
C’è stato un lunghissimo periodo in cui essere una persona di colore, negli Stati Uniti, non era affatto facile. E non ci stiamo riferendo soltanto al periodo dello schiavismo, che da questo punto di vista è tutto sommato scontato. Perfino fino a pochissimi anni fa – e, in misura minore, ancora oggi – gli afroamericani venivano discriminati nella società, nel lavoro, nei diritti civili.
Avrete sicuramente letto dei recenti problemi tra la polizia e quella comunità (che comunque non sono una novità), ma basta andare con la memoria alla rivolta di Los Angeles del 1992, avvenuta in un momento in cui si pensava che l’integrazione fosse ormai realtà, per rendersi conto di quanto problematico possa essere avere la pelle di un colore diverso.
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Nel suo piccolo, anche ad Hollywood gli attori di colore hanno vissuto varie forme di discriminazione. Ma il mondo del cinema, come quello della TV, ha avuto e continua ad avere un indubbio merito rispetto al mondo esterno: lavora, e lo fa da anni, per superare queste discriminazioni.
Il cinema che supera le discriminazioni
Mentre nella vita vera neri, ispanici e i rappresentanti di altre minoranze faticano ad integrarsi, sul piccolo e sul grande schermo ci si sforza continuamente di inserirle, mostrarne le vite, far vedere che un mondo insieme è possibile, pur nelle differenze.
A trarre giovamento da questo tentativo di dar spazio a tutte le minoranze sono stati gli attori di colore, che mai come in questi ultimi vent’anni hanno trovato ruoli pronti per loro. Alcuni di essi sono riusciti ad arrivare perfino all’Oscar, sia in campo maschile che femminile, un traguardo raggiunto per la prima volta dal veterano Sidney Poitier.
Ma quali sono, oggi, gli attori di colore più famosi e bravi? Ne abbiamo scelti cinque, in modo da potervi presentare le loro prove recitative più convincenti e uno spaccato delle loro carriere. Eccoli, in ordine d’anzianità.
Indice
1. Morgan Freeman
Dalla povertà all’Oscar
A proposito di premi Oscar, uno di quelli che è riuscito a vincerlo è Morgan Freeman, anche se il traguardo è stato raggiunto più tardi del previsto e per un ruolo da non protagonista.
Era infatti il 2006 e Freeman aveva quasi 68 anni quando salì sul palco della premiazione per ritirare la statuetta per Million Dollar Baby di Clint Eastwood, coronando la sua quarta candidatura (una quinta sarebbe arrivata qualche anno dopo per Invictus).

Nato a Memphis nel 1937, era figlio di un barbiere e di una donna delle pulizie. Dopo qualche esperienza in gruppi teatrali scolastici, le sue umili origini lo spinsero a iniziare a lavorare come meccanico. Attorno ai trent’anni, però, riuscì a fare il salto dal teatro amatoriale – che aveva continuato a frequentare – al mondo dei professionisti, esordendo a Broadway.
Da lì arrivarono i primi ingaggi, soprattutto televisivi: iniziò a farsi conoscere infatti per essere entrato nel cast della soap Destini e del programma educativo The Electric Company.
Le mega produzioni
Sul finire degli anni ’80, ormai cinquantenne, gli si aprirono quindi le porte del cinema. Ottenne una prima nomination agli Oscar con Street Smart – Per le strade di New York, film da noi poco noto, ma nel 1989 si confermò con A spasso con Daisy, che lo rese una star.
Arrivarono così le mega produzioni: recitò in Robin Hood – Principe dei ladri con Kevin Costner, Gli spietati ancora di Clint Eastwood, Le ali della libertà con Tim Robbins, Seven con Brad Pitt e Kevin Spacey.
Negli ultimi anni, oltre ad aver recitato in alcuni film di Batman diretti da Christopher Nolan, si è dedicato anche a presentare alcuni documentari scientifici di notevole successo. Memorabile, infine, anche la sua interpretazione dell’Onnipotente nella commedia Una settimana da Dio con Jim Carrey e nel suo seguito Un’impresa da Dio.
2. Samuel L. Jackson
Da Spike Lee a Quentin Tarantino
Un altro attore di colore che ha avuto un successo tutto sommato tardivo è Samuel L. Jackson. Nato a Washington nel 1948, venne presto abbandonato dal padre e quindi cresciuto dalla madre e dai nonni in Tennessee. Si avvicinò alla recitazione perché gliela consigliarono come un buon modo per superare una lieve balbuzie.
Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 cominciò così a trovare qualche parte a New York, lavorando anche nella stessa compagnia teatrale di Morgan Freeman. Inoltre, partecipò alla lavorazione del serial I Robinson, senza però mai comparire in video.
La sua carriera, che all’inizio sembrava promettente, stentava però a decollare, e iniziò di conseguenza un difficile periodo contrassegnato anche dalla dipendenza da alcool e droga.
A risollevare le sorti di Jackson fu Spike Lee, che gli offrì ruoli di discreto rilievo in Fa’ la cosa giusta, Mo’ Better Blues e Jungle Fever. Il successo di quelle pellicole – l’ultima delle quali fruttò all’attore anche un riconoscimento a Cannes – gli aprì le porte di produzioni sempre più costose.
Da Jurassic Park a Pulp Fiction
Negli anni ’90 recitò così in Jurassic Park e soprattutto diede il via a una lunga e proficua collaborazione con Quentin Tarantino, che da Pulp Fiction in poi l’ha spesso voluto nei suoi film. Basti pensare ai suoi ruoli in Jackie Brown, in Django Unchained e in The Hateful Eight.
In mezzo, tante altre collaborazioni: ha condiviso la scena con Bruce Willis in Die Hard – Duri a morire nel 1995 e in Unbreakable nel 2000, mentre ha recitato anche nella trilogia prequel di Star Wars.
Negli ultimi anni, infine, è diventato il Nick Fury ufficiale del Marvel Cinematic Universe, complice il fatto che i fumettisti Mark Millar e Bryan Hitch si siano ispirati a lui nel disegnarne la versione “Ultimate” all’inizio degli anni Duemila.
È così comparso in The Avengers e Avengers: Age of Ultron, oltre che in una miriade di altre pellicole supereroistiche, con ruoli più o meno lunghi. Infine, è ritornato a lavorare con Spike Lee in Oldboy e Chi-Raq.
3. Denzel Washington
Il più amato dall’Academy
Come abbiamo visto, negli ultimi anni il premio Oscar non è stato più un tabù per gli attori – e per le attrici – di colore.
Il professionista più amato dall’Academy è però senza dubbio Denzel Washington, che in carriera può vantare due Premi Oscar (per Glory e Training Day) ma anche altre quattro nomination, oltre a tre Golden Globe (ancora per Glory, per Hurricane e alla carriera) e a due Orsi d’argento a Berlino (per Malcolm X e ancora per Hurricane).
Nato nel 1954, si appassionò alla recitazione a scuola, esordendo nel mondo dello spettacolo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. La fama crebbe a partire dal 1982, quando ottenne la parte di un medico nella serie TV A cuore aperto, in cui comparve per sei stagioni.
Iniziarono così ad arrivare ingaggi per parti sempre più impegnate: nel 1987 recitò in Grido di libertà di Richard Attenborough, mentre nel 1990 ottenne ottime critiche per il suo lavoro in Glory.
La maturità
Ormai maturo, divenne protagonista di alcuni dei film più significativi degli anni ’90. Avviò infatti una collaborazione con Spike Lee che, dopo Mo’ Better Blues, lo rese protagonista di Malcolm X e He Got Game.
Inoltre conquistò il grande pubblico con Philadelphia e Il rapporto Pelican, mentre nel 1999 conquistò una serie di altri riconoscimenti per il ritratto del pugile Rubin Carter in Hurricane.
Come detto, il secondo Oscar è arrivato per Training Day, ma negli ultimi anni ha recitato con ottimi risultati anche in Il sapore della vittoria, American Gangster e Flight.
4. Laurence Fishburne
Tra Matrix e il piccolo schermo
Forse meno noto degli altri della nostra cinquina, Laurence Fishburne è però un attore di ottimo livello, non a caso premiato in varie circostanze. Un attore la cui carriera si è divisa in maniera abbastanza equa tra cinema e televisione, spesso con produzioni importanti.
Nato ad Augusta, in Georgia, nel 1961, è cresciuto e ha studiato a New York. Il suo esordio nel mondo della recitazione è avvenuto prestissimo, visto che ad appena 14 anni, mentendo sulla propria età, riuscì a farsi prendere per una parte in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, uscito poi, dopo una lunghissima lavorazione, qualche anno più tardi.
Quella parte non passò inosservata e contribuì a portargli i primi ingaggi. Nei primi anni ’80 recitò in film di cassetta come Il giustiziere della notte 2 e Nightmare 3, ma anche in produzioni di livello come Il colore viola di Steven Spielberg e una serie di altre pellicole di Coppola (Rusty il selvaggio, Cotton Club e Giardini di pietra).
Iniziò poi a lavorare a una lunga serie di film spesso accolti da ottime critiche, ma dallo scarso successo presso il grande pubblico. Tra questi, vale la pena di segnalare Tina – What’s Love Got to Do with it, che gli fruttò una nomination agli Oscar.
La svolta nella carriera
Fishburne, insomma, sembrava destinato a rimanere un attore per pochi, almeno fino alla fine degli anni ’90, quando impersonò Morpheus in Matrix e nei suoi seguiti.
Il successo straordinario di quella pellicola e la sua abilità nell’impersonare la guida di Neo ne rilanciarono le quotazioni. Comparve così in Mystic River, Mission: Impossible III e altri film, fino ai recenti L’uomo d’acciaio e Batman v Superman: Dawn of Justice.
Nel frattempo, cominciò a lavorare anche sul piccolo schermo. Già nei primi anni ’90 una sua partecipazione come guest star alla serie TriBeCa gli aveva fruttato un Emmy, ma sul finire del primo decennio degli anni Duemila fu assunto come principale protagonista di C.S.I. – Scena del crimine per sostituire Gil Grissom/William Petersen.
Dopo tre stagioni all’interno di quello show, negli ultimi anni ha recitato anche in Hannibal della NBC.
5. Will Smith
Da rapper a divo in poche semplici mosse
Concludiamo col più giovane dei cinque, Will Smith. Nato a Filadelfia nel 1968, ha avuto una carriera piena di successi e molto originale, che l’ha visto spaziare dalla musica alla TV, dalle megaproduzioni ai film più impegnati.
L’esordio avvenne poco dopo la metà degli anni ’80, quando, assieme all’amico Jeffrey Townes e a Clarence Holmes diede vita, nella natia Filadelfia, a un trio rap chiamato DJ Jazzy Jeff & the Fresh Prince.
Il trio incise tre album nel giro di tre anni: Rock the House (1987), He’s the DJ, I’m the Rapper (1988, con 3 milioni di copie vendute) e And in This Corner… (1989). In questa veste, ottenne anche un Emmy nel 1988 per la canzone Parents Just Don’t Understand.
La TV cominciò così a interessarsi a questo ragazzo poco più che ventenne e dalla grande presenza scenica. Nel 1990 sulla NBC venne varata una sitcom che in lingua originale giocava sul suo nome d’arte, The Fresh Prince of Bel-Air (in italiano: Willy, il principe di Bel-Air), che descriveva la vita di un ragazzo dei sobborghi di Filadelfia trapiantato nella ricca Los Angeles.
Nei dischi e al cinema
Il successo fu strepitoso, oltre ogni più rosea aspettativa, e mostrò il talento comico del rapper. Il passaggio al cinema fu pressoché immediato: nel 1995 arrivò il campione d’incassi Bad Boys, nel 1996 fu la volta di Independence Day e nel 1997 di Men in Black.
Intanto proseguiva anche la carriera da rapper, anche se ormai come solista. Big Willie Style, rilasciato nel 1997, superò i 10 milioni di copie vendute in tutto il mondo, mentre Willennium, di due anni dopo, si fermò a un quarto di quella cifra.
A partire dall’anno 2000, complice la maturità, iniziò a cercare però ruoli diversi al cinema: non più la star ironica e d’azione, ma anche l’attore capace di interpretare ruoli drammatici. Il primo grande successo da questo punto di vista fu Ali di Michael Mann.
La ricerca della felicità, diretto dal nostro Gabriele Muccino ma fortemente voluto – anche a livello produttivo – da Smith, rappresentò il completamente di quella svolta. Un completamento che gli fruttò la seconda nomination agli Oscar (dopo, appunto, Ali).
Da quel punto in poi i film di cassetta si sono alternati ad altri più impegnati: tra i tanti, vale la pena citare Io sono leggenda, Sette anime e la pellicola di prossima uscita Suicide Squad, in cui interpreterà il cattivo dei fumetti Deadshot.
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