Cinque bei film con Richard Gere giovane

Richard Gere da giovane

Richard Gere è uno dei sex symbol più amati di Hollywood. Già il suo solo nome nel cartellone di un film, indipendentemente dalla qualità, garantisce un certo livello di introiti alla produzione, e d’altronde il suo talento è stato certificato da un Golden Globe (oltre a tre nomination) e un Emmy.

Un attore buono per tre generazioni

Ma non sta solo qui l’unicità dell’attore nato nel 1949 a Philadelphia. Dalla sua, Gere ha anche il fatto di aver fatto innamorare le ragazze di almeno tre decenni diversi. Il primo successo lo colse negli anni ’80, quando American Gigolo e Ufficiale e gentiluomo lo proposero come il “bello” della Hollywood di quegli anni. Poi, superati i 40, seppe riproporsi grazie al successo di Pretty Woman, mentre nel nuovo millennio fu Chicago a decretarne l’ennesimo rilancio.

Oggi Gere, coi suoi capelli bianchi, continua ad essere un modello di bellezza per molti. Ma com’era da giovane? Siamo sicuri di ricordarlo ancora? Abbiamo selezionato cinque bei film in cui l’attore americano ha recitato prima dei 40 anni. Alcuni sono arcinoti, altri meritano di essere riscoperti.


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In cerca di Mr. Goodbar (1977)

L’amante occasionale di Diane Keaton

Gere cominciò a praticare la recitazione all’università, preferendola presto agli studi di filosofia. Dopo aver partecipato a una rappresentazione teatrale di Grease, esordì al cinema nel 1975, con una piccola produzione (Rapporto al capo della polizia). Due anni dopo arrivò però la grande occasione. Il suo concittadino Richard Brooks – regista di La gatta sul tetto che scotta e A sangue freddo – lo scelse infatti per un ruolo da coprotagonista in In cerca di Mr. Goodbar.

Il film, che uscì negli Stati Uniti nel 1977, aveva la sua protagonista assoluta in Diane Keaton. La storia, tratta da un romanzo ma ispirata a fatti veri, era quella di un’apprezzata insegnante di bambini sordomuti, che la sera cercava compagnia nei bar, legandosi a relazioni occasionali ma via via sempre più pericolose. Questo amore per il rischio diventava quasi una dipendenza e la portava presto ad un finale tragico.

Un look trasgressivo e divertente

Richard Gere – che interpretava il principale tra gli amanti della protagonista – si presentava all’inizio con un look che oggi definiremmo alla Dylan Dog. E forse pure con lo stesso fascino, anche se con un linguaggio più colorito. Tra l’altro, nella prima scena in cui interagiva con la Keaton la sceneggiatura gli consentiva un inside joke molto divertente.

La Keaton si presentava infatti sola in un bar, con un libro con sé. Si trattava de Il padrino di Mario Puzo. Proprio la Keaton era stata tra i protagonisti dell’adattamento cinematografico diretto da Francis Ford Coppola, e Gere, per rimorchiarla, citava una celebre battuta del film: «Ti faccio un’offerta che non puoi rifiutare». Il successo della pellicola e il suo fascino consentirono a Gere di vedere decollare la sua carriera.

 

I giorni del cielo (1978)

Il primo ruolo da protagonista

Subito dopo In cerca di Mr. Goodbar, che ebbe ottimi incassi e buone critiche, Richard Gere fu ingaggiato per il suo primo ruolo da protagonista. A volerlo fu Terrence Malick, futuro regista di La sottile linea rossa e The Tree of Life, qui al suo secondo lungometraggio. Il progetto era quello de I giorni del cielo, film ambientato negli anni ’10 del Novecento con tre ragazzi che cercavano fortuna spostandosi verso l’Ovest americano.

La storia era infatti quella di Bill, un giovane manovale interpretato proprio da Gere, che era costretto a lasciare Chicago assieme alla giovane sorella e alla fidanzata, anch’essa presentata come una sorella per non far chiacchierare la gente. Una volta giunti in Texas, iniziava a lavorare come bracciante ma finiva per mettere la sua ragazza nelle braccia del suo datore di lavoro – a cui era stato diagnosticato un male incurabile – per ereditarne i soldi. Il piano, però, era destinato a fallire miseramente.

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Il giovane personaggio di Richard Gere

La pellicola mostra un Gere alla soglia dei trent’anni, praticamente al primo lavoro di un certo impegno ma già perfettamente adeguato alla parte. Il ruolo del ragazzo dolce con però una vena di cattiveria, d’altronde, sembrava essergli cucito addosso e gli avrebbe fatto compagnia a lungo. Accanto a lui recitavano altri nomi agli esordi o non di primo piano dell’ambiente hollywoodiano come Brooke Adams, Sam Shepard e Linda Manz.

I giorni del cielo si segnala però anche e soprattutto per le sue riprese. Nonostante sia stato abbastanza snobbato dai critici alla sua uscita – vinse un Oscar e un premio a Cannes, ma ne avrebbe meritati molti di più – e non abbia incassato granché, resta memorabile per una fotografia affidata a Néstor Almendros che è una delle migliori della storia del cinema. Bella anche la colonna sonora composta da Ennio Morricone.

 

American Gigolo (1980)

Paul Schrader, Richard Gere, Giorgio Armani, Giorgio Moroder

Arriviamo ora ai film che hanno reso Richard Gere una star internazionale. Se infatti sul finire degli anni ’70 si era fatto le ossa con progetti di ottima qualità, all’inizio del decennio successivo mise a segno una serie di colpi che ne avrebbero determinato la carriera. Il primo fu American Gigolo di Paul Schrader.

Il giovane regista era al suo terzo film e aveva iniziato a lavorare dietro alla macchina da presa da appena due anni. Ma l’esperienza alle spalle era comunque invidiabile, visto che aveva scritto sceneggiature per Martin Scorsese (addirittura quella di Taxi Driver), Sidney Pollack e Brian De Palma. E anche in questo caso, come nei suoi precedenti, optò per un giallo oscuro, in cui la perversione umana la faceva da padrona.


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Un giallo torbido

La storia era infatti quella di un gigolò di Los Angeles, Julian Kaye, ben interpretato da Richard Gere. Questi, superficiale e narcisista, dopo aver messo in piedi una relazione con la moglie di un senatore finiva per trovarsi coinvolto in un affare più grande di lui, con tanto di omicidi al seguito. Ormai incastrato e arrestato dalla polizia, riusciva a cavarsela solo grazie all’amore di Michelle Stratton, la bella moglie del candidato al ruolo di governatore della California.

Il film è di per sé discreto, anche se non perfetto. Ebbe però l’enorme merito di entrare nell’immaginario collettivo e di giovare a chiunque ci avesse lavorato. D’altronde, costato 5 milioni di dollari, ne guadagnò 30. Gere fece scalpore con una scena di nudo frontale. Ma ne trassero giovamento anche Giorgio Armani, che disegnò tutti i vestiti della star e si introdusse definitivamente nel mondo hollywoodiano, e Giorgio Moroder, che si occupò della memorabile colonna sonora. Colonna sonora che, tra l’altro, si apriva con un pezzo che segnò gli anni ’80 come Call Me dei Blondie.

 

Ufficiale e gentiluomo (1982)

Storia d’amore a lieto fine

L’altro film che sancì definitivamente l’entrata di Richard Gere nel rango di quelli che smuovono gli equilibri a Hollywood fu Ufficiale e gentiluomo del 1982. Mancava, infatti, nella filmografia dell’attore di Philadelphia una pellicola puramente romantica, con un eroe tutto sommato positivo, che non vendesse la fidanzata o il proprio corpo. E quel ruolo arrivò con Zack Maio, aspirante pilota.

La storia era infatti quella di un allievo ufficiale che veniva sottoposto a un durissimo addestramento da parte di un sergente di colore e che nel frattempo si innamorava di una ragazza del posto. Certo, sia la strada verso gli aerei che quella verso il cuore di Paula erano costellate di mille problemi – tra cui anche il suicidio del migliore amico di Zack – ma il lieto fine compensava i due protagonisti di molte sofferenze.

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Una memorabile scena finale

Diretto da Taylor Hackford, il film è famoso sia per alcune ottime interpretazioni – da menzionare quelle di Debra Winger e di Louis Gossett jr. –, sia per la memorabile scena finale, più volte parodiata. Sulle note della canzone principale della colonna sonora, Up Where We Belong (cantata da Joe Cocker e Jennifer Warnes), Gere fa infatti il suo ingresso nella cartiera in cui lavora la fidanzata. Prendendola in braccio e portandola via in una splendida uniforme bianca.

A descriverla a parole la scena può sembrare particolarmente melensa, e questo era anche il timore di Hackford e Gere. Come è stato più volte ricordato, infatti, sia il regista che il protagonista erano dubbiosi e, a priori, intenzionati a tagliare quel finale. Provarono comunque a girarlo e la commozione dei figuranti li convinse che forse qualcosa di buono c’era. In effetti quei pochi minuti, grazie anche alla musica e alla scelta del regista di far intravedere Gere un po’ alla volta, hanno una potenza inaspettata. Che si riversò anche sugli incassi: la pellicola ha infatti guadagnato quasi 300 milioni di dollari.

 

Cotton Club (1984)

Il periodo difficile e i flop al botteghino

Dopo questi primi successi, la carriera dell’ancor giovane Richard Gere sembrò all’improvviso bloccarsi. Non che mancassero le offerte, ma l’attore stentava a trovare altri ruoli e pellicole all’altezza dei precedenti. C’erano i contatti con grandi registi, ma i film che finiva per realizzare si rivelavano, spesso, insoddisfacenti per lui, per la critica e per i produttori.

Pensate ad esempio a All’ultimo respiro, che doveva essere il remake del capolavoro della Nouvelle Vague (e di Jean-Luc Godard) Fino all’ultimo respiro, ma che finì per diventare un film sostanzialmente brutto. O al clamoroso flop del biblico King David, costato 21 milioni di dollari e capace di incassarne solo 5. O ancora a Power, film firmato da Sidney Lumet ma anche questo incapace di coprire con gli incassi i 16 milioni spesi.

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Prima dei 40, nella New York degli anni ’20

La rinascita sarebbe arrivata sul finire del decennio con due pellicole tra loro molto diverse come Affari sporchi e Pretty Woman. Ma a quel punto Richard Gere aveva ormai superato i 40 anni ed era un attore maturo, pronto per ruoli diversi da quelli interpretati fino ad allora. L’ultimo film che abbiamo scelto, invece, della sua “gioventù” è anche questo un lavoro abbastanza pretenzioso affidato ad un regista importante, ma che riuscì discretamente bene.

Stiamo parlando di Cotton Club, pellicola del 1984 di Francis Ford Coppola. Un film che in realtà nacque storto. Coppola infatti non doveva dirigerlo né scriverlo, ma accettò di lavorarci, anche all’ultimo minuto, per questioni economiche. Inoltre il budget era spropositato (ben 58 milioni di dollari) e fu recuperato solo in parte. Gere vi recita la parte di un trombettista che si trova a salvare la vita a un boss della malavita, cosa che gli permette di far rapidamente carriera al Cotton Club, il più prestigioso locale della New York degli anni ’20.

 

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