A Silvia: commento e parafrasi della poesia di Leopardi

Famoso ritratto di Giacomo Leopardi eseguito a 22 anni d'età, attraverso cui andiamo a studiare A Silvia

Giacomo Leopardi è uno dei poeti più studiati e amati della storia della nostra letteratura. Le sue vicende personali sono note, così come alcuni suoi versi, che sono entrati e rimangono nell’immaginario di qualsiasi studente. «E il naufragar m’è dolce in questo mare», «La donzelletta vien dalla campagna» e molte altre frasi che usiamo pure nel linguaggio comune provengono infatti dalle sue poesie. Ma una menzione speciale spetta, forse, ad A Silvia.

Questa celebre lirica fu composta da Giacomo Leopardi tra il 19 e il 20 aprile del 1828, quando il poeta doveva ancora compiere trent’anni. Fu comunque completata qualche mese più tardi, il 29 settembre dello stesso anno.

Fin dalla sua prima edizione è diventata una delle poesie più celebri della produzione del recanatese. In essa, d’altra parte, si ritrovano molti degli elementi chiave della filosofia di Leopardi, espressi con un lirismo particolarmente intenso e un forte trasporto emotivo.

Per questo, vale la pena di riprendere in mano A Silvia, studiandone la parafrasi e cercando anche di comprenderne il significato. Ed è quello che cercheremo di fare qui di seguito, partendo dal testo originale di Leopardi e procedendo poi ad un’analisi approfondita del canto.

Non mancheranno alcune informazioni sulla persona reale che si celava dietro alla finzione letteraria di Silvia e soprattutto un’analisi delle figure retoriche e della struttura della poesia. Speriamo che tutte queste riflessioni e questi aspetti tecnici, però, non vi distolgano dal fascino della poesia.

Come tutte le composizioni di Leopardi, anche A Silvia merita infatti di essere gustata al di là dei tecnicismi, facendosi trasportare dalle parole e dal loro significato, senza star troppo a pensare. Procediamo.

 

1. Il testo della poesia

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io, gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu, pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.

Anche pería fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negâro i fati
la giovanezza. Ahi, come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

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2. La parafrasi

Silvia, ricordi ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando nei tuoi occhi ridenti e timidi
splendeva la bellezza,
e tu, felice e pensierosa, ti avvicinavi
al fiorire della giovinezza?

Il tuo canto perpetuo
faceva risuonare le stanze silenziose
e le vie attorno,
quando sedevi presa dai lavori femminili,
molto contenta
di quel futuro misterioso che provavi a immaginarti.
Era il maggio profumato: e tu passavi
così le tue giornate.

Io, trascurando di tanto in tanto
gli studi amati e le carte su cui mi affaticavo,
dove la mia giovinezza e il mio corpo
andavano consumandosi,
dai balconi della casa paterna
mi mettevo ad ascoltare il suono della tua voce,
e il ritmo rapido delle tue mani
affaticate nel tessere la tela.
Guardavo il cielo sereno,
le vie color dell’oro e gli orti,
e da un lato il mare lontano, dall’altro le montagne.
Non esistono parole umane per descrivere
quel che provavo dentro.

Che pensieri soavi,
che speranze, che emozioni, mia Silvia!
Come ci apparivano allora
la vita umana e il destino!
Quando ripenso a quella grande speranza,
un dolore mi strugge,
immaturo e disperato,
e torno a dispiacermi della mia sventura.
O natura, natura,
perché non restituisci
quello promettesti? Perché così tanto
inganni le tue creature?

Tu, prima che l’inverno inaridisse l’erba,
piccola, morivi, combattuta e sconfitta
da una malattia oscura. E non vedevi
il fiore dei tuoi anni;
non ti accarezzava il cuore
la lusinga per i tuoi capelli nerissimi,
o per il tuo sguardo suadente e schivo;
né le tue amiche, nei giorni di festa,
chiacchieravano d’amore con te.

Dopo non molto morì pure
la mia speranza: anche a me
il destino ha negato
gli anni della giovinezza. Ahimè, come,
come te ne sei andata,
cara compagna della mia gioventù,
mia speranza rimpianta!
Sarebbe questo quel mondo? Questi
i piaceri, l’amore, le azioni, gli eventi
su cui tanto abbiamo fantasticato?
È davvero questa la sorte del genere umano?
All’apparire della verità
tu, misera, sei caduta: e da lontano
con la mano mi indicavi
una tomba spoglia e la fredda morte.

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3. Il commento sul significato della lirica

Dopo aver letto la poesia e averla trascritta in un linguaggio lievemente più comune, cerchiamo di comprenderne anche il significato. Significato che non è particolarmente oscuro, per fortuna, sia perché si ricollega – come detto – alla filosofia di Leopardi, sia perché espresso in modo piuttosto evidente.

Il tema è quello delle illusioni giovanili, che Giacomo Leopardi sceglie di far emergere soprattutto dal confronto tra se stesso e una giovane popolana, chiamata Silvia in omaggio a un personaggio dell’Aminta, una favola pastorale scritta da Torquato Tasso e rappresentata per la prima volta nel 1573.

L’argomento che Leopardi vuole approfondire sta tutto nel contrasto tra la gioventù e l’età matura. Da giovani si è pieni di speranze, perché la vita sembra sorridere: le amicizie, l’ambiente, la naturale vitalità sembrano promettere un futuro radioso e privo di preoccupazioni.

Una volta giunta l’età adulta, però, ci si rende conto che queste sono solo illusioni, inganni che la Natura ci pone davanti. Leopardi percepisce questi inganni nella propria vita, ma soprattutto li vede riflessi nella vita di Silvia, strappata troppo presto a questa mondo da una malattia che sappiamo essere la tubercolosi.

La divisione in due parti

La poesia è chiaramente divisa in due parti. Le prime tre strofe sono dedicate al passato, alla Recanati di un tempo. Il cardine è insomma la “rimembranza” di un passato non più recuperabile, un ricordo della giovinezza di Silvia e della propria, accomunate – pur nella diversità – da speranze simili.

Le ultime tre strofe, invece, spostano l’attenzione al presente, un presente in cui quelle illusioni hanno lasciato spazio all’amara consapevolezza dell’infelicità. Un’infelicità di cui l’uomo, in un certo senso, non ha neppure colpa, visto che Leopardi scaglia un’invettiva contro la Natura, responsabile di illuderlo e poi abbandonarlo al destino.

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4. L’analisi metrica

Interessante, come ogni poesia, è anche l’analisi metrica. La lirica è composta, come detto, da sei strofe di lunghezza variabile. La metrica è quella della canzone libera, con versi endecasillabi e settenari che si alternano tra loro.

Molti versi sono privi di rima, mentre altri rimano tra loro senza uno schema preciso. Da notare, però, che l’ultimo verso di ogni strofa è un settenario e rima con uno dei versi che l’hanno preceduto.

Inoltre c’è, come spesso in Leopardi, un largo uso di figure retoriche. Ad esempio sono frequenti gli enjambement, come tra i versi 7 e 8 («le quiete / stanze»), 49 e 50 («peria fra poco / la speranza»), 52 e 53 («negaro i fati / la giovanezza»), 56 e 57 («questi / i diletti») e 62 e 63 («una tomba ignuda / mostravi»).

Anche le allitterazioni segnano tutta la canzone. Oltre alle lettere “t”, “m” ed “n”, si segnalano le frequenti ripetizioni della sillaba “vi”. Basti pensare alla parole “Silvia”, “vita”, “fuggitivi”, “salivi”, “sedevi”, “avevi”, “solevi” e così via.

Altre figure retoriche

Presenti, anche se con minor rilevanza, pure altre figure retoriche. Ad esempio ci sono dei chiasmi («gli studi leggiadri […] e le sudate carte» e «fredda morte, tomba ignuda»), delle metonimie («sudate carte», «faticosa tela», «lingua mortal») e degli ossimori («lieta e pensosa»).

Infine, per concludere, citiamo in velocità le anafore («Che pensieri soavi, che speranze, che cori» e «Questo è quel mondo? Questi i diletti […] Questa la sorte»), le metafore («il limitare di gioventù» e «il fior degli anni») e le apostrofi («Silvia», «o Silvia mia», «o natura, o natura», «o tenerella» e così via).

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5. Teresa Fattorini e la questione dell’identificazione di Silvia

C’è un’ultima questione da dirimere, piuttosto famosa: quella dell’identificazione di Silvia. Una questione, si badi bene, che poco ha a che vedere con la poesia di Leopardi, che non ha certo bisogno di ulteriori chiarimenti per essere compresa.

Silvia, in quella lirica, è infatti un personaggio universale, un simbolo della giovinezza e della sua spensieratezza. Non ha bisogno, sostanzialmente, di un’ulteriore biografia che vada oltre rispetto a quello che lo stesso Leopardi ci racconta nella sua poesia: è un personaggio letterario che basta a se stesso.

I biografi e i curiosi, comunque, si sono a lungo accapigliati per cercare di capire chi fosse quella ragazza, e l’hanno individuata in Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi. Nata nell’ottobre del 1797, la ragazza in effetti morì molto giovane, nel settembre del 1818, circa dieci anni prima della composizione della poesia.

L’identificazione si basa su alcune righe scritte dallo stesso Leopardi nel suo Zibaldone, il diario in cui annotava spesso le fonti di ispirazione e il processo creativo che stava dietro alle sue opere. Lì Leopardi raccontava di questa ragazza, in realtà ricordata per sommi capi.

Un parallelismo, nient’altro

Si è a lungo fantasticato di una possibile infatuazione di Leopardi per questa giovane popolana, così diversa da lui eppure così simile negli slanci adolescenziali. Si tratta, però, di fantasticherie: nello Zibaldone e in A Silvia non emergono sentimenti d’amore.

Piuttosto, Leopardi vede in quella ragazza un suo corrispettivo, un’innocenza originaria a cui si sente in qualche modo legato. Tra i due probabilmente non ci furono contatti, se non di sfuggita, senza importanza. Ma questo non importa, perché la poesia va oltre tutto questo1.

 

Ecco cinque cose da sapere su A Silvia di Giacomo Leopardi: vota la tua preferita.

Note e approfondimenti

  • 1 Ce lo ricorda, tra gli altri, anche Eraldo Affinati, in questa interessante ripresa del “mito” di Silvia.

 

Segnala altre cose da sapere su A Silvia di Leopardi nei commenti.

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