenti dell’esercito rimasero inutilizzati e iniziarono ad essere svenduti sul mercato.

Un tipico carro armato sovietico

Un gruppo di contadini della città galiziana di Ternopil’, così, decise di acquistare un tank e riconvertirlo, togliendo la parte armata e aggiungendoci una grande pala, in un trattore (che costava, all’epoca, tre volte il prezzo pagato per il vecchio carro armato sovietico).

La fine dei tank sovietici

L’iniziativa, notata dalla TV ucraina e poi riportata in Occidente dalla BBC, destò a suo tempo l’interesse anche del Ministro della Difesa ucraino, che incoraggiato dall’idea dei contadini decise di riconvertire la vecchia fabbrica di carri armati di Lviv in una fabbrica in cui si trasformavano tank in trattori.

Un trattore d'artiglieria sovietico

Nel giro di pochi mesi ne furono prodotti una cinquantina di esemplari, ma l’esperimento è naufragato rapidamente, da un lato per le difficoltà del governo ucraino di pagare poi i trattori, dall’altro per il fatto che – come si è scoperto troppo tardi – un vecchio carro armato sovietico costerà pur meno di un nuovo trattore, ma consuma molto più carburante.

 

4. Testate nucleari per la corrente di casa

Le conseguenze del disarmo della vecchia Unione Sovietica non si fermano però ad arrugginiti carri armati. Il problema più grosso, anzi, agli inizi degli anni ’90 erano le testate nucleari che il paese aveva prodotto per decenni, in antagonismo con gli Stati Uniti, e che ora virtualmente non servivano più – né era facile smaltirle.

Da questi presupposti nel 1993 fu firmato un accordo da una parte dalla USEC, la United States Enrichment Corporation, e dall’altra dalla Techsnabexport, ognuna agendo per conto del proprio governo (rispettivamente americano e russo), per vendere le testate nucleari agli Stati Uniti e riconvertirle ad uso civile.

Il logo dell'iniziativa Megatons to Megawatts

In vent’anni di attività (lo smaltimento si è proprio appena concluso), la USEC ha così sviluppato il progetto Megatons to Megawatts, tramite cui l’uranio delle testate sovietiche veniva riciclato e diluito in uranio impoverito che poteva essere usato per alimentare le centrali nucleari americane e quindi produrre energia elettrica.

In tutto sono state eliminate l’equivalente di 20mila testate nucleari sovietiche, sviluppando così circa il 10% dell’intera energia consumata negli Stati Uniti in questo ventennio.

 

5. La parola alle armi

Concludiamo con una notizia che proviene da Seattle ed è datata maggio 2013. Anche qui, come nel caso di Ciudad Juarez l’intento è da un lato pedagogico, dall’altro artistico – anche se non coinvolge professionisti.

I fatti: nel gennaio dello scorso anno la polizia di Seattle fece una retata che portò al sequestro di una partita di ben 700 fucili e armi da fuoco.

Leggi anche: Cinque straordinari film sul carcere

Normalmente queste armi vengono distrutte, ma circa un mese prima l’America era stata scossa dai fatti di Newtown in Connecticut, dove il ventenne Adam Lanza aveva ucciso 20 bambini (più altri adulti) di una scuola elementare sparando con le armi della madre.

Seattle ricorda i bambini del Connecticut

Il sindaco democratico di Seattle, Michael McGinn, decise quindi di dare un segnale, coinvolgendo le scuole elementari della città e lanciando il programma Weapons to Words.

In pratica le armi da fuoco, con la collaborazione di una locale acciaieria, sono state fuse in modo da plasmare delle placche che poi saranno appese nei parchi cittadini, con incise sopra delle frasi scritte dai bambini riguardo alla violenza delle armi e come questa li colpisca.

L'ormai ex sindaco di Seattle Mike McGinn (foto di Joe Mabel via Wikimedia Commons)
L’ormai ex sindaco di Seattle Mike McGinn (foto di Joe Mabel via Wikimedia Commons)

Le frasi, inviate direttamente all’ufficio del sindaco, sono state scelte lo scorso settembre dall’Ufficio delle Arti e della Cultura cittadino e verranno presto appese in città.

 

Segnala altri interessanti usi pacifici delle armi nei commenti.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here