Cinque consigli su cosa vedere a Milano

Piazza del Duomo a Milano con la facciata della cattedrale e l'ingresso di Galleria Vittorio Emanuele II

Ogni grande città ha una sua natura, imprescindibile, che deriva dalla storia: semplificando – ma neanche troppo – si potrebbe dire che o è viva o è morta, o è industriosa o è dedita ai divertimenti, o è proiettata nel futuro o vive delle glorie passate.

Rari sono i casi in cui questa doppia natura riesce a convivere in una medesima città: forse solo Londra, infatti, sembra essere un’eccezione convincente; per il resto, in un modo o nell’altro, una delle due caratteristiche prevale.

E se tutto questo è vero, Milano è sicuramente da annoverare tra le città industriose, vitali e proiettate verso il futuro. Centro della finanza e del mondo economico che conta, il capoluogo lombardo ha sempre dato di sé l’immagine di una metropoli che lavora – a volte fino allo sfinimento – più che di una città bella. Ma è davvero così? Milano è solo una città in cui lavorare, correre e far soldi? O ha anche lei una sua bellezza e attrattiva turistica?

Noi – e in questo non siamo certo gli unici – pensiamo che Milano non sia solo ciò che appare a un primo sguardo e abbia notevoli bellezze da scoprire e riscoprire: iniziamo ad analizzare quali tramite la nostra lista di cinque consigli su cosa vedere a Milano.

 

Il Duomo

Una costruzione edificata in cinquecento anni

Tra tutte le cattedrali gotiche esistenti in Europa, sicuramente il Duomo di Milano, pur eterogeneo nella sua costruzione, merita un posto di riguardo: quarta cattedrale europea per estensione (dopo San Pietro a Roma, la St. Paul’s Cathedral di Londra e la cattedrale di Siviglia), la chiesa ebbe una costruzione lunghissima, come spesso accadeva per edifici così importanti e costosi.

Dal tardogotico al neogotico

Avviata nel 1386 secondo i dettami del tardogotico, fu completata infatti solo nel 1892, dopo più di cinquecento anni e dopo esser passata attraverso vari stili architettonici, concludendosi tra l’altro con un ritorno quasi circolare al gotico nella forma del neogotico.

Per questo è difficile se non impossibile individuare la mano di un solo artista e committente, anche se di sicuro ebbero un ruolo importante personalità come quelle di Gian Galeazzo Visconti, che per primo volle un progetto ambizioso in grado di far rivaleggiare Milano con le grandi capitali europee che in quegli anni si stavano plasmando, ma anche Carlo Borromeo, che nel Cinquecento diede una decisa spinta all’avanzamento dei lavori, mentre sul versante della direzione e dei progetti bisogna ricordare almeno Enrico di Gmund e Jacques Coene nel Trecento, Antonio Amadeo e Pellegrino Tibaldi nel Cinquecento, Francesco Croce nel Settecento, Giuseppe Zanoia e Carlo Amati nell’Ottocento.

La Madunina

Già ben prima del completamento dei lavori, comunque, il Duomo divenne il simbolo del capoluogo lombardo e dell’intera regione: le sue dimensioni mastodontiche, le sue guglie elaboratissime e soprattutto la sua Madunina in rame dorato, che vi fu issata nel 1774, rappresentano uno degli esempi più alti di come l’arte possa acquisire un valore popolare e in un certo senso cittadino pur nella difficoltà di lavori così prolungati e basati su stili non semplici né di immediata comprensione per l’uomo della strada.

 

La Galleria Vittorio Emanuele II

Il salotto buono di Milano

Proprio di fianco a Piazza Duomo si staglia un altro dei monumenti più importanti di Milano che, seppure meno rilevante dal punto di vista architettonico, ne rappresenta comunque uno dei simboli più famosi: la Galleria Vittorio Emanuele II.

In ferro e vetro

Il complesso di per sé è il tipico frutto della seconda metà dell’Ottocento: in una struttura progettata dall’architetto romagnolo Giuseppe Mengoni, si inserivano in maniera eclettica vari elementi tra loro anche poco coerenti, come lunette, lesene, cariatidi, a realizzare una galleria commerciale che, nelle intenzioni originarie, doveva premiare quel fenomeno di urbanizzazione di cui Milano era stata protagonista in quei decenni. Costruita in ferro e vetro, la struttura infatti riprendeva alcuni degli stilemi maggiormente in voga nel periodo, ispirandosi al Crystal Palace londinese e ponendosi perfettamente all’interno dell’esaltazione del progresso borghese che anche la dedica a Vittorio Emanuele, unificatore del regno d’Italia, serviva ulteriormente a sottolineare.

Di per sé, però, oggi la galleria è ben poco nota per i suoi pregi architettonici, quanto piuttosto come elegante sede dello shopping milanese: unendo Piazza Duomo a Piazza della Scala, la galleria si pone infatti in una posizione centralissima, e soprattutto fin dall’inizio al suo interno ha ospitato alcuni dei più importanti negozi della moda milanese, assumendo un ruolo di preminenza esaltato anche dagli artisti (Umberto Boccioni la rappresentò nel 1910 in Rissa in galleria) e perfino dagli attentatori, visto che nel 1919 un anarchico esplose mentre cercava di introdurre una bomba all’interno del caffè Biffi.

L’ottagono

Particolarmente significativo, infine, è l’ottagono centrale, il cui pavimento a mosaico presenta al centro lo stemma dei Savoia e attorno ad esso gli stemmi delle quattro città che sono state capitali del Regno d’Italia, cioè Milano (che lo divenne con Napoleone), Torino (con lo stemma del toro, sopra al quale porta fortuna girare per tre volte col tallone del piede destro fermo sui genitali dell’animale), Firenze e Roma; nelle lunette attorno alla volta sono infine raffigurate le allegorie dei quattro continenti.

 

Il Castello Sforzesco

Il tentativo dei duchi e i bombardamenti degli austriaci

Spostiamoci ora un po’ più a nord rispetto al centro religioso della città e avviciniamoci al Castello Sforzesco, edificato a partire dal XV secolo da Francesco Sforza, capitano di ventura che era succeduto a Filippo Maria Visconti alla guida della città e aveva di fatto fondato una nuova dinastia.

Per porre Milano in vetta all’Europa

Il castello, costruito sui resti di una precedente fortificazione, visse il suo periodo di massimo splendore tra il Cinquecento e il Seicento, quando, oltre che residenza dei signori di Milano o comunque delle forze militari che la controllavano, era anche una delle cittadelle fortificate più grandi e belle d’Europa, con solo il castello Het Steen di Anversa in grado di tenerle testa. D’altronde, l’intenzione degli Sforza era quella di riposizionare Milano al vertice non solo della Lombardia, ma anche di tutta l’Italia del nord, riprendendo il discorso interrotto con Gian Galeazzo Visconti che voleva la città meneghina al pari delle capitali degli altri stati nazionali che stavano sorgendo in quel periodo.

Nel corso del tempo, però, il castello ha subito parecchi rimaneggiamenti, in parte dovuti all’usura del tempo, in parte a vicissitudini storiche che non hanno certo risparmiato l’edificio: il caso più celebre è costituito dalla Torre del Filarete, che, costruita a metà del Quattrocento proprio dal celebre sculture e architetto fiorentino, saltò letteralmente in aria nel 1521 quando un soldato francese lasciò scoppiare inavvertitamente una bomba all’interno di quella che era stata trasformata in un deposito di armi; fu infatti solo dopo l’Unità d’Italia che l’architetto Luca Beltrami poté ricostruirla, basandosi su alcuni disegni d’epoca e soprattutto sull’esempio di altre costruzioni coeve.

Radetzky e le Cinque giornate

Ma il rapporto della città di Milano col castello è stato per molto tempo un rapporto non certo idilliaco: dopo il tramonto delle ambizioni degli Sforza e l’assoggettamento della città alle varie potenze straniere, il Castello Sforzesco divenne infatti la sede principale delle guarnigioni d’occupazione, che non mancarono a volte anche di bombardare la città direttamente dalle sua mura, come accadde col maresciallo Radetzky durante le celebri Cinque giornate di Milano. Fu anche per questo che, con il passaggio ai Savoia, il castello fu invaso dalla popolazione, che lo saccheggiò ripetutamente, chiedendone anche l’abbattimento.

La fortezza comunque oggi ospita anche importanti musei, come la Pinacoteca (con dipinti del Tiepolo, di Mantegna, di Canaletto e di altri), il Museo egizio, il Museo d’arte antica (con la Pietà Rondanini di Michelangelo), il Museo degli strumenti musicali, il Museo del mobile ed altro ancora.

 

La Pinacoteca di Brera

Da duecento anni, la storia della pittura italiana

Dopo aver visto alcune opere d’arte o comunque parti importanti dell’architettura milanese, spostiamoci ora al chiuso per concludere il nostro percorso con la Pinacoteca di Brera, certamente il più significativo e visitato museo milanese, e con la celeberrima Ultima cena (o Cenacolo) di Leonardo da Vinci.

Il ruolo di Napoleone

Per quanto riguarda la Pinacoteca è degno di nota, prima di tutto, il palazzo di Brera, che ospita non solo la raccolta di quadri ma anche il famoso Osservatorio, l’Accademia di Belle Arti, la Biblioteca Nazionale ed altre istituzioni: costruito nel Cinquecento a partire da un antico monastero degli Umiliati, fu completato verso la fine del Settecento dagli austriaci, che qui – in piena epoca di dispotismo illuminato – istituirono l’Accademia di Belle Arti. Dopo un avvio stentato, quest’ultima cominciò a fiorire grazie alla discesa di Napoleone in Italia: man mano che i francesi abolivano gli ordini ecclesiastici e requisivano i beni al clero, molte delle collezioni d’arte finivano infatti nelle mani dell’Accademia, che accumulò un discreto numero di quadri, solo in parte restituiti dopo la caduta di Napoleone.

Aperta ufficialmente nel 1809, proprio in occasione del compleanno di Napoleone, la Pinacoteca ha attraversato tra alti e bassi tutta la storia di Milano nell’Ottocento e nel Novecento, con le opere che venivano messe al sicuro in occasione delle due Guerre Mondiali, con chiusure temporanee dovute al calo dei fondi, con mostre temporanee che hanno cercato di riportare alla luce anche il grande catalogo di dipinti che per la maggior parte del tempo si trovano nel deposito, lontano dalla vista dei visitatori.

Le opere e gli artisti

Dedicato quasi esclusivamente alla pittura – fa eccezione la celebre statua di Antonio Canova che ritrae Napoleone –, contiene opere di Donato Bramante, Gentile da Fabriano, Jacopo Bellini, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Tiziano, Tintoretto, Veronese, Leonardo da Vinci, Dosso Dossi, Correggio, Piero della Francesca, Raffaello, i Caracci, Caravaggio, Pieter Paul Rubens, Antoon van Dyck, Giambattista Tiepolo, Canaletto, Francesco Hayez, Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza da Volped, Umberto Boccioni, Giorgio Morandi, Carlo Carrà, Filippo De Pisis, Pablo Picasso, Amedeo Modigliani e tanti altri autori, in un percorso che si dispiega dal gotico fino al Novecento.

 

Il Cenacolo di Leonardo

Il monumento milanese a cui è più difficile accedere

Concludiamo, come anticipato, con l’unico luogo in cui troverete una qualche difficoltà d’accesso e in cui è anzi obbligatorio prenotare la visita online con un certo anticipo: il Cenacolo di Leonardo da Vinci, visitato ogni anno da quasi mezzo milione di turisti provenienti da tutto il mondo. Un vero record se si considera che il luogo occupa l’undicesimo posto della graduatoria nazionale per numero di visitatori, quando presenta una sola opera contro le centinaia degli altri musei che compaiono nella stessa classifica.

Uno dei simboli del Rinascimento

Realizzato negli ultimi anni del Quattrocento, il dipinto di Leonardo è conservato in quello che era il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie ed è importantissimo per vari motivi: in primo luogo, perché si tratta della più celebre rappresentazione dell’ultima cena di Gesù Cristo, tale da essere divenuta uno dei simboli dell’intero Rinascimento italiano e di tutta la storia della pittura; in secondo luogo, per le condizioni in cui fu realizzato ed in cui è conservato ormai da parecchi anni.

Leonardo, infatti, come abbiamo spiegato anche altrove era solito sperimentare nuove tecniche per realizzare i suoi affreschi, anche a causa della sua lentezza nella realizzazione delle opere, che non gli consentiva di sfruttare gli strumenti che venivano adoperati normalmente dai colleghi; qui, in particolare, utilizzò delle tempere grasse frammiste probabilmente a vari olii, ottenendo un risultato che nel corso del tempo – anche a causa dell’umidità propria di un refettorio e del fatto che la parete era esposta a nord – si è notevolmente deteriorato, mettendo seriamente a rischio la sopravvivenza dell’opera.

Il restauro

Un lungo e preciso restauro, portato avanti tra il 1978 e il 1999, ha permesso il recupero dell’opera, che ora è quantomeno fissata sulla parete, anche se visibile solo a poche persone alla volta, proprio per non alterare il precario equilibrio ambientale; ma i visitatori, oltre che per la particolarità dell’affresco, negli ultimi anni sono accorsi anche a causa alla pubblicità che ne ha fatto Dan Brown all’interno del celebre romanzo Il codice Da Vinci, che, per quanto forzato dal punto di vista dell’interpretazione artistica, ha però sicuramente il merito di aver posto l’attenzione sull’importanza del simbolismo all’interno dell’opera di Leonardo e di tutta l’arte rinascimentale.

 

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