
Si dice che la nostra società sia una società edonistica, che ricerca sempre il piacere e la bellezza. Che i valori siano annullati dietro alla ricerca dell’effimero, dell’apparenza, del vacuo. Che si sopravvaluti l’attimo e ciò che è visibile rispetto a ciò che è duraturo e nascosto.
Che sia vero o no, non spetta a noi dirlo. Ma di sicuro l’effimero e il piacevole sono solo due facce di una medaglia che non ha senso senza il loro opposto. Il piacere ha bisogno del dolore, per esistere, così come la bellezza della bruttezza. E anzi da un punto di vista prettamente estetico, l’arte in un certo senso sembra aver bisogno della bruttezza. È la bruttezza che rende vere e umane le cose. È il difetto che ci affascina, molto più della perfezione.
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Proprio su bellezza e bruttezza ci sarebbe molto da discutere, e qualcuno più bravo di noi ha cercato di farlo in passato. Per dare anche a voi qualcosa su cui riflettere, abbiamo raccolto cinque citazioni, cinque aforismi sulla bruttezza che non possono lasciarvi indifferenti. Eccole, corredate da qualche breve nota biografica sui loro autori.
Indice
Quel che innamora
Il pensiero di Salvator Rosa, originale pittore barocco
Ad interrogarsi su ciò che è bello e ciò che è brutto sono spesso stati i pittori. D’altronde, chi meglio di loro può indagare le qualità dell’immagine, il fascino di ciò che attrae ma anche di ciò che repelle? Uno dei più originali pensatori, da questo punto di vista, è stato Salvator Rosa, pittore napoletano del ‘600 ma anche autore di poemi, satire e aforismi.
Di carattere vagamente misogino – a lui si devono alcune delle più acide frasi sul matrimonio –, Rosa fu un pittore eclettico, capace di anticipare vari tratti del Romanticismo che era, allora, ben lungi dal trionfare. Le sue opere sono oggi esposte agli Uffizi, alla National Gallery di Londra, al Louvre e in molti altri musei.
[wpzon keywords=”salvator rosa” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”3″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]Innamora più una graziosa bruttezza che una beltà soverchiamente sostenuta.
Saper essere brutte
La satira mitteleuropea di Karl Kraus
Abbiamo scritto anche altrove che, per una serie di circostanze storiche e culturali, il popolo ebraico ha sempre avuto un senso dell’umorismo particolarmente sviluppato. Sarebbe troppo lungo, infatti, elencare qui i comici e gli autori satirici di origine ebraica, ma di sicuro il principe di questo filone, all’inizio del Novecento, è stato l’austriaco Karl Kraus. Nato in Boemia e cresciuto a Vienna, Kraus fu giornalista e polemista, ma viene oggi ricordato soprattutto come autore teatrale.
La sua opera più famosa è Gli ultimi giorni dell’umanità, in cui immaginava un’apocalisse che partiva dalla Prima guerra mondiale e non risparmiava gli intellettuali del tempo. Convertito al cattolicesimo e poi abbandonata anche questa religione, prima conservatore filoaristocratico e poi repubblicano democratico, Kraus era l’emblema del libero pensatore, senza peli sulla lingua. Anche in fatto di donne e di bellezza.
[wpzon keywords=”karl kraus” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”6″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]Una donna che non sa essere brutta non è bella.
Quando la perfezione è un difetto
La frase di Colette, un’esperta della bellezza e della bruttezza della vita e delle persone
Altra personalità originalissima nel panorama europeo della prima metà del Novecento fu quella di Colette. Classe 1873, la scrittrice fu capace di rivoluzionare il modo di intendere la giovinezza e la sessualità femminile dei francesi, scandalizzando ed entusiasmando il pubblico. Di lei si ricordano il personaggio di Claudine, fortemente autobiografico, che la fece sfondare presso gli ambienti sia letterari che popolari, ma anche la carriera come attrice al Moulin Rouge e gli articoli al vetriolo.
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Provocatrice disinibita e capace di esibirsi completamente nuda e baciare altre donne in pubblico in un tempo in cui ci si scandalizzava per molto meno, Colette soprattutto negli ultimi anni della sua vita fu anche maestra di costume. Uno dei suoi ultimi romanzi fu Gigi, storia di una quindicenne che si fa donna, nonostante non ne abbia molta voglia, e che finisce per essere corteggiata da un chiacchierato uomo di mondo. Un romanzo da cui è tratta la frase qui di seguito, che parla di arredamento ma che in realtà dà dei canoni estetici universali.
[wpzon keywords=”colette -stilton” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”6″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]Nell’ambito dell’arredamento, trovo che una certa assenza di bruttezza sia molto peggiore della bruttezza stessa.
Il documento del fallimento umano
L’artista inventato di Stay – Nel labirinto della mente
Stay – Nel labirinto della mente è un film riuscito a metà, nonostante avesse tutte le carte in regola per sfondare. Uscito nel 2005, aveva come attori principali Ewan McGregor, Naomi Watts e un giovane Ryan Gosling. Alla regia c’era il Marc Forster appena uscito dai successi di Monster’s Ball e Neverland. Perfino lo sceneggiatore era di ottima qualità, visto che il copione era stato scritto da David Benioff, autore di La 25ª ora e, successivamente, Il cacciatore di aquiloni, Wolverine e Il trono di spade.
Eppure quella ciambella non riuscì perfettamente col buco, e anzi gli incassi furono terrificanti. Oggi forse quel film vale però la pena di recuperarlo e almeno in parte rivalutarlo. Era un viaggio nei meandri della mente, tra allucinazioni e preveggenze, che lasciava a tratti col fiato sospeso. Quello che però interessa a noi oggi era il personaggio di Tristan Rêveur, un artista che in realtà non è mai esistito ma di cui il protagonista si ostinava a parlare. E una cui citazione su bellezza e bruttezza merita di essere riportata.
[wpzon spec=”1″ asin=”B0015P5DUG,B001C0X4HI,B005LZW7AU” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Sai che dice Tristan Rêveur su ciò che è brutto in arte? Dice: «Il brutto è tragicamente più bello del bello, perché documenta il fallimento umano».
La bruttezza è sempre colpevole
Il realismo estremo di Muriel Barbery
Concludiamo con una frase molto recente, tratta dal best-seller L’eleganza del riccio di Muriel Barbery. Il romanzo, di cui si è parlato moltissimo qualche anno fa, esplora la vita di un paio di personaggi che si trovano a interagire, volenti o nolenti, con la Parigi più ricca e vuota, da cui però si nascondono. Una è una ragazzina che medita il suicidio, Paloma. L’altra è una portinaia molto colta, che però da anni nasconde gelosamente la propria erudizione.
Insieme le due si scopriranno anime gemelle, anche grazie alla mediazione di un signore giapponese. E impareranno così a convivere anche con un mondo che perdona tutto alla bellezza e nulla alla bruttezza, anche quando quest’ultima è moralmente e intellettualmente superiore alla prima.
[wpzon spec=”1″ asin=”8866324787,B006DPVSBG,8895703146″ country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Nella nostra società essere povera, brutta e per giunta intelligente condanna a percorsi cupi e disillusi a cui è meglio abituarsi quanto prima. Alla bellezza si perdona tutto, persino la volgarità. E l’intelligenza non sembra più una giusta compensazione delle cose, una sorta di riequilibrio che la natura offre ai figli meno privilegiati, ma solo un superfluo gingillo che aumenta il valore del gioiello. La bruttezza, invece, di per sé è sempre colpevole, e io ero già votata a quel tragico destino, reso ancora più doloroso se si pensa che non ero affatto stupida.