Articolo 3 della Costituzione: cinque cose da sapere

Alla scoperta dell'articolo 3 della Costituzione italiana

Negli ultimi anni si è parlato moltissimo della Costituzione, forse addirittura troppo. In uno Stato in cui tutto funziona bene, in fondo, non c’è bisogno di ribadire continuamente l’importanza delle leggi, e soprattutto di quelle fondamentali: quelle ci sono, stanno là, ma il loro spirito è comunque presente. Quando invece insistiamo per molto tempo su queste norme, significa che esse non sono così solide (o condivise) come dovrebbero. E in particolare, tra tutti i dibattiti, oggi ci vogliamo concentrare su quello sorto attorno all’articolo 3 della Costituzione.

Questo articolo, appunto il terzo della nostra carta, rientra tra i principi fondamentali. È infatti una delle norme supreme e fondanti della nostra Repubblica. Vediamone il testo:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
 
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Perché se ne è parlato così tanto? E quali sono gli elementi più significativi di questo articolo? Scopriamolo assieme.

 

1. Eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale

Partiamo dall’articolo in sé, da quello che è cioè il suo contenuto. Come si vede subito ad una prima occhiata, è sostanzialmente diviso in due parti. La prima serve a stabilire l’eguaglianza formale dei cittadini, la seconda quella sostanziale.

All’inizio, infatti, l’articolo sottolinea che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e non possono in nessun modo essere discriminati in base alla loro appartenenza a gruppi particolari. Poi però è come se i padri fondatori si rendessero conto che questo non bastava.

La legge è uguale per tutti? (foto di Acidonucleico via Flickr)
La legge è uguale per tutti? (foto di Acidonucleico via Flickr)

Memori della riflessione di molti pensatori ottocenteschi – tra cui sicuramente bisogna citare anche Karl Marx –, si resero conto che non bastava sancire l’uguaglianza legale dei cittadini. Bisognava anche assicurarla in qualche modo nei fatti.

A questo serve la seconda parte dell’articolo, in cui si sottolinea il compito che la Repubblica si assume nel tentativo di eliminare gli ostacoli che impediscono ai cittadini di essere realmente uguali, non solo davanti alla legge ma anche davanti alle opportunità della vita.

Un articolo in divenire

Qui si vede già il carattere tutto particolare della Costituzione italiana. Una Costituzione che non è – come avveniva nell’Ottocento – una semplice proclamazione di (seppur importanti) diritti, ma un progetto in divenire.

I padri fondatori, infatti, erano ben consapevoli che l’Italia usciva da vent’anni di dittatura e di ingiustizie. E che non era pensabile che, dall’oggi al domani, l’uguaglianza cominciasse a regnare nel paese.

Scrivendo quell’articolo, però, si presero un impegno. E lo presero anche per tutti i politici che sarebbero venuti dopo di loro. L’impegno di lavorare in quella direzione.

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Pertanto, la nostra Carta è anche una proclamazione di intenti. Ci dice quali sono i nostri diritti, ma anche verso quale direzione la politica e la società italiana dovevano da quel momento in poi camminare. Sugli esiti di tale percorso, avremo modo di spendere qualche parola più avanti in questo articolo.

 

2. La discussione sull’articolo

A partire dall’11 settembre 1946

Come per tutti gli articoli fondamentali della nostra Costituzione, attorno al testo di questo principio ci fu ampia discussione. Il dibattito principale, in particolare, si svolse l’11 settembre del 1946, poco dopo l’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente (che era avvenuto a fine giugno).

Il primo tavolo in cui si iniziò a parlarne fu infatti quello della prima sottocomissione presieduta da Umberto Tupini della DC. Il compito di questo gruppo ristretto era quello di formulare una prima bozza degli articoli riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini.

Alcide De Gasperi parla all'Assemblea Costituente nel 1946
Alcide De Gasperi parla all’Assemblea Costituente nel 1946

La sottocomissione iniziò a discutere di quello che sarebbe poi diventato l’articolo 3 l’11 settembre. Relatori, come vedremo diffusamente nel prossimo paragrafo, erano gli onorevoli La Pira e Basso, ma molti altri politici intervennero nel dibattimento. L’oggetto del contendere, all’inizio, fu la frase riguardo alla “pari dignità” sociale.

I partiti moderati e liberali, infatti, avrebbero voluto emendarla, ritenendola superflua o ridondante; col senno di poi, era evidente l’intento di non calcare troppo la mano su temi “di sinistra”. Alla loro visione si associò qualche esponente democristiano, mentre altri sposarono le tesi dei partiti socialcomunisti, che a quelle parole non intendevano rinunciare.

I nomi più importanti

Rileggendo quei vecchi verbali, però, saltano agli occhi i nomi di alcuni padri costituenti destinati a un importante futuro. Ad esempio, autore di molti interventi fu Palmiro Togliatti, all’epoca (e fino alla morte, avvenuta nel 1964) segretario del Partito Comunista.

Inoltre, per i toni in parte concilianti si distinsero due giovani esponenti della Democrazia Cristiana, entrambi poco più che trentenni: Giuseppe Dossetti ed Aldo Moro. Il primo, trentatreenne, si era fatto molto notare in quei primi mesi di libertà, battendosi perché il suo partito sposasse la causa repubblicana contro quella monarchica.

Giuseppe Dossetti, a sinistra, e Giorgio La Pira nel 1956
Giuseppe Dossetti, a sinistra, e Giorgio La Pira nel 1956

Il secondo, più giovane di tre anni, in un certo senso gli andava dietro. Mentre Dossetti era stato partigiano e subito aveva raggiunto posizioni importanti all’interno del partito, Moro proveniva dal sud ed aveva preferito rimanere nell’ombra, ritrovandosi però nelle parole di quello che in breve tempo divenne il leader della “sinistra DC“.

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Dossetti avrebbe scelto presto, già nel 1952, di abbandonare la politica nazionale per diventare, alla fine del decennio, sacerdote. Moro invece era destinato a ricoprire incarichi molto importanti: più volte ministro, divenne segretario della stessa DC nel 1959. Fu inoltre Presidente del Consiglio due volte, nel 1963 e nel 1974.

 

3. I due relatori

Lelio Basso e Giorgio La Pira

La stesura dell’articolo venne portata avanti da due relatori, che per primi ne firmarono la bozza poi discussa e corretta dalla sottocommissione. I loro nomi erano quelli di Giorgio La Pira, della DC, e di Lelio Basso, del PSI, anche se il principale autore del testo è considerato quest’ultimo.

Lelio Basso, il principale autore dell'articolo 3
Lelio Basso, il principale autore dell’articolo 3

La Pira, siciliano di nascita e fiorentino d’adozione (divenne anche sindaco della città toscana), era un altro politico della Democrazia Cristiana che aveva aderito alla corrente “dossettiana”. D’altronde, anche lui, come Dossetti, era interessato all’impegno sociale della Chiesa, che aveva perseguito – come terziario francescano – anche durante la guerra.

La Pira, però, si occupò principalmente di quello che sarebbe poi divenuto l’articolo 2, che recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Basso, invece, era un socialista appartenente alla corrente di sinistra interna al partito. Amico di Piero Gobetti, ammiratore di Rosa Luxemburg, fu attento interprete anche dell’opera di Marx. Per questo motivo quando, nei primi anni ’60, il suo partito decise di allearsi con la DC, lui ne uscì polemicamente per qualche anno.

 

4. L’attuazione solo parziale dell’articolo

Una questione in divenire

La Costituzione, come certamente saprete, fu ultimata nel dicembre del 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Era, già allora, come abbiamo detto, una “carta in divenire”: una parte degli articoli aveva una natura per così dire programmatica, visto che tracciava una direzione che si sarebbe dovuta percorrere negli anni seguenti.

Anche l’articolo 3 non sfuggiva a questa natura di “work in progress”. L’uguaglianza giuridica era già un dato di fatto, che si sarebbe dovuta garantire dal primo giorno (anche se poi, ancora oggi, assistiamo a casi di discriminazione più o meno espliciti). L’eguaglianza sostanziale era invece tutta da raggiungere.

Un graffito razzista fotografato nel 2018 da Silvs98 (via Wikimedia Commons)
Un graffito razzista fotografato nel 2018 da Silvs98 (via Wikimedia Commons)

Gli “ostacoli di ordine economico e sociale” di cui parla esplicitamente quell’articolo sono stati rimossi, in questi settant’anni, solo in parte. Si sono investiti degli sforzi per arginare le differenze e per garantire pari opportunità, ma in maniera spesso discontinua ed insufficiente.

Molti sarebbero gli esempi che si potrebbero citare. Pensiamo alla questione femminile: ancora oggi, le donne sono discriminate sul lavoro, nella società, nella politica, anche se è pur vero che molti passi avanti si sono fatti.

Ancora peggiore, in questi ultimi tempi, è la questione del razzismo, citata esplicitamente da questo articolo della Costituzione. Pensate, per dire, al caporalato e agli immigrati sfruttati come braccianti in varie zone del paese. Ma di questo ci occupiamo più diffusamente nel prossimo e ultimo punto della nostra lista.

 

5. Le polemiche riguardo alla parola “razza”

La dichiarazione shock di Attilio Fontana

Degli articoli della Costituzione non si parla spesso, nel dibattito pubblico. Il numero 3, di cui abbiamo detto finora quasi tutto quello che c’era da dire, è però stato al centro dell’attenzione negli scorsi mesi. Il motivo è da ricercare in alcune dichiarazioni dell’attuale Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana.

Attilio Fontana fotografato dall'Associazione Amici di Piero Chiaro
Attilio Fontana fotografato dall’Associazione Amici di Piero Chiaro

Il politico, esponente della Lega e già sindaco di Varese, nel gennaio 2018, nel pieno della campagna elettorale, se ne è uscito con una dichiarazione shock. Ha infatti dichiarato: «Non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano: dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o essere cancellate» [1].

Davanti alle inevitabili polemiche, Fontana ha tentato di correggere il tiro, parlando di un lapsus. Ma poi si è appellato, per difendersi, proprio alla Costituzione: «Dovrebbe anche cambiare la Costituzione perché è la prima a dire che esistono le razze» [3].

Il riferimento era effettivamente all’articolo 3, che appunto parla esplicitamente di “razze”. Ma quel riferimento va ovviamente contestualizzato. L’Italia usciva, in quel 1946/47, da vent’anni di fascismo. E soprattutto dalle famigerate leggi razziali, che il regime aveva emanato nel 1938.

Usare quel termine serviva a esplicitare il cambio di prospettiva e di direzione, perché in Italia e in Germania erano appena stati al potere due regimi fascisti. Non certo a giustificare pretese razziste che oggi, a settant’anni di distanza, suonano quantomeno inopportune.

 

E voi, quale aspetto dell’articolo 3 preferite?

Ecco cinque cose da sapere sull'articolo 3 della Costituzione: vota la tua preferita.

 

Note e approfondimenti

[1] Qui trovate la notizia della sua dichiarazione e invece qui alcune reazioni politiche.
[2] Queste seconde dichiarazioni le trovate riportate qui.

 

Segnala altre cose da sapere sull’articolo 3 della Costituzione nei commenti.

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