
Una delle cose che mi hanno sempre stupito della scuola italiana è quanto peso si dia alle vite dei vari autori. Di Manzoni, Leopardi, Svevo o D’Annunzio studiamo prima di tutto la biografia e, in un secondo momento, qualche opera qua e là. Di Raffaello, Rubens o Braque ricordiamo vita, morte e miracoli, mentre sulle opere ci limitiamo giusto a un paio di cose.
E lo stesso vale per molte altre materie umanistiche. Mentre, paradossalmente, non sappiamo quasi nulla delle vite dei matematici, dei chimici, dei biologi e dei fisici che hanno cambiato il mondo in cui viviamo.
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Questa ossessione per la biografia può anche essere giustificata in certi casi – non si capisce Pascoli se non si conosce la sua storia, è chiaro – ma, forse perché più semplice da spiegare e da studiare, diventa spesso la scappatoia per evitare di affrontare davvero la letteratura, l’arte, la filosofia.
Quando siamo partiti dalle opere
Qui, finora, abbiamo cercato di fare il contrario, partendo dalle opere per presentare un po’ della vita di tanti pittori. Così abbiamo fatto con Picasso, Van Gogh, Warhol e gli esponenti della street art. Però non possiamo negare che le biografie piacciono anche a noi, indipendentemente dalle opere d’arte, perché presentano velocemente uno squarcio sulla vita e sull’epoca di un grande artista.
E, soprattutto, a leggere davvero il racconto delle vite dei grandi della nostra storia si scoprono cose che a scuola, nonostante tutto, non venivano dette o finivano dimenticate nelle note a piè di pagina.
È anche per questo che vogliamo ora approfondire cinque aspetti della biografia di Leonardo da Vinci poco noti al grande pubblico. Perché sono sì aneddoti simpatici da raccontare e da leggere, ma forniscono anche una panoramica più completa su un personaggio che fu fondamentale per la storia del nostro Rinascimento.
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Indice
Figlio illegittimo
La lotta per l’eredità paterna
Non molti sanno che Leonardo ebbe un’infanzia abbastanza complessa, anche se di per sé non difficile. Suo padre, Piero da Vinci, era l’ultimo erede di una famiglia di notai fiorentini. Notaio era stato il bisnonno di Piero, Guido, agli inizi del ‘300. Notaio fu suo nonno, che si chiamava anch’egli Piero. E notaio era pure suo padre Antonio, che tra l’altro aveva sposato la figlia di un notaio.
Insomma, il mestiere del padre di Leonardo era già deciso a priori, come era deciso che avrebbe dovuto sposare la discendente di una famiglia di pari rango. Piero, però, aveva un debole per le donne e non seppe aspettare. A 25 anni mise così incinta una certa Caterina, una popolana, e da questo rapporto illecito nacque Leonardo.
Il matrimonio riparatore
Il nonno Antonio si adoperò per risolvere la situazione. Per Caterina si trovò, anzi si pagò, un marito disposto a farsi carico di una donna “compromessa”, e lo si trovò in un contadino. Un tipo che probabilmente non era del tutto raccomandabile, visto che il suo soprannome, riportato nei documenti, era “Achattabriga”.
Leonardo fu comunque allevato dal padre, che si sposò quello stesso anno con Albiera Amadori, sedicenne, com’era d’uso allora. Albiera fece da madre al futuro artista fino ai dodici anni, non riuscendo però a dare figli legittimi a Piero. Morì infatti, appena ventottenne, nel 1564, ma fu sostituita in quello stesso anno da una nuova moglie, Francesca Lanfredini, addirittura quindicenne (Piero di anni ne aveva a questo punto 37).
I molti fratellastri
Anche Francesca non riuscì a dare figli legittimi al notaio e morì qualche anno dopo. Una terza moglie arrivò nel 1475, Margherita Guglielmo, quando ormai Leonardo, più che ventenne, viveva per conto suo. Questa riuscì finalmente a dare al marito addirittura sei figli, prima di morire anch’essa prematuramente. In tarda età Piero ebbe infine una quarta moglie che gli diede altri sei figli, per un totale di dodici fratellastri per Leonardo, l’ultimo dei quali nacque quando l’artista aveva già 46 anni.
Questi fratelli Leonardo li conobbe poco o nulla, ma si trovò a doverci fare i conti nel 1504, quando suo padre morì. L’artista infatti impugnò l’eredità che era destinata solo ai figli legittimi e portò la questione in tribunale, ma, dopo due anni, la corte diede ragione ai fratellastri e lo escluse definitivamente dal patrimonio paterno.
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La denuncia per omosessualità
Leonardo e le voci sull’allievo Salaì
Nel 1476 Leonardo aveva 24 anni, viveva a Firenze, era già andato a bottega dal Verrocchio e aveva iniziato a produrre le prime opere artistiche. L’8 aprile di quell’anno arrivò una denuncia anonima agli Ufficiali di notte, un corpo creato ufficialmente per controllare la sicurezza notturna della città, ma ufficiosamente per reprimere le attività “sconvenienti” che si compivano quando calava il sole.
La denuncia fu imbucata in una cassetta postale nel Palazzo della Signoria. Affermava che il diciassettenne Jacopo Saltarelli – già noto alle autorità perché si prostituiva – era «parte di molti affari miserabili e consensi per compiacere le persone che richiedono una tale malvagità da lui». Furono accusati di aver praticato sodomia con lui un sarto di nome Baccino, un orefice di nome Bartolomeo, Leonardo da Vinci e Leonardo Tornabuoni, esponente di un’antica famiglia nobiliare legata ai Medici.
Il rischio di evirazione
Proprio per la presenza del Tornabuoni, la situazione volse a favore di Leonardo. La pena in casi del genere infatti prevedeva l’evirazione, ma tutte le accuse vennero messe a tacere e gli accusati vennero perdonati sostanzialmente con la condizionale.
Sulla sessualità dell’artista, però, mai furono chiariti i dubbi. Non si sposò mai, né ebbe figli. È noto che Freud scrisse un celebre saggio interpretando un ricordo d’infanzia di Leonardo come la chiave del rapporto con la madre e di come avesse sublimato la sua energia sessuale nell’arte. In ogni caso, esistono disegni privati di Leonardo che raffigurano alcuni suoi modelli maschili in pose vagamente erotiche o col pene eretto.
Il rapporto con Gian Giacomo Caprotti
Inoltre, alcune voci si sono concentrate su uno dei suoi allievi, il prediletto Gian Giacomo Caprotti, che prese servizio ad appena dieci anni presso il maestro. Il ragazzo fu soprannominato Salaì, da Saladino, ad indicarne il carattere “da diavolo” visto che, annotava Leonardo, era «ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto».
Crescendo però divenne allievo e spesso modello (anche per personaggi femminili) del maestro, che lo ritrasse pure nelle pose erotiche già citate. Fu sempre protetto da Leonardo nonostante le sue malefatte, e secondo alcuni questo lascerebbe pensare che i due avessero avuto un rapporto non solo professionale.
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Perfino musicista
L’amore per la lira e il successo a Milano
Leonardo non era solo un ingegnere, un inventore e un artista, ma anche un musicista, dimostrando – se ancora ce ne fosse bisogno – la sua estrema poliedricità e i molteplici interessi. Attorno ai trent’anni, infatti, fu inviato da Lorenzo il Magnifico a Milano, alla corte degli Sforza, a fare da ambasciatore della cultura fiorentina.
L’artista si presentò con una lira da braccio (uno strumento rinascimentale simile a una viola, ma con sette corde e un manico più corto e piatto) da lui stesso realizzata a forma di testa di cavallo. Suonandola incantò tutti i convenuti e si aggiudicò addirittura una gara musicale grazie alla sua bravura.
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D’altro canto, sia il Vasari che l’Anonimo Gaddiano, le due principali fonti per ricostruire la vita dell’artista fiorentino, spiegano che era un eccellente suonatore di lira e studioso di musica. Non è un caso che nei suoi codici si trovino pagine su pagine di riflessioni e studi di armonia ma anche di progetti per nuovi strumenti, che dovevano sfruttare le caratteristiche da lui studiate e rendere più facile l’esecuzione di suoni complessi.
In particolare, inventò la viola organista e la clavi-viola. Non si sa se lui stesso li costruì, ma in epoca moderna gli unici esemplari funzionanti sono stati realizzati nell’ultimo decennio e suonati in occasione di rievocazioni della musica rinascimentale.
Esperimenti quasi suicidi
Lo studio degli uccelli e le conseguenze per i suoi allievi
È risaputo che una delle ossessioni che accompagnarono Leonardo da Vinci per tutta la sua vita fu quella per il volo. I suoi appunti sono pieni di studi sugli uccelli e di disegni di prodigiose macchine volanti che probabilmente, a cavallo tra il ‘400 e il ‘500, sembravano qualcosa di molto vicino alla stregoneria.
Nei primi anni del nuovo secolo anzi meditò l’opportunità di scrivere un intero trattato sul volo diviso in quattro parti, idea che poi abbandonò. Scrisse invece un codice di 18 pagine in cui con dovizia di particolari descriveva la sua macchina, il Grande Nibbio, dando anche un buon numero di indicazioni all’eventuale pilota. Fin qui, però, si tratta di cose note e risapute.
La gamba rotta di Tommaso Masini
Quello che non si sa, anche perché in realtà non ci sono conferme sicure e quindi il fatto è ammantato di leggenda, è che Leonardo pare avesse costruito davvero la sua macchina. E che, sulla collina di Fiesole, abbia provato a farla volare.
Ad accompagnarlo e anzi a fungere da pilota sembra sia stato il suo collaboratore Tommaso Masini, noto anche come Zoroastro. La macchina però non funzionò come avrebbe dovuto, visto che la leggenda vuole anche che Masini ne sia uscito piuttosto male, con almeno una gamba rotta.
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Le critiche a Michelangelo
I contrasti tra i due grandi del Rinascimento
Alcuni indizi sparsi durante la seconda permanenza di Leonardo a Firenze, tra il 1501 e il 1508, lasciano pensare che i rapporti tra il maestro e il più giovane Michelangelo fossero tutt’altro che buoni. Buonarroti aveva allora una trentina d’anni, ventitré in meno di Leonardo, e aveva già passato qualche anno a Roma realizzando capolavori come La pietà, che gli avevano dato grande fama.
Il primo, quindi, era un grande maestro che si avviava verso la fine della sua vita e anche in città era capito solo fino a un certo punto. Il secondo era invece l’astro nascente dell’arte fiorentina. Quello che Leonardo non amava dell’arte di Michelangelo era la troppa attenzione per l’anatomia umana, attenzione che aveva stigmatizzato, pur senza far nomi, anche nel suo Trattato della pittura. Un libro che fu pubblicato postumo ma in cui si scagliava contro «gli eccessi anatomici e la retorica muscolare».
Il lavoro al Salone dei Cinquecento
Questa differenza di vedute emerse, in maniera chiara ed inequivocabile, all’inizio del 1504. Negli anni precedenti i due artisti avevano ricevuto dalla città l’incarico di decorare due pareti opposte del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, sulle quali dovevano rappresentare l’uno – Leonardo – la Battaglia di Anghiari e l’altro – Michelangelo – quella di Cascina.
Leonardo però fallì clamorosamente nella scelta della tecnica realizzativa, che doveva sempre forzare visto che l’affresco tradizionale gli dava troppo poco tempo rispetto ai suoi standard. E il fatto di avere il giovane Michelangelo a lavorare a pochi metri da lui e a notare i suoi problemi non doveva avergli fatto piacere.
La commissione con Botticelli, Luppi e il Perugino
Nel 1504, poi, a Leonardo fu chiesto di partecipare a una commissione con i colleghi Sandro Botticelli, Filippino Lippi, il Perugino ed altri per giudicare quale fosse il luogo più adatto per la collocazione del David di Michelangelo. La scultura, infatti, creata in tre anni per l’Opera del Duomo era piaciuta così tanto alla cittadinanza che ora la si voleva porre in una posizione di rilievo.
Leonardo, che come detto non amava i nudi muscolosi del più giovane concittadino, propose di collocarla in una nicchia nella Loggia della Signoria. Una posizione ben defilata, come se si trattasse appunto di un’opera poco riuscita. La sua posizione, per fortuna, risultò minoritaria e venne preferita la proposta di Lippi di piazzarla esattamente davanti a Palazzo Vecchio.