Cinque tra i migliori film di fantascienza usciti dopo il 2000

Interstellar e gli altri grandi film di fantascienza usciti dopo il 2000

La fantascienza è un genere che ha sempre riscosso successo, nella letteratura come al cinema. Ma è stato sopratutto in quest’ultimo campo che ha raggiunto la più ampia fetta di pubblico possibile, permettendo anche ai non appassionati di gioire nella visione di viaggi spaziali e alieni o consentendo loro di visitare un luoghi e tempi lontani, trascendendo lo spazio, il tempo e le loro regole. È stato grazie a grandi capolavori come Metropolis, Solaris o 2001: Odissea nello spazio che la sci-fi (science fiction) ha conquistato, al cinema, lo status di genere “nobile”, ma sono stati grandi film come La guerra dei mondi, L’invasione degli ultracorpi o Il pianeta delle scimmie (ma anche Blade Runner o Alien) ad avvicinare lo spettatore comune al cinema di genere.

Se i più grandi film di fantascienza sono però relegati alla loro epoca d’oro – quella che va dagli anni ’50 alla fine degli anni ’90 –, non è impossibile al giorno d’oggi trovarsi di fronte ad ottimi sci-fi movies. Certo, bisogna effettuare una cernita, saper distinguere tra grandi film e grandi effetti speciali, ma di perle, a partire dagli anni 2000, ne sono uscite e ne continuano ad uscire. Per questo oggi voglio parlarvi di quelli che per me sono i migliori film di fantascienza dal 2000 ad oggi.

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Super 8

Fantascienza di oggi con un gusto antico

Super 8 è fantascienza moderna pensata e girata con piglio retrò. Scritto e girato da J.J. Abrams nel 2011 ma prodotto da Steven Spielberg, il film presenta quel tipo di fantascienza che mette in risalto il lato umano della storia, rendendo quello fantastico di contorno, una cornice in cui far muovere i personaggi con le loro dinamiche e le loro inter(rel)azioni. Un’operazione nostalgica diretta con stile e passione che ripercorre un certo percorso cinematografico ponendosi da un punto di vista “esterno” e non “interno”.

Ohio, estate 1979. In una piccola cittadina dell’acciaio un gruppo di amici è intenzionato a girare un film sugli zombie in Super 8, ma durante le riprese i ragazzi diventano testimoni di un apocalittico incidente ferroviario. In seguito all’evento, la cittadina diventerà teatro di inspiegabili eventi ed insolite sparizioni, portando i sei amici ad indagare sulle cause dell’incidente.

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Guardando Super 8 ci si ritrova a voler essere nel film, spaventoso e sognante allo stesso tempo. A voler vivere tra militari sciocchi, cattivi e inutili e civili pronti a mettere le cose a posto perché quello è l’unico modo che hanno per dare un senso alle loro caotiche vite di provincia. Ed è questo che interessa a regista e produttore: non il lato fantastico e alieno ma quello umano e terrestre, così terrestre da divenire incomprensibile. Perché siamo noi (gli esseri umani) il lato stupefacente della vicenda ed è il cinema quella cosa straordinaria che ci permette ancora una volta di sognare.

 

District 9

Una fantascientifica critica nei confronti del razzismo

District 9 è un film del 2009 diretto dall’esordiente Neill Blomkamp e prodotto da Peter Jackson, costato circa trenta milioni di dollari e promosso da una campagna pubblicitaria coi fiocchi. Un sci-fi movie che è riuscito nell’arduo compito di far innamorare ancora una volta il mondo della fantascienza. E non di una fantascienza qualsiasi, ma di quella che riguarda gli omini verdi (anche se in questo caso si tratta di gamberoni) provenienti da un altro pianeta. Una tipologia che finalmente è stata riproposta in maniera nuova e originale. In primo luogo perché i cattivi sono gli umani e non gli alieni, in secondo luogo perché fonde mockumentary e cinema d’azione, dando al tutto un’impronta pulp, a tratti splatter.


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Sudafrica, 2010: gli alieni sono arrivati sulla Terra ma, a causa di problemi tecnici, non sono più riusciti ad andare via. Per questo ora sono obbligati a vivere qui da noi in un luogo simile a un centro profughi: il Distretto 9. Questi alieni mostruosi, chiamati Non Umani, sono sotto il controllo e la giurisdizione dalla Multi-National United (MNU), una compagnia che ne vuole sfruttare la tecnologia. Un giorno però un membro della compagnia si ritroverà contaminato da DNA alieno e dovrà lottare per la propria vita, braccato da quelli che una volta erano suoi colleghi.

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In District 9 c’è una vera e propria critica al razzismo, all’apartheid e alla convivenza tra razze diverse, tra minoranze e potere, con alieni per una volta sperduti su un mondo che non è il loro e che guarda a loro come a mostri pericolosi e ripugnanti. Un cambio di prospettiva non da poco che ci permette un ribaltamento tanto emotivo quanto narrativo.

 

Moon

Fantascienza allo stato puro

Moon è il film d’esordio di Duncan Jones (ovvero il figlio del recentemente scomparso David Bowie) del 2009, un film a basso budget, senza grandi effetti visivi e costruiti su misura del suo protagonista al punto da diventare vero e proprio one man show. Un omaggio ad un cinema di fantascienza che non esiste più, ai classici di una volta scomparsi all’ombra dei blockbuster e del cinema tutto effetti speciali e grandi finanziamenti. Un viaggio nello spazio malinconico e virginale, vestito di bianco. Pochi attori eccezionali – Sam Rockwell, Kevin Spacey (con una voce che ricorda quella di HAL 9000) – e una riflessione sull’esistenza e sulla perdita della propria identità.

Sam Bell è un impiegato della Lunar Industries e da quasi tre anni è sulla Luna a dirigere i lavori per l’estrazione di Elio 3, in seguito alla grave crisi energetica che ha colpito la Terra. È solo in compagnia di GERTY, un computer che lo aiuta nella gestione della piccola base spaziale, e a poche settimane dal suo ritorno a casa dalla moglie e della figlia inizia ad avere gravi allucinazioni. Ma… e se non fossero solo allucinazioni?

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Citazionista, delicato, drammatico senza mai diventare strappalacrime, crudele a modo suo e, soprattutto, veicolo di tematiche difficili come la clonazione e l’alienazione, Moon è un film in grado di ipnotizzare lo spettatore fino allo scorrere dei titoli di coda. Fantascienza allo stato puro, la giusta miscela di collaudati meccanismi e dei più classici ingredienti, scritta bene e diretta con coraggio e onestà, oltre che con un grande talento visivo.

 

Interstellar

Un viaggio nell’ignoto di noi stessi

Interstellar, girato dal Re Mida dei blockbuster d’autore Christopher Nolan nel 2014, è il classico film sui viaggi spaziali, su astronavi e astronauti, ma è anche un film dalla duplice anima: da un lato una riflessione sull’umanità, sui rapporti tra le persone (famiglia, amicizia, amore) e sulla morale, da un altro un film sullo spazio, sull’Universo e sulla natura matrigna e indifferente contro cui è impossibile combattere. Allo stesso tempo però Interstellar è un film in pieno stile Nolan che, abbandonate le velleità meta-cinematografiche, sviluppa una storia su due piani narrativi – due piani temporali – fondendo/confondendo microcosmo e macrocosmo, particolare e universale, fisica e metafisica. Peccato però che le proporzioni tradiscono gli errori, l’imponenza vada a discapito dell’omogeneità e i buchi di sceneggiatura abbondino mettendo da parte la coerenza. Per non parlare degli errori scientifici che inficiano la riuscita finale di un film che sarebbe potuto essere un capolavoro.


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Ventunesimo secolo: la Terra è su punto del collasso. Tempeste di sabbia la sconvolgono ripetutamente mentre il cibo scarseggia sempre più. Tutta colpa di una crisi dell’agricoltura irreversibile che sta portando l’umanità all’estinzione. Cooper è un ingegnere ed ex pilota della NASA a cui viene affidata un’importantissima missione. Arrivare fino ai confini dell’universo. Lo scopo? Scoprire un altro pianeta, in un’altra galassia, su cui l’umanità possa trasferirsi e ricominciare a vivere.

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Nonostante ciò Interstellar resta un film immenso, un viaggio nell’ignoto di noi stessi e di un universo claustrofobico in cui regna il silenzio, la disperazione e il coraggio, il tempo che passa, quello che resta. Ognuno di noi ha il proprio bagaglio e questo film, con tutti i suoi difetti, potrebbe arricchire il vostro.

 

Avatar

Un film che permette di sognare

Avatar, ai tempi della sua uscita (nel 2009), fu il film che mi permise di tornare a sognare al cinema. Un film che non ha nulla di originale, visto che è un ammasso di effetti speciali impreziositi da un 3D studiato proprio per stupire, ma allo stesso tempo una pellicola commovente e magica, un vero e proprio mondo creato per colpire l’immaginazione dello spettatore, che come il protagonista cambia corpo, cambia pelle e si fonde con il grande spettacolo 3D allestito dal regista James Cameron, che di cinema sci-fi ne sa qualcosa. Con tutte le sue contraddizioni, Cameron ha creato questo mondo abitato da indiani alti e blu e lo ha reso vivo sia dal punto di vista visivo che da quello emozionale.

Un ex marine divenuto paraplegico in seguito ad un incidente viene coinvolto nel tentativo di stabilirsi su di un pianeta particolarmente ricco di specie vegetali ed animali, per sfruttarne le risorse. Per fare ciò dovrà infiltrarsi tra gli indigeni del pianeta utilizzando un avatar, un corpo artificiale. Ma vivere tra le due popolazioni, tra due mondi tanto diversi, lo porterà a porsi delle domande e a scegliere da che parte stare.

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Al di là quindi dell’innovazione tecnologica alla base della pellicola, Avatar è un film vecchio stampo, che narrativamente aggiunge poco a quella che è la storia del cinema fantascientifico ma proprio per questo (e per la bellezza visiva che lo contraddistingue) permette allo spettatore di sentirsi coinvolto e di vivere le avventure dei suo protagonisti digitali, un po’ più umani, un po’ più vicini a noi.

 

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