
Quella della fantascienza è una storia lunga e tortuosa: creata sui romanzi d’appendice di fine Ottocento da autori come Jules Verne e H.G. Wells, è stata portata al cinema fin dagli inizi di questo nuovo mezzo di comunicazione, grazie all’opera pionieristica di geni come Georges Méliès.
È stato però soprattutto negli anni ’50 e soprattutto grazie a una serie di autori e registi americani che questo genere è diventato estremamente popolare. Da un lato, Isaac Asimov, Ray Bradbury, Philip K. Dick e altri scrittori hanno sfornato in quegli anni materiale in grande quantità, spesso di ottima fattura e a prezzi molto contenuti; dall’altro, cineasti meno famosi ma non meno visionari – di cui parleremo a breve – hanno cercato di tradurre in immagini quelle suggestioni che animavano gli scrittori di science-fiction.
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Ma perché proprio gli anni ’50? Perché proprio in quel periodo fiorirono così tante produzioni, spesso a basso costo ma non di bassa qualità? La risposta più comune che gli studiosi hanno dato è che gli alieni, così minacciosi e vogliosi di invadere gli Stati Uniti, rappresentavano una personificazione fittizia di pericoli politici molto più concreti: l’Unione Sovietica e la Cina erano i nuovi nemici, forniti di armi potentissime (la paranoia nucleare la faceva da padrona) e così diversi, per mentalità e costumi, dall’americano medio.
Così, il virus alieno che si diffondeva tra gli ignari terrestri era il simbolo delle idee comuniste, l’alieno rappresentava il cinese, il mondo nuovo da colonizzare dava sfogo alle mire espansionistiche, i viaggi interstellari erano un chiaro riferimento alla sfida con i russi per la conquista dello spazio. Insomma, erano storie d’avventura che ammiccavano alla politica, o quantomeno alle fobie che la politica, in quei vorticosi anni ’50, sapeva provocare. Ecco dunque i cinque più bei film di fantascienza di quel decennio, ormai diventati oggetto di culto (e, a volte, di remake).
Indice
Ultimatum alla Terra
Gli alieni che invocano la pace
Partiamo, in ordine cronologico, da Ultimatum alla Terra, film del 1951 che rappresenta uno dei vertici più alti, dal punto di vista etico, dei film di fantascienza degli anni ’50. L’anno prima, infatti, aveva avuto un discreto successo la pellicola Uomini sulla Luna e alla 20th Century Fox volevano cavalcare l’onda del nuovo genere, producendo un film che contenesse gli stessi elementi fantascientifici ma con un budget più modesto.
Nacque così The Day the Earth Stood Still, diretto da Robert Wise – già montatore di Quarto potere e che negli anni successivi avrebbe diretto capolavori come Lassù qualcuno mi ama, West Side Story e Tutti insieme appassionatamente – e sceneggiato da Edmund H. North a partire da un racconto di Harry Bates.
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Il film raccontava l’arrivo sulla Terra di un misterioso alieno, Klaatu, accompagnato da un robot gigantesco di nome Gort; un alieno che, dopo essersi mescolato agli umani, lanciava un terribile ultimatum al pianeta: se le guerre non fossero cessate, sarebbe stato distrutto dalla Confederazione Galattica, timorosa che la riottosità dei terrestri potesse espandersi anche nello spazio.
Profondamente pacifista in un’epoca in cui, dopo la Seconda guerra mondiale, iniziavano a soffiare i venti della Guerra fredda, il film ebbe un grande successo nonostante il budget e gli effetti speciali modesti, divenendo presto di culto. Non a caso la frase che viene pronunciata per fermare il robot – Klaatu, Barada, Nikto! – è stata citata ne Il ritorno dello Jedi, in Tron, in X-Files, ne I Simpson e in molti altri film e telefilm; inoltre, nel 2008 è uscito un remake dallo stesso titolo, diretto da Scott Derrickson e interpretato da Keanu Reeves e Jennifer Connelly.
La guerra dei mondi
I marziani invadono la Terra
Abbiamo citato, in apertura, H.G. Wells, il celebre scrittore britannico che è oggi giustamente considerato uno dei padri della fantascienza per capolavori come La macchina del tempo, L’isola del dottor Moreau, L’uomo invisibile e I primi uomini sulla Luna. Il suo lavoro forse più noto, però, è La guerra dei mondi, che è stato portato al cinema due volte: la prima nel 1953, la seconda – con la regia di Steven Spielberg e Tom Cruise nel cast – nel 2005.
La versione del ’53 era sceneggiata da Barré Lyndon e diretta da Byron Haskin, un ex fumettista che era diventato un esperto di effetti speciali negli anni ’30 e ’40, vincendo anche un Oscar e lavorando con Michael Curtiz (Lo sparviero del mare, Il lupo dei mari), Raoul Walsh (L’avventura impossibile) e Frank Capra (Arsenico e vecchi merletti); dopo la Seconda guerra mondiale era passato dietro alla macchina da presa, dirigendo varie pellicole di fantascienza per il cinema e per la TV.
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Il film racconta l’arrivo, nel sud della California, di una serie di meteore che si rivelano, dopo qualche ora, delle astronavi aliene da cui i marziani stanno tentando di colonizzare la Terra; ad opporsi a questo tentativo che sembra destinato al successo ci sono vari personaggi, anche delle forze armate, ma il principale eroe è lo scienziato Clayton Forrester, che riesce anche ad analizzare vari elementi della biologia marziana e a salvarsi più volte la vita, ma non a trovare un’arma per sconfiggerli.
Fortunatamente – come anche nel romanzo di Wells – la fine dei marziani è segnata dai virus e dai batteri che popolano la Terra, a cui noi siamo immuni ma che finiscono per uccidere gli invasori. L’espediente di Welles è qui virato in una chiave quasi provvidenzialistica (in generale, la religione è trattata molto meglio di quanto non avvenga nei libri dello scrittore inglese), come se anche davanti ai problemi della contemporaneità – fossero essi i comunisti, la guerra atomica (che qui viene citata esplicitamente) o gli alieni – la cosa più saggia fosse affidarsi a Dio.
Il pianeta proibito
Gli esploratori che ispirarono Star Trek
Negli anni ’50 il cinema hollywoodiano era dominato dagli studios, che si rubavano le idee e gli attori migliori e dominavano completamente il business non solo americano, ma anche mondiale del cinema; un sistema che, per quanto consolidato e basato su alcuni punti fermi, non limitava più di tanto il talento dei suoi artisti, visto che permetteva a talenti come quelli di Alfred Hitchcock, Howard Hawks, John Huston e Nicholas Ray comunque di esprimersi al meglio.
Appena il genere diede prova di essere profittevole, gli studios si gettarono quindi a capofitto anche sulla fantascienza, codificandone gli stilemi. Da questa corsa non poteva mancare la MGM, che nel 1956 produsse uno dei capolavori del genere, Il pianeta proibito, diretto da Frank McLeod Wilcox e sceneggiato da Cyril Hume a partire da un soggetto di Irving Block e Allen Adler, che a loro volta si ispirarono vagamente alla trama del dramma La tempesta di William Shakespeare.
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Il film è forse il più celebre e il più maturo del periodo, per tutta una serie di motivi. Intanto, l’atmosfera è particolarmente inquietante, anche perché l’azione non si svolge sulla Terra ma in un pianeta sconosciuto, Altair IV, dove i membri di una precedente spedizione e la popolazione locale – tecnologicamente molto evoluta – sono stati sterminati da un’entità ignota ma terribile; inoltre, come si scoprirà col procedere della trama, il mostro non è l’estraneo, il diverso, come sempre era stato fino ad allora, ma qualcosa che è sepolto dentro all’uomo stesso, in un evidente riferimento alle teorie freudiane.
Inoltre, non si possono non ricordare l’apparizione di un giovane Leslie Nielsen, poi destinato al successo molti anni dopo con la saga di Una pallottola spuntata, e soprattutto il robot che accoglie i visitatori, Robby, che ebbe un gran successo negli anni ’50 ispirando un giocattolo di largo consumo e comparendo poi in altre serie TV e film come Ai confini della realtà, La famiglia Addams, Mork e Mindy, Gremlins e Le ragazze della Terra sono facili. Infine, non si può non ricordare che Gene Roddenberry ha più volte dichiarato come questo film fu una delle principali fonti di ispirazione per la saga di Star Trek.
L’invasione degli ultracorpi
Il nemico è tra noi
Se i film che abbiamo citato finora paventavano l’invasione di nemici ben visibili o, come nel caso de Il pianeta proibito, di un avversario che proveniva dall’interno di noi, L’invasione degli ultracorpi rende la situazione ancora più scabrosa, perché il nemico diventa letteralmente il vicino di casa. In una sorta di incubo che – per quanto gli sceneggiatori lo negassero – non può che essere influenzato dal trionfo del maccartismo che si stava verificando in quegli anni a Hollywood, infatti, gli alieni si sostituiscono agli abitanti di una tranquilla cittadina di provincia, prendendone letteralmente le sembianze.
Scritto da Daniel Mainwaring e Richard Collins (sotto la supervisione di Sam Peckinpah) a partire da un romanzo uscito appena l’anno prima e firmato da Jack Finney, il film era diretto da Don Siegel, futuro maestro del poliziesco e regista di pellicole come Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, Il pistolero e Fuga da Alcatraz, e girato con mezzi estremamente economici visto che era prodotto da un piccolo studio.
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Al centro della storia c’era la figura del dottor Miles Bennell, medico della cittadina di Santa Mira che improvvisamente si rende conto che i suoi concittadini vengono sostituiti, durante il sonno, da copie esatte – ma prive di sentimenti – originate da baccelli extraterrestri. Il suo tentativo di avvisare il resto del mondo di quello che sta accadendo, però, cade inizialmente nel vuoto e il buon dottore viene preso per pazzo.
Nell’idea originale di Siegel e dei suoi collaboratori, il film doveva avere un finale inquietante, col protagonista che veniva rinchiuso e che poi si rivolgeva direttamente al pubblico, affermando: «I prossimi siete voi». La produzione, però, preferì una conclusione più rassicurante e vennero aggiunti il cappello iniziale e il finale, che dimostrano che in conclusione il messaggio viene recepito dalle autorità.
Radiazioni BX: distruzione uomo
I pericoli dell’infinitamente piccolo
Concludiamo con una pellicola del 1957, Radiazioni BX: distruzione uomo, che forse non è famosissima in Italia ma che presenta soluzioni molto interessanti per il periodo, sia dal punto di vista ideale che di messa in scena; e lo fa grazie al talento di due grandi narratori come lo scrittore Richard Matheson e il regista Jack Arnold. Del primo abbiamo già parlato altrove, soprattutto come scrittore horror visto che a lui si devono anche Io sono leggenda e La casa d’inferno; il secondo, invece, fu un vero maestro dei B-movie degli anni ’50, firmando anche Destinazione… Terra! e Il mostro della laguna nera.
Proprio dopo il successo di Io sono leggenda, Matheson aveva infatti scritto un nuovo romanzo intitolato Tre millimetri al giorno, che fu subito opzionato dalla Universal e la cui sceneggiatura fu affidata allo stesso Matheson; ne nacque un film che non parla dello spazio né presenta alieni, ma che pone l’uomo davanti ad un ostacolo a suo modo ancora più pericoloso e affascinante: l’infinitamente piccolo.
[wpzon spec=”1″ asin=”B008LX43KG,B000E5KP9M,B00518A70E” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Il protagonista è infatti un certo Scott Carrey, un uomo che durante una gita in motoscafo viene colpito da una misteriosa nube radioattiva, che all’inizio non sembra avere effetto su di lui. In realtà col passare del tempo l’uomo si rende conto prima di star dimagrendo, poi di rimpicciolirsi sempre più, senza che i medici possano far nulla per guarirlo da quella strana malattia. La moglie lo mette quindi a vivere in una casa di bambole, ma la sua vita – già abbastanza disastrata – cambia quando in casa entra un gatto.
Scott impara infatti a sopravvivere prima al felino e poi, divenuto ancora più piccolo, anche a un poderoso ragno, superando pian piano quel senso di inadeguatezza che ne aveva contraddistinto l’esistenza durante i mesi di malattia; anzi, il rendersi conto che il suo rimpicciolimento è destinato a non concludersi mai gli apre nuove prospettive, rendendosi conto che anche quand’era un uomo normale era in fondo qualcosa di infinitamente piccolo rispetto all’Universo, e che le meraviglie si annidano ovunque, così come le sfide.
Tobor il rè dei robot!
bellissimo