Cinque bei film ambientati a scuola

Robin Williams e i suoi allievi in L'attimo fuggente, uno dei più famosi film ambientati in una scuola, in questo caso un collegio maschile

Inutile sorprendersi: la vita di un adolescente, volenti o nolenti, ruota attorno alla scuola. A scuola riceve premi e delusioni, a scuola si confronta coi coetanei, a scuola, spesso, intrattiene anche le prime relazioni d’amore. A scuola impara a conoscere il mondo e si prepara ad uscire la famiglia. E questo avviene sia quando l’esperienza scolastica è positiva, sia – e forse addirittura di più – quando è negativa.

Cercare di ritrovare le proprie esperienze sul grande schermo

È normale, quindi, che i teenager cerchino poi anche sul grande schermo storie che raccontino quelle stesse dinamiche. O che, quantomeno, permettano loro di sognare una realtà uguale e diversa. Tutti noi, d’altra parte, vorremmo che le nostre esperienze fossero raccontate al cinema, un po’ per esorcizzare, un po’ per sognare. Quando si è adolescenti, complice l’età, tutto questo poi è elevato all’ennesima potenza.

Di film ambientati a scuola sono pieni gli archivi delle videoteche (o, come si dovrebbe dire ormai, i server di Netflix). C’è da perdere l’orientamento. Ce ne sono di drammatici e comici, di nuovi e di vecchi, con attori sconosciuti e con interpreti notissimi.


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Abbiamo cercato di sceglierne cinque di diversi momenti e di diverso stile, ma tutti accomunati da una buona qualità e da un interessante ritratto della vita scolastica. Eccoli, dal più recente al più vecchio.

 

1. School of Rock

Ritrovare entusiasmo tra i banchi grazie alla musica

Ricordate Alta fedeltà, il film di Stephen Frears tratto da un bel romanzo di Nick Hornby? Speriamo di sì, perché altrimenti dovete assolutamente recuperarlo.

In quel film – ambientato perlopiù all’interno di un negozio di dischi – John Cusack interagiva soprattutto con un giovane Jack Black, al primo ruolo importante. Un Jack Black che si trovava perfettamente a suo agio nella parte del fanatico di musica rock e cantante dilettante.

Un film calzato a pennello su Jack Black

Ci si trovava bene perché Black è effettivamente tutto questo. Già dagli anni ’90, infatti, l’attore californiano fa parte dei Tenacious D, un duo di rocker molto seguito. Per questo, quando lo sceneggiatore Mike White iniziò a ideare una commedia per il nuovo talento cinematografico, fu per lui normale pensare di ambientarla nel mondo del rock. L’idea originale fu casomai un’altra: quella di spostare questa commedia musicale all’interno di una scuola.

La storia di School of Rock è infatti quella di un rocker squattrinato che per un equivoco si trova ad insegnare a dei ragazzini.

Nella scuola, dopo una fase di ambientamento, il professore sui generis intuisce le potenzialità dei ragazzi e decide di farli concorrere in una sfida tra band, cercando nel frattempo di nascondere il tutto alla severa preside. Tra entusiasmanti lezioni sulla storia del rock, prove sempre più convincenti e qualche inevitabile colpo di scena, il protagonista riesce a condurre in porto l’impresa.

Il film è una commedia tutto sommato prevedibile nella sua impostazione di fondo, ma ci sono degli elementi che la fanno emergere rispetto a tante altre dalla trama simile. Intanto, è da segnalare l’ottima interpretazione di Black, perfettamente calato in una parte che gli è stata cucita su misura. Poi buona è anche la prova del regista, il navigato Richard Linklater, che riesce a non indugiare troppo sugli aspetti più macchiettistici.

Infine, la colonna sonora è memorabile. Anche perché può vantare – caso più unico che raro – una canzone dei Led Zeppelin, che hanno concesso eccezionalmente Immigrant Song convinti da un accorato appello video proprio di Jack Black.

 

2. L’attimo fuggente

Un istrionico professore e i suoi allievi

School of Rock è un film relativamente recente, ma ora facciamo un balzo indietro, con una pellicola che per certi versi gli assomiglia ma che affronta le questioni da una prospettiva più adulta. Stiamo parlando de L’attimo fuggente, il film che da quasi trent’anni rappresenta nel bene e nel male lo “standard” della storia ambientata a scuola.

Diretto nel 1989 da Peter Weir, il film trova il suo protagonista in un Robin Williams forse alla sua miglior interpretazione, o quantomeno in quella più commovente.


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Ma accanto a lui gravitano tanti bravissimi e giovani attori – gli interpreti dei suoi studenti –, alcuni dei quali destinati ad una buona carriera. Meritano in questo senso almeno una menzione Robert Sean Leonard, visto in Dr. House, ed Ethan Hawke, poi quattro volte in nomination agli Oscar.

L’indimenticabile John Keating

La storia è ambientata nell’America della fine degli anni ’50. Il professore di letteratura John Keating viene all’inizio dell’anno assegnato a un collegio maschile, e subito comincia a familiarizzare con la nuova classe.

È un insegnante però ben diverso dalla media: disdegna le pedanti dissertazioni dei libri e preferisce andare direttamente alla fonte, leggendo in classe le poesie senza alcuna preparazione teorica antecedente.

Col suo fare istrionico cattura pian piano l’attenzione e la fiducia degli allievi, spingendoli ad agire con più coraggio e a mettere da parte timidezze e paure. Nella società chiusa dell’epoca, però, questo ha degli effetti anche tragici.

La pellicola, che di certo non mancava di retorica e agiva con una certa furbizia nell’ingraziarsi la stima degli spettatori più giovani, è però entrata nella storia. La sua energia vitale, le ottime interpretazioni degli attori e la sapiente regia di Weir, infatti, hanno permesso ai più di sorvolare su qualche eccesso.

Tanto è vero che ancora oggi la pellicola è una delle più commoventi e amate nel suo genere. Alcune frasi, non a caso, rimasero impresse nella gioventù del periodo, come il saluto whitmaniano «O capitano! Mio capitano!» o l’appello oraziano a cogliere l’attimo.

 

3. Una pazza giornata di vacanza

Mille modi per marinare la scuola

Gli anni ’80 furono sicuramente il decennio d’oro dei film di ambientazione scolastica. Per la prima volta c’era una generazione nuova, completamente diversa da quelle che la avevano preceduta, e ben difficile da decifrare, che però il cinema riusciva in qualche modo a rappresentare. Non che negli anni precedenti Hollywood non fosse stata capace di ritrarre i giovani: l’aveva fatto eccome, e spesso con esiti strabilianti.

Ma l’aveva fatto o a posteriori, cioè dieci o vent’anni dopo (è il caso di pellicole bellissime come American Graffiti o L’ultimo spettacolo), o l’aveva fatto dalla prospettiva degli adulti.

Negli anni ’80, invece, sembrava che si potesse parlare dei giovani restando al livello dei giovani stessi, e lo si potesse fare in diretta. Maestro indiscusso di questa nuova tendenza fu John Hughes. Un regista e uno sceneggiatore che riuscì a mettere lo zampino in tutte le migliori commedie adolescenziali del decennio, e a volte anche di quello successivo.

Come regista, tra il 1984 e il 1986 realizzò ben quattro film, tutti destinati a diventare di culto. Si tratta di Sixteen Candles, suo esordio dietro alla macchina da presa, Breakfast Club, La donna esplosiva e Una pazza giornata di vacanza.

Quest’ultimo aveva per protagonista un Matthew Broderick al massimo della forma ed era forse più scanzonato della media, ma per molti versi anticipava la struttura delle pellicole che il regista avrebbe scritto negli anni seguenti.

John Hughes e gli anni ’80

Infatti, a ben guardare, Una pazza giornata di vacanza teneva ancora in piedi alcuni elementi di indagine dell’insofferenza giovanile, ma lo faceva con grande spirito goliardico. Insomma, la risata – ed è una risata che avremmo ritrovato, per certi versi molto simile, in Mamma, ho perso l’aereo, sempre scritto da Hughes – prendeva il sopravvento sulla confidenza, senza però soffocarla.

Ciononostante, il film non è solo leggero. Nel personaggio di Ferris Bueller e in tutti gli espedienti che riusciva a mettere in piedi per godersi una giornata di vacanza dalla scuola c’era tutta la vitalità di una generazione che faticava a restare nei confini in cui gli adulti l’avrebbero voluta.

Ed esternava nei modi più inconsulti una grande voglia di libertà. Emblematica, da questo punto di vista, la scena in cui il protagonista cantava in playback Twist and Shout durante una parata.

E poi il film è anche un film d’attori: oltre a Broderick, bisogna quantomeno citare il bravo Alan Ruck, Jennifer Grey (che appena un anno dopo avrebbe avuto la sua grande occasione con Dirty Dancing) e un giovanissimo Charlie Sheen.

 

4. Breakfast Club

L’apoteosi di John Hughes

John Hughes tendeva nei suoi film ad usare spesso gli stessi attori, tanto che questi formavano un gruppo ribattezzato dai giornali Brat Pack. Celebre è il caso, ad esempio, di Molly Ringwald, protagonista di tante delle sue prime pellicole. Ma a volte, addirittura, Hughes lavorava con intere dinastie. Come nel caso degli Estevez.

Il cognome forse non vi dirà niente, perché in realtà almeno due dei tre esponenti di questa famiglia hanno deciso di usare uno pseudonimo, quando lavoravano al cinema. E sono i due componenti più famosi: Martin Sheen (protagonista di pellicole come Apocalypse Now e The Departed) e il già citato Charlie Sheen.

Il Brat Pack

In Breakfast Club, che è sicuramente il film più famoso e forse più bello di John Hughes, recita invece un altro figlio di Martin e fratello di Charlie, Emilio Estevez. Assieme a lui ci sono appunto Molly Ringwald, Anthony Michael Hall, Judd Nelson e Ally Sheedy.

La storia è semplice: per motivi diversi, cinque ragazzi delle superiori – tre maschi e due femmine – si trovano a dover passare il sabato a scuola, in punizione. Dovrebbero svolgere un compito assegnato dall’antipatico preside, ma finiscono soprattutto per socializzare.

I cinque sono tra loro molto diversi. Andy è lì perché ha fatto il bullo, nonostante abbia un cuore più tenero di quel che sembra. John è un ribelle che ha fatto suonare l’allarme antincendio. Brian è un ragazzo apparentemente a modo, anche se pare avere tendenze suicide.

Claire è una ragazza leggera, lì perché è andata a fare shopping invece che a scuola. Allison, infine, è una tipa strana, che non a caso non è realmente in punizione ma lì per sua scelta. Insomma, il campionario è vario, e le sue caratteristiche si scoprono lentamente man mano che il film procede.


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Film di culto in America, prende il via dagli stereotipi tipici del genere (in fondo i personaggi sono quelli classici: il secchione, il ribelle, lo sportivo, la tormentata e la sciocca) ma riesce in qualche modo a renderli veri e realistici, lavorando sui personaggi.

Tra l’altro, è memorabile anche qui la colonna sonora, con i Simple Minds che cantano Don’t You (Forget About Me). Una curiosità: i nomi di vari personaggi dei Simpson – nonché espressioni come “ciucciati il calzino” – arrivano proprio da questa pellicola, di cui Matt Groening è un fan.

 

5. Bianca

All’Istituto sperimentale “Marilyn Monroe”

Concludiamo con un film italiano, molto diverso da quelli visti finora. Nel nostro paese, infatti, non è stato affrontato spesso il tema della scuola, e quando lo si è fatto si è incappati perlopiù in esiti dimenticabili. Pensate alle commedie scollacciate degli anni ’70 o a certi film più recenti che risentono dell’influenza di romanzetti da quattro soldi.

Paradossalmente, i film migliori sono stati quelli che hanno affrontato le cose da un punto di vista completamente diverso. E cioè non si sono concentrati tanto sugli alunni, quanto sugli insegnanti.

“La scuola” di Daniele Luchetti

Da questo punto di vista, il nostro cinema ha prodotto sì alcune pellicole degne di nota. Forse la più famosa è La scuola di Daniele Luchetti, interpretato da Anna Galiena, Fabrizio Bentivoglio e da un superbo Silvio Orlando.

Noi per la nostra cinquina abbiamo però scelto un film diverso, molto diverso. Si tratta infatti di Bianca, pellicola datata 1984 diretta e interpretata da Nanni Moretti. Diverso perché in realtà la scuola sembra, almeno in certi punti, più che altro una scusa per dipingere le manie ossessive del protagonista della storia, Michele Apicella.

Il Nanni Moretti delle origini

In realtà, il film è sì una pellicola tipica della prima fase di Moretti, tutto concentrato su di lui e sul suo personaggio, ma la scuola non vi ha affatto un ruolo secondario. Figlio di una professoressa, Moretti sembrava infatti aver capito bene come la scuola di quel tempo si stava evolvendo, e come d’altronde si stavano configurando gli anni ’80.

Nel film infatti lui interpreta un professore di matematica che inizia a lavorare in uno strano istituto sperimentale intitolato nientemeno che a Marilyn Monroe.

In quella scuola tutti i professori sembrano essere diversi dalla norma. Celebre il passaggio, che potete vedere anche qui di seguito, in cui l’insegnante di storia spiega l’origine de Il cielo in una stanza di Gino Paoli invece di occuparsi della politica e della società dell’Italia del dopoguerra.

Ma anche le gite scolastiche sono accompagnate da vecchie canzoni di Lucio Dalla e nelle aule, al posto della foto del Presidente della Repubblica, c’è quella di Dino Zoff con la Coppa del Mondo. Insomma, un ritratto dolceamaro, come la Nutella formato gigante che Moretti mangia nei momenti di depressione.

 

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