Cinque grandi attori comici ebrei

Woody Allen, forse il più grande tra gli attori comici ebrei

È innegabile che la cultura ebraica sia in qualche modo legata all’ironia. Vari studi, che in parte si possono far risalire addirittura a Sigmund Freud (ne Il motto di spirito), sottolineano come questa tradizione abbia saputo proporre, mediamente più di altre, un bagaglio culturale fondato sull’autoironia, sulla barzelletta, sulla comicità.

I motivi indicati sono spesso molti: la necessità di spostarsi continuamente aveva reso quel popolo più bravo nell’uso delle parole che nel costruire; le costanti persecuzioni l’avevano forse spinto a ridere dei difetti che i cristiani gli attribuivano in funzione autoconsolatoria; la risata, infine, lo aiutava forse a sopportare meglio le molte difficoltà della vita.

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Qualunque sia la ragione, se noi scorriamo l’elenco dei più grandi umoristi degli ultimi due secoli non possiamo non notare come sia schiacciante la presenza di comici di origine ebraica.

Se scorriamo l’elenco dei più grandi umoristi degli ultimi due secoli, non possiamo non notare la schiacciante presenza di comici di origine ebraica.

Solo citando quelli che non abbiamo incluso nella nostra cinquina, figurano pezzi da novanta come Billy Crystal, Adam Sandler, Jon Stewart, Jerry Seinfeld, Lenny Bruce, Larry David, Sarah Silverman, Seth Rogen o Peter Sellers (che però aveva origini più frastagliate).

Da questo punto di vista, non stupisce la celebre leggenda secondo cui Charlie Chaplin sostenesse di non essere ebreo, ma che avrebbe tanto voluto esserlo.

Insomma, i comici ebrei sono molti e molto importanti. Abbiamo cercato di scegliere i più grandi, o quantomeno quelli il cui talento è stato reso disponibile anche al grande pubblico italiano: eccoli, in ordine di anzianità.

 

1. Groucho Marx

«Mi sono sposato davanti a un giudice. Avrei dovuto chiedere una giuria»: con questa battuta, qualche mese fa, abbiamo presentato Groucho Marx ai nostri lettori, ma la sua carriera è ricca di battute al fulmicotone, spesso entrate nella leggenda.

Le più famose? «All’infuori del cane, il libro è il migliore amico dell’uomo. Dentro il cane è troppo scuro per leggere». Oppure: «È da tanto che sto in giro, mi ricordo perfino di quando Doris Day non era ancora vergine». O ancora: «Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me».

Gli anni giovanili

Nato a New York nel 1890, Groucho Marx – il cui vero nome era Julius Henry Marx – era il terzo di cinque fratelli, fratelli con i quali avrebbe condiviso parte della sua carriera professionale.

Suo padre, Samuel Marx, era un ebreo francese emigrato negli Stati Uniti appena sette anni prima della sua nascita. La madre, Minnie Schönberg, era invece un’ebrea tedesca molto attiva nel varietà.

Crebbe nell’Upper East Side, in una zona in cui molte erano le famiglie ebraiche, in condizioni di estrema povertà. Anche per questo, lui e i fratelli furono presto buttati su un palcoscenico, cercando la via del successo tramite il vaudeville.

Negli anni ’10, poi, Groucho iniziò ad esplorare le sue capacità comiche, iniziando a dipingersi sul volto quelli che sarebbero diventati i suoi caratteristici baffoni neri e a sperimentare accenti, camminate e gestualità bizzarre.

Dal vaudeville alla TV passando per il cinema

Nel giro di qualche anno ottennero un grande successo a Broadway e questo li catapultò nel mondo del cinema. L’esordio, Noci di cocco, è datato 1929, ma i film migliori arrivarono negli anni ’30.

In quegli anni uscirono infatti Animal Crackers, Monkey Business, Horse Feathers – I fratelli Marx al college, La guerra lampo dei fratelli Marx, Una notte all’opera e Un giorno alle corse.

Dopo un periodo di crisi e di film non pienamente riusciti, si riciclò alla radio, conducendo a partire dal 1947 un quiz che sembrava inizialmente destinato ad una breve vita, You Bet Your Life.

Il programma però divenne un successo clamoroso e rese Groucho più popolare di quanto non fosse mai stato nei passaggi precedenti della sua carriera. Dopo aver incassato vari premi, nel 1950 lo show passò alla TV, e in particolare alla NBC, dove sarebbe andato in onda fino al 1961.

In quegli anni, complice questa ritrovata notorietà, Groucho diede alle stampe anche vari libri, come le sue raccolte di lettere o la sua divertente autobiografia. È scomparso a Los Angeles nel 1977.

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2. Jerry Lewis

Dopo l’antesignano della comicità ebraica al cinema, Groucho, spostiamoci ora a una generazione di comici nati tra gli anni ’20 e gli anni ’30 e capaci di influenzare fortissimamente il cinema americano trent’anni più tardi, anche se con modi e stili tra loro molto diversi.

Il primo della lista è Jerry Lewis, al secolo Joseph Levitch, figli di immigrati russi di origine ebraica che lavoravano anche loro come attori di vaudeville. Proprio la sua origine divenne un elemento caratterizzante della sua infanzia e della sua adolescenza.

Da bambino girò in lungo e in largo gli Stati Uniti accompagnando i genitori durante i loro spettacoli. Quando fu ora di andare a scuola venne quindi affidato prima ad una zia, e poi mandato in un collegio, da cui fu comunque espulso per aver picchiato un professore che parlava male degli ebrei.

In coppia con Dean Martin

Iniziò quindi a guadagnarsi da vivere esibendosi, e fu proprio in questi anni che fece l’incontro che ne modificò la carriera. Conobbe infatti Dino Crocetti, il figlio di due immigrati italiani che avrebbe presto assunto il nome d’arte di Dean Martin.

Assieme a lui formò una coppia comica fenomenale che portò prima nei night club, poi nei teatri, quindi alla radio e infine al cinema, esordendo con La mia amica Irma nel 1949, quando Lewis aveva appena 23 anni.

Nei primi anni ’50 erano già così popolari da diventare i protagonisti di un fumetto della DC Comics, rafforzando il loro successo con blockbuster come Attente ai marinai, Il nipote picchiatello, Artisti e modelle e Hollywood o morte!

Nel 1956 però il sodalizio si ruppe, probabilmente per la paura di Martin di essere messo in ombra dalla sempre più prepotente ascesa di Lewis.

Da solo

Dopo un iniziale sbandamento, Lewis seppe però ritrovare la forma migliore, passando in alcuni casi anche a dirigersi da solo in film come L’idolo delle donne e Le folli notti del dottor Jerryll.

Nella seconda metà degli anni ’60, però, complice anche il cambio dei tempi, diradò sempre più le sue uscite cinematografiche, sostanzialmente ritirandosi dalla recitazione anche a causa di alcuni problemi fisici.

Nei suoi film la comicità nasceva principalmente dalla mimica, dai suoi atteggiamenti e dalle sue facce, ma nella sua carriera non sono mancate le battute al fulmicotone.

Tra le più note: «La felicità non esiste. Di conseguenza non ci resta che provare ad essere felici senza». O il primo dialogo con Charlie Chaplin, in cui il maestro gli disse che poteva chiamarlo semplicemente “Charlie” e lui gli rispose dicendo di chiamarlo semplicemente “Mr. Lewis”.

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3. Mel Brooks

Classe 1926 è anche Mel Brooks, uno dei comici più noti al grande pubblico per il successo dei suoi film, in certi casi assurti nel corso degli anni ad un’ammirazione di culto.

Nato a Brooklyn col nome di Melvin Kaminsky da genitori ebrei che a loro volta erano figli di immigrati che provenivano dalla Germania, dalla Russia e dalla Bielorussia, ha più volte dichiarato di aver sviluppato la sua comicità come forma di difesa nei confronti dei bulli che lo tormentavano a scuola.

Dopo essersi fatto le ossa addirittura in guerra, intrattenendo i suoi commilitoni, tentò la via del cabaret nei locali notturni, facendosi notare e trovando un ingaggio per la TV.

Negli anni ’50 Brooks iniziò così a scrivere battute per Sid Caesar, conduttore televisivo – anch’egli di origine ebraica – per il quale avrebbe lavorato anche Woody Allen e che conduceva il fortunato Your Show of Shows.

Questo lavoro, che lo teneva comunque lontano dalla scena, funzionò e gli portò addirittura un Grammy, tanto è vero che continuò per alcuni anni a creare format televisivi e a fornire battute a vari showmen. Fu solo il matrimonio con l’attrice premio Oscar Anne Bancroft, sposata nel 1964, che lo convinse, sulla spinta di lei, a buttarsi nel cinema.

Al cinema con le sue farse

L’esordio sul grande schermo arrivò così nel 1968, col film Per favore, non toccate le vecchiette, subito premiato con un Oscar alla miglior sceneggiatura anche se poco fortunato al botteghino.

La svolta però arrivò nel 1974, quando Brooks mandò nei cinema ben due pellicole destinate ad un successo clamoroso. La prima era Mezzogiorno e mezzo di fuoco, in cui si ritagliava una serie di parti secondarie ma lasciava un ruolo importante all’amico Gene Wilder.

Il secondo era il celeberrimo Frankenstein Junior, scritto assieme proprio allo stesso Wilder e da lui interpretato. Sono poi arrivati altri film, come La pazza storia del mondo, Balle spaziali e Che vita da cani!

Il suo ultimo film da regista è datato 1995, Dracula morto e contento, ma nel 2005 ha partecipato a The Producers, musical tratto da una sua commedia di Broadway a sua volta tratta dal suo primo film.

Il figlio Max

Un’ultima nota sulla famiglia. Suo figlio, Max Brooks, ha all’inizio seguito le orme paterne, lavorando per qualche anno come autore al Saturday Night Live.

Negli ultimi tempi, però, si è dato alla letteratura, scrivendo alcuni libri incentrati sugli zombi. Uno di questi, World War Z, è diventato anche un fortunato film con Brad Pitt.

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4. Woody Allen

Non c’è molto da dire su Woody Allen, visto che la sua vita, i suoi film e la sua comicità sono probabilmente le più note al mondo. Nato nel 1935 nel Bronx (ma cresciuto tra Brooklyn e Manhattan) col nome di Allan Stewart Königsberg, Allen è nipote di ebrei tedeschi aschenaziti immigrati negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo.

Ragazzo molto dotato, tanto da venir incluso in una classe di livello avanzato, viene educato secondo i canoni della tipica educazione ebraica, frequentando la sinagoga e imparando a leggere e scrivere in quella lingua. Tuttavia si estrania rapidamente da quel mondo, professandosi ateo.

Ad appena diciannove anni, nel 1954, viene assunto dalla ABC per scrivere battute per un programma comico.

L’anno dopo passa alla NBC, scrivendo sempre battute per la TV e facendosi pagare sempre di più, tanto è vero che sul finire del decennio guadagna 100 dollari per ogni minuto di battute confezionate, finendo anche per lavorare per il già citato Sid Caesar.

Il re della comicità newyorkese

Proprio in quegli anni, comunque, cambia i propri agenti e decide di gettarsi in prima persona nel mondo dello show business, debuttando come stand-up comedian in vari night club di New York e scrivendo alcune commedie teatrali che lo aiuteranno a farsi conoscere dai produttori.

A metà anni ’60 esordisce così al cinema, prima con la sceneggiatura di Ciao Pussycat, in cui gli viene affidata anche una parte secondaria ma già perfettamente calata nel suo personaggio, e poi con Prendi i soldi e scappa.

Per un decennio, le sue commedie – per quanto dissacranti e travolgenti – sono ancora fortemente ispirate ai classici dei fratelli Marx e alla comicità slapstick, mentre dalla metà degli anni ’70 la sua ironia si fa più intellettuale e raffinata.

Il grande successo arriva infatti con Io e Annie, dedicato alla sua compagna di allora, Diane Keaton, e premiato con quattro Oscar.

I film

Troppi sono i suoi film che meriterebbero di essere elencati. I più famosi sono sicuramente Manhattan, Zelig, Hannah e le sue sorelle, Crimini e misfatti, Misterioso omicidio a Manhattan, Match Point, Vicky Cristina Barcelona, Midnight in Paris.

Tra le sue battute più celebri, «Dio è morto, Marx è morto, e io mi sento poco bene», «Ho fatto un corso di lettura veloce e ho potuto leggere “Guerra e pace” in venti minuti. Parlava della Russia», «Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto».

E poi ancora «L’amore è la risposta, ma mentre aspettate la risposta , il sesso può suggerire delle ottime domande», «L’ultima volta che sono entrato in una donna è quando ho visitato la statua della Libertà».

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5. Sacha Baron Cohen

Concludiamo con un comico molto più giovane e per una volta non americano, ma che si è guadagnato una certa notorietà negli ultimi anni grazie ai suoi film fortemente irriverenti.

Stiamo parlando di Sacha Baron Cohen, londinese classe 1971 nato da una famiglia di ebrei ortodossi il cui padre è di lontane origini lituane mentre la madre è israeliana; lo stesso “Baron” che figura nel suo cognome è un’inglesizzazione di “Baruch”, tipico nome ebraico.

Dopo la laurea a Oxford iniziò la carriera nel mondo dello spettacolo inizialmente come modello, presentando poi alcuni programmi su piccole emittenti locali; a metà degli anni ’90, però, iniziò a perfezionare i suoi personaggi, attirando le attenzioni di alcuni produttori britannici che gli offrirono un programma su Channel 4.

Il primo personaggio a sfondare fu Ali G, un buzzurro rapper britannico che si recava a intervistare vari personaggi famosi – tra cui David Beckham, Noam Chomsky, Shaquille O’Neil, Jarvis Cocker, John McCain, Gore Vidal e vari politici inglesi – senza però far sapere loro di essere oggetto di una parodia.

Uno stile nuovo che viene dall’Inghilterra

Il personaggio ebbe un successo travolgente e nel giro di pochi anni aprì a Baron Cohen la strada del cinema, prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti.

Dopo il film dedicato ad Ali G, datato 2002, sono infatti arrivati Borat nel 2006, Brüno nel 2009 e Il dittatore nel 2012, più una serie di partecipazioni ad altre pellicole, anche serie, come Sweeney Todd, Hugo Cabret e Les Misérables. Inoltre è il doppiatore di Re Julien nella serie di Madagascar.

Sposato con l’attrice australiana Isla Fisher dal 2010, è famoso per il suo stile comico irriverente e spesso offensivo.

Sd esempio, una volta nei panni di Ali G si piazzò davanti al Palazzo delle Nazioni Unite a New York, fermando vari delegati internazionali e ponendo loro domande del tipo «La Giordania deve il suo nome a Michael Jordan?» o «Da che paese viene? Ma esiste davvero?».

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