Cinque bei film d’amore italiani

Una scena di Chiamami col tuo nome, pluripremiato film di Luca Guadagnino

Ah, l’amore. È una parte essenziale e ineliminabile della nostra vita, con cui dobbiamo sempre fare i conti, ad ogni età. Forse è anche per questo che il cinema ha dedicato a questo argomento alcuni dei suoi più importanti capolavori. Film a volte venati dai toni della commedia, altre volte invece molto più drammatici, ma sempre uniti nel sottolineare l’importanza dei sentimenti e dell’affetto. Anche nel nostro paese questa tendenza, seppur virata in alcuni modi particolari, è stata spesso ampiamente esplorata tramite vari film d’amore italiani.

Già durante il fascismo, ad esempio, esisteva il cosiddetto cinema dei telefoni bianchi, che preferiva stare ben lontano da tematiche sociali e politiche e dedicare spazio invece a storie d’amore che permettessero al pubblico nostrano di distrarsi. Nel dopoguerra questo filone è stato abbandonato ma i film romantici sono tornati in auge, anche se con toni diversi.

Pensate, ad esempio, alcune pellicole neorealiste, o a certi film di Luchino Visconti, in cui emergeva per la prima volta la passione, in grado di essere anche distruttiva e letale, oltre che romantica.

Quelle storie erano lo specchio di un’Italia che era appena uscita dalla guerra, ovviamente. Un’Italia che aveva da poco scoperto che i sentimenti e le passioni – politiche e non – possono anche portare verso il baratro.

Poi, col passare degli anni, i film romantici hanno cambiato di nuovo tono, a volte introiettando i toni della commedia all’italiana, altre volte invece descrivendo le difficoltà dell’uomo moderno e di un’Italia sempre più lanciata verso il boom economico.

Oggi il tema, almeno nel nostro paese, è diventato in buona parte secondario. Da molti anni mancano grandi film d’amore italiani, visto che vengono preferite pellicole più drammatiche o al limite scanzonatamente superficiali.

Colpa anche, forse, della crisi stessa dell’amore e in un certo senso della famiglia, tanto è vero che sono molte di più le storie in cui si raccontano crisi amorose e divorzi di non quelle a lieto fine.

Proprio di recente, però, è uscito un film d’amore italiano che ha riscosso l’attenzione di tutto il mondo. Un film che racconta un amore giovane e omosessuale con una delicatezza molto particolare. Proprio da questo abbiamo deciso di partire con la nostra cinquina.

 

1. Chiamami col tuo nome

Il film di cui abbiamo appena parlato è ovviamente Chiamami col tuo nome, caso mediatico della stagione 2017. Un film che in realtà è italiano solo fino ad un certo punto, ma che non si può non includere in questa cinquina.

La pellicola è infatti tratta da un romanzo dal titolo omonimo, scritto da un autore statunitense, André Aciman. Neppure la sceneggiatura è italiana, visto che è stata curata dal regista – sempre americano – James Ivory, che inizialmente doveva dirigere la pellicola in proprio. L’Italia è entrata in gioco invece quando si è trattato di scegliere la location per le riprese.

Una scena di Chiamami col tuo nome, pluripremiato film di Luca GuadagninoLa storia è infatti ambientata nei primi anni ’80 nel nord del nostro paese, quindi in fase di pre-produzione i finanziatori hanno deciso di fare dei sopralluoghi in Italia. È stato così che è stato assunto come consulente Luca Guadagnino, a sua volta regista e autore di alcuni film come Io sono l’amore e A Bigger Splash.

Per la verità, nel curriculum del regista figura anche un film di scarso valore come Melissa P., ma su questo per ora sorvoliamo.

Da Ivory a Guadagnino

Col passare dei mesi Ivory, autore tra l’altro di una ottima riduzione, si è convinto della necessità di lasciare la regia e ha quindi affidato il compito a Guadagnino, che ha saputo conquistare i finanziatori.

Leggi anche: La lista dei film italiani d’amore più visti degli ultimi anni

Ne è uscito quindi un film che utilizza anche capitali italiani, ma che appunto ha soprattutto un regista, la troupe e alcuni attori di secondo piano provenienti dal nostro paese. I protagonisti e i produttori sono invece perlopiù americani, così come l’autore della colonna sonora, l’importante cantautore Sufjan Stevens.

La trama

Se non l’avete visto di recente al cinema, eccone, brevemente, la trama. I protagonisti, innanzitutto, sono due ragazzi. Da una parte c’è Elio, un diciassettenne italoamericano ebreo che sta trascorrendo le vacanze estive con la famiglia.

Chiamami col tuo nomeDall’altra parte c’è Oliver, un ventiquattrenne sempre ebreo e sempre americano che è stato selezionato per lavorare alla sua tesi di dottorato assieme al padre di Elio, un professore di archeologia.

Tra i due, nell’estate italiana del 1983, nasce una forte attrazione. O, meglio sembra essere Elio ad essere particolarmente attratto da Oliver, mentre quest’ultimo appare a volte assente e distaccato. Tra i due si intromette anche una ragazza, Marzia, ma alla fine il rapporto tra i ragazzi maschi sboccia comunque.

A intristire la situazione però è il fatto che la vacanza italiana è destinata ovviamente a terminare. Quando Oliver si prepara a tornare negli Stati Uniti, i genitori permettono ad Elio di accompagnarlo a Bergamo, dove i due passano qualche giornata assieme.

Quindi Oliver parte e ritorna in America, mentre Elio rimane in Italia. L’epilogo è meno confortante di quanto probabilmente si spererebbe guardando la pellicola, ma è anche vero e autentico, come gli amori spesso sanno essere.

Il grande successo

La pellicola, pur mancando di attori e appunto un regista di grido, ha attirato subito l’attenzione dei critici e degli addetti a lavori, sia in Italia, sia soprattutto negli Stati Uniti. Ha ricevuto non a caso quattro nomination agli Oscar e tre ai Golden Globe.

Solo una di queste nomination, però, è stata convertita in premio: quella all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, per la quale è stato premiato James Ivory.

Hanno però stupito in positivo anche i due attori principali, Timothée Chalamet, che ha prestato il volto ad Elio, e Armie Hammer, che ha invece interpretato Oliver.

I due attori sembrano infatti ora lanciatissimi, dopo questo film, verso una promettente carriera ad Hollywood, nonostante fossero fino a quel momento poco conosciuti. Vantavano infatti nel loro curriculum perlopiù brevi apparizioni in serie TV.

Il sequel

Infine, c’è da dire che la pellicola avrà presto un sequel. L’idea è quella di creare qualcosa di simile alla trilogia di Prima dell’alba di Richard Linklater. D’altronde, nel romanzo Elio e Oliver si ritrovano anche a distanza di 15 anni dai fatti narrati, e questo potrebbe essere lo spunto per un secondo film.

D’altra parte, durante la premiazione degli Oscar 2018, lo stesso Guadagnino ha confermato [1] di essere al lavoro su un sequel assieme al romanziere autore della storia, André Aciman.

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2. Romeo e Giulietta

Passiamo ora ai grandi classici del genere, e partiamo da Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli. Tratto ovviamente dal dramma di William Shakespeare, il film uscì nel 1968 grazie a una coproduzione tra Italia e Gran Bretagna.

Il film venne girato in realtà in lingua inglese, ma la sceneggiatura e la troupe erano completamente italiane. In particolare l’adattamento fu curato dello stesso Zeffirelli assieme a Franco Brusati e Masolino D’Amico. Tra i professionisti poi figuravano tra gli altri Nino Rota alle musiche, Pasqualino De Santis alla fotografia e Danilo Donati ai costumi.

Erano invece inglesi gli attori principali, in particolare i due protagonisti, Leonard Whiting (Romeo) e Olivia Hussey (Giulietta). Proprio loro due destarono molto scalpore: gli interpreti infatti avevano rispettivamente 17 e 16 anni al momento delle riprese, per precisa scelta di Zeffirelli.

Un adattamento fedele

L’obiettivo del regista era infatti quello di creare un adattamento il più possibile fedele all’originale. Visto che nella tragedia i protagonisti erano due ragazzini, il regista scelse quindi due interpreti giovanissimi. Una scelta che non mancò di suscitare polemiche soprattutto per via di alcune scene piuttosto esplicite, almeno per la moralità dell’epoca.

Rimase negli annali ad esempio l’esperienza della protagonista. La Hussey infatti recitò in una scena a seno scoperto ma, quando il film uscì, non le fu permesso di entrare nei cinema per via della censura che aveva vietato la pellicola ai minorenni. Il paradosso fu che le fu sostanzialmente proibito di vedersi nuda, cosa che comunque poteva fare in ogni momento.

Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli

La trama è quella classica shakespeariana. Romeo e Giulietta sono due giovani di Verona, appartenenti a due diverse famiglie, rispettivamente i Montecchi e i Capuleti. Queste due famiglie, però, sono in lotta tra loro da diversi anni e hanno dato vita a una vera e propria faida.

Il problema è che i due ragazzi si innamorano e decidono di frequentarsi nonostante l’odio dei rispettivi parenti. Una frequentazione che, tra l’altro, avviene ovviamente di nascosto, perlopiù di notte, grazie alla complicità di alcuni personaggi terzi.

La più celebre storia d’amore

La storia, come è noto, ha un finale tragico, con i due ragazzi che finiscono per suicidarsi per il timore che il loro amore non sia più possibile. Nel mentre, però, assistiamo allo sbocciare di un affetto sincero e di una passione travolgente, oltreché adolescenziale. Una passione che ha fatto la storia della letteratura e del cinema.

Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli, uno dei film d'amore italiani più noti

Alla sua uscita il film fu infatti un successo planetario, incassando quasi 40 milioni di dollari solamente negli Stati Uniti. Molti critici elogiarono il lavoro di Zeffirelli, tanto che il celebre giornalista americano Roger Ebert arrivò a definire questo film il migliore adattamento mai realizzato da Shakespeare.

Importanti furono comunque anche i riconoscimenti a livello di premi. Romeo e Giulietta ottenne quattro nomination agli Oscar e riuscì a portarne a casa due: quello per la miglior fotografia e quello per i migliori costumi.

Inoltre arrivarono anche tre Golden Globe (due dei quali ai due attori protagonisti) e cinque Nastri d’argento e tre David di Donatello in Italia.

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3. Le notti bianche

I primi due film che vi abbiamo presentato sono piuttosto noti, o perché se ne è parlato moltissimo di recente, o perché rappresentano dei classici. La terza pellicola, cioè Le notti bianche di Luchino Visconti, è invece un film molto meno noto, ma non meno bello.

Realizzato nel 1957, in un momento in cui il cinema italiano stava passando dal Neorealismo alle pellicole d’autore, il film si ispirava ad un celebre racconto di Fëdor Dostoevskij.

C’era però una fondamentale differenza rispetto all’originale: la novella dello scrittore russo era ambientata a San Pietroburgo, mentre il film si svolgeva tra i vicoli e le strade di Livorno, abilmente ricostruita all’interno degli studi di Cinecittà.

Mario e Natalia

La trama è molto semplice, a suo modo anche molto romantica, ma soprattutto triste. Il protagonista è Mario, un giovane che svolge una vita piuttosto ordinaria. Una notte, mentre passeggia per le strade della sua città, si imbatte in una ragazza bionda e straniera di nome Natalia.

Le notti bianche di Luchino ViscontiL’attrazione per la donna è immediata, cosa che colpisce molto la psiche di Mario. E questa attrazione si ripresenta la sera successiva, quando due si incontrano di nuovo e iniziano a parlare. La possibile storia d’amore è impedita però sul nascere dal fatto che la ragazza confessa di essere già innamorata.

Natalia sta infatti aspettando il ritorno di un uomo, e anzi chiede a Mario di farsi messaggero per lei, tanto da affidargli una lettera per l’altro tizio. Una serie di vicissitudini sembra però far prevalere la storia d’amore tra Mario e Natalia, anche se alla fine tutto sarà vano.

Il film, frutto di una coproduzione italo-francese, venne sceneggiato dallo stesso Visconti assieme a Suso Cecchi D’Amico, sua storica collaboratrice. Con lei aveva già lavorato in Bellissima del 1951 e Senso del 1954 e avrebbe poi lavorato anche a Rocco e i suoi fratelli, Il Gattopardo e altre pellicole.

Marcello Mastroianni e Maria Schell

Nei due ruoli principali si presentarono due giovani interpreti che fornirono una grande prestazione. Il ruolo di Mario fu affidato a Marcello Mastroianni, all’epoca poco più che trentenne e da poco capace di guadagnarsi ruoli da protagonista in pellicole importanti.

Marcello Mastroianni in Le notti biancheLa ragazza, invece, era interpretata da Maria Schell, attrice viennese naturalizzata americana. La giovane donna aveva da qualche mese iniziato a lavorare in Europa, recitando in Gervaise di René Clément e in altre pellicole, ma questa rimase probabilmente la sua interpretazione più famosa.

Molti anni dopo l’abbiamo ritrovata, ma per un ruolo secondario, pure in Superman, il primo adattamento del fumetto interpretato da Christopher Reeve.

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4. Il postino

Non parla solo d’amore, ma anche di poesia e di amicizia Il postino, l’ultimo e forse più bel film di Massimo Troisi. Uscito nel 1994, fu infatti in un certo senso il testamento spirituale dell’attore e regista partenopeo, che venne a mancare alla fine delle riprese.

Anche in questo caso, alla base della pellicola c’era un libro, Il postino di Neruda dello scrittore cileno Antonio Skármeta. Prendendo ispirazione da un periodo d’esilio del grande poeta sudamericano, Skármeta aveva immaginato che questi conoscesse e facesse amicizia con un postino italiano.

Massimo Troisi e Philippe Noiret ne Il postinoAlloggiato in una remota isola del sud Italia abitata solo da analfabeti, Neruda infatti continuava a ricevere lettere. Per questo nel villaggio si era assunto un postino – Mario Ruoppolo – affinché gli recapitasse le numerose missive.

Un’amicizia prima, un amore poi

Tra Ruoppolo e Neruda sorse quindi quasi subito una forte amicizia, rinsaldata anche dall’ammirazione che il postino cominciava presto a nutrire per il poeta. Anche perché la poesia diventava, per Mario, strumento di conquista e d’amore.

Il postino, l'ultimo film di Massimo TroisiL’uomo infatti nel frattempo si innamorava di Beatrice Russo, ragazza che lavorava in un’osteria locale e che cercava di conquistare grazie alle parole di Neruda. Come in una sorta di Cyrano de Bergerac, l’impresa riusciva, nonostante l’addio del poeta che partiva per ritornare alla propria patria.

Il film, delicato e toccante, si basava su una sceneggiatura curata dallo stesso Troisi assieme ad Anna Pavignano, Furio e Giacomo Scarpelli e Michael Radford, che proprio Troisi aveva chiamato per dirigere il film. In realtà, non è chiaro se la pellicola fu alla fine co-diretta da Radford e Troisi o solo dal primo.

Gli Oscar

Il postino ebbe comunque uno straordinario successo in Italia e anche nel resto del mondo, tanto da ottenere 5 nomination agli Oscar, tra cui quella per il miglior film, la miglior regia e il miglior attore protagonista. Ne conquistò però solo uno, quello per la miglior colonna sonora, firmata da Luis Bacalov.

Il film, comunque, piacque molto agli americani, che per la prima volta – anche se ormai troppo tardi – scoprirono il talento di Troisi. D’altronde, la versione in lingua inglese vide riconosciuto il talento dell’attore anche nella scelta del suo doppiatore: la voce di Troisi era infatti quella di Robert De Niro.

Leggi anche: Cinque straordinari film d’amore tristi e commoventi

Anche gli incassi, quindi, furono lusinghieri. In tutto il mondo la pellicola arrivò infatti a guadagnare circa 80 milioni di dollari, polverizzando tutti i record precedenti dei film italiani.

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5. L’eclisse

Il percorso con cui abbiamo scelto di presentarvi i nostri cinque film d’amore italiani è tutt’altro che semplice. Non abbiamo optato, infatti, per un ordinamento cronologico, né tematico, ma abbiamo cercato piuttosto di fornirvi una lista equilibrata, in cui i film più nuovi si alternino con quelli più vecchi.

Così concludiamo con quello che forse è il più strano tra i lungometraggi che vi proponiamo, ma anche uno dei più belli. Si tratta infatti di L’eclisse, film del 1962 di Michelangelo Antonioni con Alain Delon e Monica Vitti come protagonisti.

Alain Delon e Monica Vitti in L'eclisseAntonioni aveva cominciato a dirigere film negli anni ’50, in pieno clima neorealista. Le sue storie però fin da subito avevano mostrato che il regista ferrarese aveva le carte in regola per staccarsi dal genere e iniziare a fare di testa sua. Proprio tra il 1960 e il 1962 diede poi la prima prova da grande autore.

La trilogia dell’incomunicabilità

In quei tre anni realizzò infatti altrettanti film tra loro collegati, almeno per il tono e la tematiche generale. Si trattava della cosiddetta “Trilogia dell’incomunicabilità“, composta da L’avventura, La notte e L’eclisse. In tutti compariva una giovane Monica Vitti, a quel tempo compagna dello stesso regista.

L’ultimo film della trilogia ebbe grandi riscontri critici, ottenendo il Premio Speciale della Giuria a Cannes e lanciando la carriera di Antonioni a livello internazionale. D’altra parte, era un film che colpiva duramente l’occhio dello spettatore, sia per la storia, sia per le inquadrature.

Alla base di tutto c’era una complessa storia d’amore tra due giovani personaggi, l’inquieta Vittoria e il cinico Piero. Tra i due nasceva infatti un rapporto strano, passionale eppure anche freddo, con l’occhio della cinepresa che si concentrava soprattutto sulla ragazza, incapace di raccontare se stessa e i propri sentimenti.

Gli ultimi minuti

Proprio questa difficoltà a definirsi come coppia, o a comprendere cosa si vuole e a comunicarlo, diventava il punto chiave dell’intera pellicola. Una pellicola che si chiudeva, molto emblematicamente, con una lunga serie di inquadrature prive di rumore, e vuote.

L'eclisse di Michelangelo Antonioni

Queste sequenze, che lasciarono perplesso il pubblico dell’epoca, oggi hanno il sapore dell’opera d’arte, in quanto richiamano un po’ De Chirico e un po’ l’aridità interiore degli stessi protagonisti. Un film d’amore decisamente particolare, quindi, ma non meno vero o sincero.

È ancora oggi considerato, non a caso, uno dei punti più alti del nostro cinema ed è molto amato anche all’estero, anche se non è certo semplice da digerire. Simpatico, in questo senso, è il riferimento che si può trovare nel quasi coevo Il sorpasso di Dino Risi.

Se ricordate, in quel film infatti il personaggio interpretato da Vittorio Gassman, un po’ zotico e di certo ben poco intellettuale, faceva sfoggio di aver visto il lavoro di Antonioni. Subito dopo, però, faceva capire di non averci inteso molto. Insomma, un simpatico riferimento a un film difficile ma intenso.

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Note e approfondimenti

[1] Qui la notizia riportata da TPI.

 

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