Cinque memorabili battaglie di Napoleone

Battaglia di Jena di Horace Vernet, celebre quadro dedicato alle imprese di Napoleone Bonaparte

Quando il filosofo tedesco G.W.F. Hegel, nella prima metà dell’Ottocento, formulò la sua teoria della storia, sostenne che l’Assoluto potesse sfruttare degli uomini particolari – gli “eroi” o “veggenti” – per spingere avanti il corso della storia stessa, far fare in un certo senso un balzo nel futuro alla società, donando a questi uomini particolari fortune e successi; ma che sempre l’Assoluto, una volta raggiunto il proprio scopo, abbandonasse gli eroi, lasciandoli al loro misero destino.

Un veggente

Gli esempi che Hegel metteva in campo erano desunti spesso dall’antichità, visto che i nomi da lui citati erano quelli di Alessandro Magno o di Giulio Cesare, ma in un caso un veggente era nato anche in tempi più recenti. Napoleone Bonaparte era stato infatti uno dei grandi amori del pensatore tedesco e non si può certo dire che la sua vita e la sua carriera politica e militare non rispondessero ai requisiti che il filosofo aveva messo in campo.

D’altronde, come scrisse pure Alessandro Manzoni, «tutto ei provò: la gloria / maggior dopo il periglio, / la fuga e la vittoria, / la reggia e il tristo esiglio: / due volte nella polvere, / due volte sull’altar».

E proprio nelle battaglie emerse, almeno per qualche anno, questa estrema capacità del generale corso di guidare gli eventi, quasi fosse baciato da una fortuna che sembrava averlo reso imbattibile su qualsiasi terreno. Battaglie che – combattute dall’Egitto all’Italia, dalla Germania all’oriente europeo – ne alimentarono per qualche tempo il mito ma che, alla fine, segnarono anche la sua disfatta. Ripercorriamo assieme le cinque più importanti della sua vita.

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Battaglia di Marengo

Una quasi sconfitta trasformata in vittoria

Bonaparte a Marengo di Alphonse Lalauze
Bonaparte a Marengo di Alphonse Lalauze

Nell’anno 1800 Napoleone era già Primo Console: la prima Campagna d’Italia, da lui condotta tra il 1796 e il 1797, gli aveva dato grande prestigio e aveva dimostrato le sue doti di stratega, facendolo tornare in Francia da assoluto protagonista dello scenario non solo militare ma anche politico; così, il 18 brumaio (ovvero il 9 novembre) del 1799 prese in mano la situazione con un colpo di Stato e in breve assunse su di sé tutti i poteri.

Il suo successo politico era però intimamente legato a quello militare, e così già nell’aprile del 1800 il generale corso ritornò in Italia, per riprendere le posizioni che aveva conquistato ma che durante le sue assenze in Egitto e in Francia erano state riprese dagli austriaci.

Una lotta che pareva impari

Il 14 giugno 1800, così, l’armata austriaca guidata dal generale Michael von Melas cercò di prendere di sorpresa le truppe francesi a Marengo, nei dintorni di Alessandria. Gli austriaci, d’altro canto, erano superiori per artiglieria (100 cannoni contro i soli 30 francesi) e per cavalleria e speravano di potersi sbarazzare in fretta di Napoleone e delle sue truppe, dopo aver ottenuto importanti successi nei mesi precedenti.

L’esercito napoleonico rischiò seriamente di capitolare, ma fu favorito da una serie di fattori che gli austriaci avevano sottovalutato: in primo luogo, nei giorni precedenti allo scontro aveva piovuto molto e il terreno era particolarmente fangoso, cosa che rendeva lenti gli spostamenti e non favoriva né la cavalleria, né l’artiglieria; poi von Melas, preoccupato da un possibile attacco alle spalle, disperse le sue forze, tra l’altro intasando le poche vie di comunicazione.

Napoleone seppe sfruttare questi errori e, col passare delle ore, riuscì a rovesciare l’esito della battaglia, grazie anche all’arrivo dei rinforzi guidati dal generale Louis Desaix, e a sbaragliare l’esercito nemico. Fu una vittoria clamorosa che, in un colpo solo, ripristinò il dominio francese nel nord Italia e rafforzò la fiducia mitica attorno alla figura di Bonaparte.

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Battaglia di Austerlitz

Il più grande trionfo di Napoleone

La battaglia di Austerlitz di François Gérard
La battaglia di Austerlitz di François Gérard

La più clamorosa e memorabile vittoria militare di Napoleone si fece registrare però cinque anni e mezzo dopo, quando molte cose, in Francia come nel resto d’Europa, erano cambiate. Bonaparte non era più Primo Console ma, dal 2 dicembre 1804, imperatore dei francesi, mossa che aveva di fatto chiuso definitivamente l’esperienza rivoluzionaria, trasformando la Repubblica in una nuova monarchia, certo fondata su basi diversissime da quella dell’ancien régime.

Questo, dopo due anni di pace in Europa, non poteva lasciare indifferenti gli altri stati europei; e se l’Inghilterra, forte della flotta comandata da Nelson, si era rivelata inattaccabile, rimaneva sempre l’Europa continentale da affrontare, dove si era formata la cosiddetta Terza Coalizione con russi e austriaci (più l’aiuto degli inglesi).


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Il più importante scontro tra la Grande Armata francese e gli austro-russi si ebbe appunto ad Austerlitz esattamente un anno dopo l’incoronazione del nuovo imperatore a Notre-Dame, il 2 dicembre 1805.

La battaglia si svolse nell’attuale Repubblica Ceca, nei dintorni di Brno. Napoleone veniva da una vittoria importantissima che l’aveva portato ad occupare Vienna, ma gli austriaci avevano ricevuto il supporto dei russi e avevano l’occasione di dare il via a una controffensiva che poteva avere effetti nefasti sull’avanzata di Bonaparte.

Una tattica rischiosa

Questi, intuito il pericolo e desideroso di affrontare il nemico su un campo di battaglia da lui stesso deciso, attuò una tattica ardita e rischiosa, che però alla fin fine si rivelò geniale. Egli fece ritirare le sue avanguardie ed indebolì volutamente il suo fianco destro, dando così l’impressione al nemico di essere in difficoltà e in realtà attirandolo in una trappola.

Austriaci e russi si prepararono così ad attaccare la destra francese, lasciando sguarnito il centro del fronte su cui Napoleone lanciò un attacco a sorpresa. I francesi poterono così penetrare nelle linee nemiche e accerchiare le ali, anche grazie all’arrivo, da Vienna, del maresciallo Louis Nicolas Davout e delle sue truppe.

La vittoria fu totale, probabilmente la più decisiva dell’intera carriera di Napoleone. Dal trattato che ne uscì, Italia e Baviera venivano confermate in mano francese, si imponeva agli Asburgo il pagamento di un pesante risarcimento di guerra e soprattutto si dissolveva definitivamente il Sacro Romano Impero Germanico, che esisteva dal X secolo.

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Battaglia di Jena

Una vittoria di Bonaparte ma soprattutto di Davout

Battaglia di Jena di Horace Vernet
Battaglia di Jena di Horace Vernet

Meno di un anno dopo rispetto al trionfo di Austerlitz, il 14 ottobre 1806, Napoleone Bonaparte era già in campo, di nuovo, contro le forze tedesche che si opponevano alla sua conquista e al suo dominio, solo che stavolta non erano tanto gli Asburgo d’Austria a cercare di mettergli i bastoni tra le ruote, quanto i prussiani e, in misura minore, i sassoni, aggregati a forza all’interno dell’esercito berlinese.

Il motivo del contendere, ancora una volta, erano i piani dell’imperatore dei francesi, che non era disposto più di tanto a scendere a patti con i rappresentanti di territori – quelli tedeschi – che riteneva già assoggettati.

I difetti dell’esercito prussiano

Se, infatti, nei mesi precedenti alla battaglia la sua diplomazia si era concentrata sui rapporti con la Gran Bretagna e la Russia, egli sembrava non aver compreso che i più riottosi con i quali doveva fare i conti erano i prussiani che, spinti nascostamente proprio da inglesi e russi contro la Francia, avevano ancora un’alta considerazione della forza del loro esercito e non accettavano di essere ridotti al ruolo di “alleati minori” di Napoleone.

Dopo che questi diede origine alla Confederazione del Reno, quindi, re Federico Guglielmo III – a causa soprattutto della pressione dei suoi nobili e dei vicini stranieri – si decise a muovere guerra ai francesi, radunando l’esercito.


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Napoleone raggiunse in fretta la Germania e, appunto nell’ottobre 1806, il suo esercito e quello prussiano si affrontarono nei dintorni di Jena. La vittoria fu tutto sommato piuttosto facile per i francesi. L’esercito prussiano aveva infatti una grande tradizione ed era molto disciplinato, ma in quanto a tattiche militari non era certo all’avanguardia.

Contro vecchi generali

I suoi componenti, poi, non erano abituati a fronteggiare la Grande Armata, capace di combattere in ordine sparso, di manovrare rapidamente sul campo di battaglia e di usare l’artiglieria in maniera sagace a supporto dell’ondata d’urto. Inoltre, la direzione dell’esercito tedesco era affidata a generali molto avanti con gli anni, indecisi e in disaccordo spesso tra loro.

Tutto questo fece la fortuna di Napoleone. A Jena, infatti, colse completamente di sorpresa una parte dell’esercito nemico, sbaragliandolo nell’arco di una mattinata, ma in fondo la vittoria più clamorosa fu quella del suo maresciallo Louis Nicolas Davout, che era stato inviato da Bonaparte ad Auerstädt ad affrontare quella che si riteneva una parte minoritaria dell’esercito prussiano ma che si ritrovò davanti più di 50mila uomini (contro i 26mila ai suoi ordini) e riuscì comunque a portare a casa la vittoria.

 

Battaglia di Lipsia

La disfatta dell’esercito napoleonico

La battaglia di Lipsia di Vladimir Moshkov
La battaglia di Lipsia di Vladimir Moshkov

Dopo aver visto i grandi trionfi della carriera di Napoleone, avviamoci a presentarne invece le due decisive sconfitte che misero fine alla sua potenza e al suo progetto egemonico in Europa.

La prima di queste disfatte fu quella di Lipsia, durante quella che è nota come la Battaglia delle Nazioni. Combattuto tra il 16 e il 19 ottobre 1813, questo scontro segnò la prima grande disfatta dell’imperatore dei francesi, dovuta principalmente alla netta superiorità numerica degli avversari.

La disparità numerica

Le forze dei coalizzati – cioè gli eserciti membri della cosiddetta Sesta Coalizione: Impero Russo, Impero Austriaco, Regno di Prussia e Regno di Svezia – erano stimate circa in 430mila uomini. Quelle francesi arrivavano invece a 191mila uomini, meno della metà.

D’altra parte, a quel punto della sua vita il sistema di potere messo in piedi da Napoleone aveva già mostrato pesanti segni di cedimento: lo smacco più grosso era stato quello subito in Russia, dove Napoleone aveva portato una poderosa armata costituita da 700mila uomini ma da dove pochissimi erano tornati vivi, uccisi dalla tattica attendista dei russi e dal gelido inverno della regione.

Un esercito allo sbando

Inoltre, anche in patria molti iniziavano a trattare col nemico, tradendo di fatto l’autorità dell’imperatore. Il problema principale, però, era che i nemici volevano approfittarsi dello sbandamento del suo esercito, esercito che lui aveva ricreato immettendo nei ranghi un consistente numero di giovani male addestrati.

L’Armata francese e quella degli alleati si affrontarono quindi a Dresda con una prima, buona vittoria di Napoleone, che però non risultò decisiva; d’altra parte, i suoi marescialli incapparono in una serie di sconfitte e così si arrivò allo scontro di Lipsia, in cui l’inesperienza degli effettivi di Napoleone e alcuni errori dei suoi secondi – oltre che la preponderanza numerica degli avversari – portarono alla disfatta.

Una disfatta da cui l’imperatore non si sarebbe più ripreso: tornato precipitosamente in Francia, subì l’invasione dell’esercito straniero – a cui tenne testa da solo per qualche settimana – e il tradimento di molti fedelissimi e fu rapidamente costretto all’abdicazione.

 

Battaglia di Waterloo

L’addio ai campi di battaglia

Carica dei corazzieri francesi a Waterloo di Henri Philippoteaux
Carica dei corazzieri francesi a Waterloo di Henri Philippoteaux

Come certamente saprete, i fatti che seguirono la Battaglia di Lipsia portarono Bonaparte ad essere esiliato sull’isola d’Elba mentre i regnanti d’Europa si ritrovavano a Vienna e cercavano di disegnare la nuova Europa sul modello della vecchia, di quella cioè che era esistita fino alla Rivoluzione francese. Sull’isolotto italiano non rimase a lungo: dal 4 maggio 1814 al 26 febbraio 1815.

Il 1° marzo era di nuovo in Francia e marciava su Parigi, deciso a riprendersi il potere prima che le altre potenze europee potessero esiliarlo in un luogo più lontano dalla sua amata Francia. Organizzò un nuovo esercito e si diresse subito verso il Belgio, dove i nemici della Settima Coalizione avevano raggruppato i loro effettivi, sperando di poterli cogliere di sorpresa prima che potessero unirsi definitivamente e soverchiarlo per forza e potenza.

Prussiani già sconfitti

D’altro canto, qualche giorno prima Napoleone aveva ottenuto una prima vittoria contro i prussiani e sembrava perfettamente in grado di sbarazzarsi anche dell’esercito del duca di Wellington che gli sbarrava la strada verso Bruxelles.

Le forze comandate da Wellington erano formate da soldati britannici, olandesi e tedeschi (provenienti perlopiù dall’Hannover, dal Brunswick e dal Nassau) ed erano numericamente comparabili a quelle francesi; Napoleone però non aveva considerato che l’esercito prussiano, già sconfitto, era riuscito a riorganizzarsi sotto la direzione del generale von Blücher e stava marciando velocemente per ricongiungersi a Wellington e dargli man forte.

«Questa sera ceneremo a Bruxelles»

Così, quando la mattina del 18 giugno 1815 l’esercito napoleonico iniziò a sferrare i primi attacchi la situazione sembrò volgere a suo favore, tanto che Napoleone, a quanto pare, si sbilanciò dicendo ai suoi sottoposti: «Questa sera ceneremo a Bruxelles».

Gli inglesi però mantennero ostinatamente le posizioni e la situazione si ribaltò quando arrivarono i prussiani; inoltre l’Armata francese, che pure era formata da esperti veterani, non seppe reagire alle prime difficoltà, forse anche perché sfiduciata dai numerosissimi tradimenti che avevano contraddistinto i mesi precedenti.

Napoleone tornò in grande fretta in Francia ma qui trovò l’ostilità del Parlamento e fu costretto di nuovo ad abdicare; cercò di imbarcarsi per l’America ma fu catturato dagli inglesi e trasferito in mezzo all’Oceano, a Sant’Elena, dove sarebbe morto sei anni più tardi.

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