
Quanto sono affascinanti le arti marziali? E quanto, però, è difficile distinguerle?
Karate, judo, jujitsu e altre discipline si confondono spesso, nell’immaginazione della gente comune, in un gran miscuglio.
Si pensa così che siano tutte arti marziali giapponesi, quando invece ce ne sono anche di cinesi e coreane. Si pensa che siano tutte variazioni su un unico tema, quando invece sono discipline ben distinte, con anche differenze rilevanti nella concezione del corpo, della forza, della violenza.
Oggi vi aiuteremo a fare chiarezza e vi presenteremo le caratteristiche e la storia di nove diverse arti marziali giapponesi, cinesi e coreane.
Indice
1. Taekwondo
La disciplina coreana dei calci
Arte marziale proveniente dalla Corea il cui nome può essere tradotto come la via della mano e del piede, il taekwondo è in realtà un’arte marziale nota soprattutto per l’utilizzo dei calci più che non delle mani (si stima che le tecniche che fanno uso dei piedi siano l’80% circa del totale, contro il 20% di quelle che coinvolgono le mani).
Questa particolarità deriva dal fatto che si ritiene che, data la lunghezza e la forza delle gambe, esse siano un’arma più potente e pericolosa all’interno della lotta.
Molto importante, inoltre, è il valore della pace interiore, che il praticante può ottenere solo tramite la meditazione e l’allenamento e che è necessario al raggiungimento anche di un’adeguata capacità di combattimento.
Sport olimpico
Praticato ormai in tutto il mondo senza distinzioni particolari né per quanto riguarda il sesso, né per quanto riguarda l’età, è uno sport olimpico dai giochi di Sydney del 2000 e anzi l’Italia ha sempre figurato piuttosto bene in queste gare.
In quattro edizioni ha portato a casa un oro (Carlo Molfetta, pesi massimi, a Londra 2012), un argento (Mauro Sarmiento, pesi medi, a Pechino 2008) e un bronzo (sempre Sarmiento, a Londra).
Il sistema di avanzamenti di grado e di cinture è regolamentato da una sorta di governo centrale che mantiene un’uniformità a livello mondiale sull’argomento.
In Corea, ovviamente, è l’arte marziale nazionale tanto è vero che anche lo stesso esercito viene addestrato a questa tecnica e, restando in ambito olimpionico, la compagine della Corea del Sud vanta già dieci medaglie d’oro, il doppio della seconda in classifica che è la Cina.
2. Karate
L’arte marziale giapponese che viene da Okinawa
In giapponese, karate significa “mano vuota” perché la disciplina si sviluppa come una tecnica di combattimento senza armi.
È una delle arti marziali più popolari e forse la prima ad aver raggiunto una certa notorietà in Occidente, grazie prima all’occupazione del Giappone nel dopoguerra da parte delle truppe americane, poi alle scuole aperte negli Stati Uniti dagli immigrati giapponesi.
Infine, un peso l’hanno avuto anche alcune pellicole cinematografiche di grande successo popolare, come Karate Kid o l’italiana Il ragazzo dal kimono d’oro.
L’importanza del maestro Gichin Funakoshi
Nata sull’isola di Okinawa, la disciplina deriva in realtà dalla rivisitazione di antiche tecniche cinesi visto che l’isola dove si sviluppò fu sostanzialmente assoggettata alla Cina fino al 1879, quando Okinawa fu annessa al Giappone.
L’arte marziale iniziò così a diffondersi all’interno del paese grazie all’opera del maestro Gichin Funakoshi, che ne semplificò le tecniche e vi aggiunse un insieme di elementi filosofici.
Ad ogni modo col tempo si sono generate varie diverse tipologie di karate (shotokan – lo stile moderno più diffuso –, shito, sankukai, goju, wado ed altri ancora).
Questo accade spesso quando queste discipline sono libere di crescere grazie all’influenza dei vari maestri, che a loro volta traggono spunto e influenze dalle tradizioni locali.
Non come, ma dove
Nonostante esistano queste diverse scuole e questi diversi stili, gli elementi fissi della disciplina sono i pugni, i calci (soprattutto alle gambe e al tronco), le ginocchiate, i colpi a mano aperta nelle zone più sensibili del corpo come il fegato, la gola, il femore, le articolazioni, secondo la regola del massimo risultato col minimo sforzo.
Fondamentale, in questo senso, è sapere non tanto come colpire, ma dove colpire, ed infatti ad un livello avanzato si viene introdotti anche allo studio dei punti di pressione più importanti.
Al di là delle singole tecniche, comunque, il karate punta non solo sull’apprendimento degli stili di combattimento, ma anche a un miglioramento di tutto il corpo del karateka.
3. Judo
La disciplina della dolcezza
Sviluppatosi nel corso del XIX secolo in Giappone, il judo è una disciplina che è stata creata da Jigoro Kano, un maestro che in giovane età era stato sovente vittima di bullismo.
Per questo, dopo aver provato il jujitsu senza ottenerne però i risultati sperati, sviluppò un nuovo sistema di combattimento che rendesse irrilevanti le dimensioni e la forza dei combattenti, cercando di sfruttare piuttosto le leve e gli spostamenti.
L’obiettivo principale delle competizioni diventa quindi non più quello di abbattere e stordire l’avversario, quanto quello di farlo cadere o far sì che si arrenda dopo esser stato immobilizzato: per questo si usano poco, di norma, pugni o calci, ma molto più spesso spostamenti e tecniche per far perdere l’equilibrio.
Da questo punto di vista, la disciplina è inoltre abbastanza equa nell’alternare lotta in posizione eretta e al livello del suolo.
Da sport proibito a disciplina olimpica
Come già detto per il taekwondo, oggi anche il judo è disciplina olimpica, e anzi già da ben prima dell’arte marziale coreana.
Proibito – assieme ad altre forme di combattimento che venivano giudicare troppo “guerresche” dagli Alleati in seguito alla sconfitta nella Seconda guerra mondiale – fu riabilitato grazie proprio al Comitato Olimpico, di cui lo stesso maestro Kano aveva fatto parte.
Ammesso ai Giochi a partire, non a caso, da Tokyo 1964, è oggi uno degli sport più universali, visto che prendono parte alle gare atleti provenienti da quasi tutti i paesi del mondo.
Nel medagliere ovviamente è forte il dominio giapponese, mentre, oltre alle scontate buone posizioni di Corea del Sud e Cina, si segnalano le ottime tradizioni della Francia e di Cuba.
L’Italia ha finora portato a casa tre medaglie d’oro: con Ezio Gamba a Mosca 1980 nella categoria pesi leggeri, con Giuseppe Maddaloni nella stessa categoria a Sydney 2000 e con Giulia Quintavalle sempre nei leggeri a Pechino 2008.
4. Kung Fu
L’insieme delle arti marziali cinesi
Finora abbiamo visto arti marziali originatesi in Giappone o Corea, paesi tra loro molto vicini geograficamente, e per tradizione legati anche dal punto di vista filosofico e spirituale.
Non a caso la Corea fu assoggettata all’impero nipponico di fatto tra il 1905 e il 1945, periodo in cui molte delle discipline marziali di cui stiamo parlando si diffusero e trovarono una sistemazione teorica.
Il kung fu, invece, nacque in Cina probabilmente attorno al VI secolo, inventato, secondo una delle leggende più famose, dal monaco buddhista indiano Bodhidharma come una metodologia per aiutare i suoi fratelli monaci a concentrarsi meglio durante la meditazione ma anche a difendersi dagli assalti dei briganti e delle bestie feroci, che erano piuttosto comuni.
Da lì in poi entrò nella tradizione culturale cinese fino ad essere sistematizzato grazie alla nascita di specifiche scuole nel corso del Ventesimo secolo.
L’origine del nome
Una precisazione va però fatta sul nome. Di per sé il termine kung fu non indica infatti qualcosa di specificatamente marziale, ma si può tradurre in un più generico “abilità o capacità di fare qualcosa”.
Questo sta ad indicare che sotto questa etichetta i cinesi racchiudono tutto un insieme anche caotico di tecniche e discipline, mentre le moderne arti marziali cinesi vengono solitamente indicate col termine wushu.
Per questo, più ancora che non nei casi citati nei punti precedenti il kung fu non è una disciplina monolitica, ma si coniuga in centinaia di diversi stili, come ad esempio i celebri shaolin, wing chun e tai chi.
Oltre alla pratica a mani nude, molte tecniche prevedono infine anche l’utilizzo di armi come la sciabola, il bastone, la spada o la lancia.
Il successo mondiale
La fama internazionale del kung fu è da attribuirsi in primo luogo al successo dei film sulle arti marziali cinesi di Bruce Lee prima e di molti suoi epigoni poi, ma paradossalmente queste pellicole in un primo momento finirono per favorire soprattutto lo sviluppo delle arti marziali giapponesi.
Questo perché negli anni Sessanta e Settanta la Repubblica Popolare Cinese non poteva e non voleva organizzare corsi o far uscire maestri dal paese.
5. Jujitsu
La tecnica della cedevolezza
Abbiamo iniziato il nostro percorso in Corea, ci siamo spostati poi in Giappone e in Cina e ora concludiamo ritornando nel paese del Sol Levante, che da sempre è terreno fertile per le arti marziali.
L’ultima disciplina che andiamo ad analizzare è il jujitsu, un’arte di difesa personale che insegna sostanzialmente a rivolgere la forza dell’avversario contro l’avversario stesso.
La parola jujitsu è traducibile infatti con l’espressione “tecnica cedevole”, a indicare che compito del praticante non è quello di colpire più forte del proprio avversario, ma di applicare un insieme di accorgimenti basati sulla morbidezza e sulla cedevolezza che facciano sì che l’attacco dell’avversario non solo vada a vuoto, ma gli si ritorca pure contro.
L’apoteosi e la crisi
Originato in epoca medievale – documenti ne attestano la presenza già nel XVI secolo, ma probabilmente era diffuso da molto tempo prima – il jujitsu conobbe il suo periodo di massimo splendore tra il Seicento e l’Ottocento.
Entrò poi in crisi con l’occidentalizzazione del Giappone e la caduta della classe dei samurai, oltre che con l’affermazione del judo, che in principio fu presentato dal maestro Jigoro Kano come un’evoluzione proprio del jujitsu.
Ultima nota a margine: non bisogna confondere questa disciplina col jiu jitsu brasiliano, tecnica nata nei primi decenni del Ventesimo secolo in Brasile a partire però non dal jujitsu, come il nome sembra lasciare intendere, ma in realtà proprio appunto dal judo.
Altre 4 arti marziali internazionali, oltre alle 5 già segnalate
Di arti marziali, in realtà, ne esistono molte altre, anche uscendo dal trio di paesi che abbiamo presentato finora. Dedichiamo l’ultima parte del nostro articolo a presentarvene velocemente altre quattro degne di nota.
Kickboxing
Nonostante sia un’arte marziale che ha, al suo interno, qualcosa di occidentale, la kickboxing è nata in Giappone attorno agli anni ’60 del Novecento come evoluzione del full contact karate. L’intento era quello di unire alcune delle tecniche orientali del karate ad altre, più occidentali, del pugilato.
Forse anche per questa fusione per l’epoca abbastanza inedita, lo sport spopolò, a partire dagli anni ’80, soprattutto negli Stati Uniti, espandendosi poi di riflesso anche in Europa.
Prevede varie discipline che, nel corso degli anni, sono rimaste più legate all’origine orientale o si sono allontanate da essa. Ad esempio, il point-fighting è un tipo di confronto che assomiglia per certi versi a quello del karate, tanto che il combattimento viene momentaneamente fermato ogni volta che si deve assegnare un punto.
Nel full-contact, invece, si combatte su un vero e proprio ring da boxe in maniera continuata, tanto che l’incontro può concludersi ai punti oppure per k.o., come appunto nel pugilato. In questo caso, inoltre, i contatti sono molto più violenti e la potenza dei colpi ha un ruolo fondamentale.
Tai Chi
Il Tai Chi – o, per intero, Taijiquan – è uno stile di arti marziali cinese ma anche una modalità di meditazione in movimento. Non è un caso che oggi in Occidente sia più famoso come una forma di ginnastica o addirittura di medicina preventiva.
La sua origine non è chiara ed è ammantata di mistero; e questo anche perché alcune documentazioni storiche sfociano a volte nella leggenda. Probabilmente, comunque, si sviluppò unendo diverse concezioni precedenti grazie al lavoro di Chen Wang Ting.
Alla base della disciplina c’è un preciso riferimento filosofico: il ciclo dello Yin e dello Yang. I movimenti che il Tai Chi mette in campo, infatti, giocano sul vuoto e sul pieno, in un ideale di rotondità e completezza che si deve realizzare fondendo i movimenti propri e quelli dell’avversario.
Dal punto di vista dell’allenamento, si lavora molto sulla stabilità, sui passi, sui movimenti delle braccia e delle gambe e sull’emissione di energia. Le tecniche in questo senso sono numerosissime, tutte con un retroterra filosofico che però non è sempre facile rendere nelle lingue occidentali.
Muay Thai
Spostiamoci ora per un attimo all’esterno dei paesi di cui abbiamo parlato finora. Il Muay Thai è infatti un’arte marziale thailandese, che però ha varie cose in comune con le altre discipline orientali. È inoltre uno sport a contatto pieno e quindi contrassegnato da una certa violenza.
Di origini molto antiche, divenne popolare nel sud-est asiatico soprattutto a partire dal XVI secolo, anche se in Occidente è arrivato solo di recente, sull’onda del successo del karate e delle altre arti marziali di cui abbiamo già parlato.
Il combattente si può avvalere di diverse parti del corpo: ci sono tecniche di pugno ma anche tecniche per le ginocchiate e le gomitate, oltre che ovviamente per i calci. La disciplina è così nota come “l’arte delle otto armi”, visto che si possono usare tutte e otto queste “protuberanze” del corpo.
Anche in questo caso ci sono profonde credenze religiose alla base dell’arte marziale. Non è un caso che nel pre-gara si debbano compiere dei rituali per trovare la concentrazione e invocare gli spiriti benigni. Allo stesso modo, si usano anche degli amuleti legati a varie immagini sacre.
Krav Maga
Concludiamo allontanandoci ancora un altro po’ dall’Estremo Oriente e finendo in Israele. Lì nella prima metà del Novecento fu creata un’ulteriore arte marziale che ad una prima occhiata può confondersi con quelle cinesi o giapponesi, ma è invece ebraica.
Addirittura in questo caso si tratta però di un’arte marziale voluta dal governo. Fu infatti lo stato di Israele a chiedere a Imi Lichtenfeld, un militare classe 1910 ed esperto di combattimento corpo a corpo, di elaborare una nuova tecnica adatta ai reparti dell’esercito.
Ne nacque il Krav Maga, che in ebraico significa “combattimento con contatto”. Si tratta di un’arte pensata per poter essere acquisita in tempi rapidi e ha come scopo l’immediata neutralizzazione dell’avversario. Per questo, insegna anche a colpire alcuni punti nevralgici che in altre discipline sono proibiti, come i genitali o la carotide.
Questa spregiudicatezza fa sì che il Krav Maga sia una tecnica molto usata nei corsi di autodifesa ed usata anche dalle polizie e dagli eserciti, soprattutto quando si deve disarmare e neutralizzare qualche malintenzionato.
E voi, quale arte marziale preferite?
Wing Chun
Aikido