19 poesie sulla notte famose e belle

Le migliori poesie sulla notte

Nella storia dell’umanità, la notte ha sempre avuto un suo fascino. Misteriosa, pericolosa, eppure capace di presentare un cielo stellato che si stende a perdita d’occhio, mostrandoti l’immensità dell’universo. E poi di notte tutto è più facile: i rapporti si fanno più intimi, le confidenze più profonde, i discorsi più decisivi.

Insomma, non c’è da stupirsi se poeti di ogni epoca hanno dedicato alla notte alcune delle loro migliori composizioni. L’elenco sarebbe lungo. Oltre a quelli che abbiamo inserito nella prima parte della lista, si potrebbero citare Fernando Pessoa, Nazim Hikmet, Rabindranath Tagore, Anne Sexton e molti altri.

Dedicheremo loro un po’ di spazio in coda all’articolo. Iniziamo però subito con le migliori liriche che abbiamo scelto per voi.

 

1. Cesare Pavese – The Night You Slept

«Un giorno lontano eri l’alba»

Cesare Pavese è stato un poeta capace di liriche intense e disperate. Non è un caso che nel suo libro, Dialoghi con Leucò, che fu trovato nella stanza d’albergo in cui si suicidò a neppure 42 anni d’età siano stati rinvenuti una serie di biglietti da lui scritti.

Uno che recitava: «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti». Una frase ripresa dal suo diario, ma che ben fotografa il suo stile, il suo tentativo e le sue delusioni.


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La poesia che segue è tratta da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, la celebre raccolta dedicata a Constance Dowling, il suo ultimo, infelice amore. Fu scritta il 4 aprile 1950 e pubblicata postuma, visto che Pavese si suicidò il 27 agosto di quello stesso anno.

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange muta,
dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia –
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.

La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.

   

 

2. Pablo Neruda – Posso scrivere i versi

«Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava»

Nonostante sia stato un poeta politicamente molto impegnato, le migliori liriche di Pablo Neruda sono forse quelle d’amore. Qui, infatti, sfruttando il verso libero, il poeta cileno ha saputo condensare le sue parole più forti ed evocative, legato com’era ad immagini semplici ma suggestive.

Tutta la sua poetica, anche quella politica, d’altronde, aveva questo scopo: riavvicinare alla purezza della vita, anche quando essa fosse portatrice di dolore.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Scrivere, per esempio: “La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri in lontananza”.
E il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava.
In notti come questa l’ho tenuta tra le braccia.
L’ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi ha amato e a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Pensare che non l’ho più.
Sentire che l’ho persa.
Sentire la notte immensa,
ancor più immensa senza di lei.

   

 

3. Kahlil Gibran – La notte è silenziosa

«Vieni per visitare la vigna degli innamorati»

Kahlil Gibran è certamente il più noto scrittore libanese. Tutta la sua opera, scritta perlopiù in inglese e negli Stati Uniti, è stata volta a cercare di unire la spiritualità e il sentimento orientali col modo di esprimersi tipico del mondo occidentale.

Sono nate così varie composizioni – la più famosa delle quali è il libro Il profeta – dal sapore mistico, a metà strada tra la prosa e la poesia, in cui spesso aforismi e parabole si alternavano. La notte è silenziosa è una poesia che risente di quest’impostazione, in cui l’amore e il creato sembrano parlarsi a vicenda.

La notte è silenziosa
e nell’abito del suo silenzio
si nascondono i sogni.
La Luna è spuntata
e per la Luna occhi
che controllano i giorni.
O figlia dei campi,
vieni per visitare
la vigna degli innamorati.
Può darsi che spegneremo
con quel nettare
la scottatura degli amori;
ascolta l’usignolo
dei prati fioriti,
che diffonde la sua musica,
in uno spazio immenso nel quale
le colline hanno soffiato
gli odori dei loro fiori!
O mia giovane, non temere
poiché le alte stelle
serbano i misteri
e la nebbia della notte
in quella vigna ferace vela i suoi segreti;
non temere la strega, essa dorme ubriaca
nella sua taverna magica
e il Re dei Ginn
se passerà andrà via
poiché l’amore lo incanta.
Egli è innamorato come me,
come potrà svelare
i segreti del suo cuore?

   

 

4. Gabriele D’Annunzio – O falce di luna calante

«Qual messe di sogni ondeggia al tuo mite chiarore»

Torniamo in Italia con O falce di luna calante, poesia giovanile di Gabriele D’Annunzio. La lirica, infatti, fa parte della raccolta Canto novo, la seconda pubblicata dal poeta pescarese, che vide la luce quando quest’ultimo aveva appena 19 anni d’età.

Si sente, in quelle poesie, l’influenza carducciana, ma s’intravede già il germe di qualcosa di nuovo, di una vena poetica che D’Annunzio avrebbe sviluppato negli anni successivi. Qui, in particolare, si sente quell’influenza naturalistica e panteistica che avrebbe avuto un certo seguito nella poesia dell’autore.


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O falce di luna calante
che brilli sull’acque deserte,
o falce d’argento, qual messe di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
esalano al mare: non canto non grido
non suono pe ‘l vasto silenzio va.

Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme…
O falce calante, qual messe di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

   

 

5. Hermann Hesse – Canzone d’amore

«La notte mi par d’oro più di ogni sole al mondo»

Anche Hermann Hesse, come Gibran, tentò di unire nella sua poetica gli influssi di culture diverse. E anche lui guardò con grande attenzione al mondo orientale. Ciò che differenziava, però, i due autori è che Gibran orientale lo era per origine, e la cultura a lui estranea era quella occidentale; per Hesse, tedesco della Foresta Nera, era invece vero il contrario.

Così anche questa Canzone d’amore, ambientata proprio in uno scenario notturno, è in realtà una poesia che manifesta qualche influsso spirituale, ma è ancora vicina al nostro modo di sentire e di esprimerci.

Per dire cos’hai fatto
di me, non ho parole.
Cerco solo la notte
fuggo davanti al sole.

La notte mi par d’oro
più di ogni sole al mondo,
sogno allora una bella
donna dal capo biondo.

Sogno le dolci cose,
che il tuo sguardo annunciava,
remoto paradiso
di canti risuonava.

Guarda a lungo la notte
e una nube veloce
per dire cos’hai fatto
di me, non ho la voce.

   

 

Altre 14 poesie sulla notte, oltre alle 5 già segnalate

Le cinque poesie che vi abbiamo riportato finora sono significative e belle, ma non sono certo le uniche che sono state dedicate alla notte. Come anticipavamo in apertura, anzi, questo è uno dei temi più trattati dai poeti. Ecco qualche altro esempio di valore.

 

Ugo Foscolo – Alla sera

Forse perché della fatal quïete
tu sei l’imago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

Anne Brontë – Notte

Amo l’ora silente della notte,
perché un sogno felice nasce allora,
rivelando alla mia vista incantata
ciò che il mio occhio sveglio non adora.

E può il mio orecchio udire anche la voce
che da tempo la morte ha soffocato;
l’afflitta solitudine in un grato
impeto di speranza si tramuta.

Fredda giace da anni nella tomba
la creatura che amavo contemplare;
soltanto il sogno, a notte, come viva
può farlo dolcemente ritornare.

 

Nazim Hikmet – Nelle mie braccia tutta nuda

Nelle mie braccia tutta nuda
la città la sera e tu
il tuo chiarore l’odore dei tuoi capelli
si riflettono sul mio viso.

Di chi è questo cuore che batte
più forte delle voci e dell’ansito?
È tuo è della città è della notte
o forse è il mio cuore che batte forte?

Dove finisce la notte
dove comincia la città?
Dove finisce la città dove cominci tu?
Dove comincio e finisco io stesso?

Fernando Pessoa – Ode alla notte, parte prima

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio,
Notte con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.

Vieni vagamente, vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni e porta i lontani
monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo
da lontano di giorno,
tutte la strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce,
un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.

 

Federico García Lorca – Quando spunta la luna

Quando spunta la luna
tacciono le campane
e i sentieri sembrano
impenetrabili
Quando spunta la luna
il mare copre la terra
e il cuore diventa
isola nell’infinito
Nessuno mangia arance
sotto la luna piena
Bisogna mangiare
frutta verde e gelata
Quando spunta la luna
dai cento volti uguali,
la moneta d’argento
singhiozza nel taschino.

Anne Sexton – Notte stellata

La città non esiste
se non dove un albero dai capelli
neri scivola via, come una donna
annegata nel cielo caldo. Tace,
la città. Bolle la notte, con dieci
e una stella. Oh notte stellata,
stellata notte! È così che voglio
morire.

Si muove. Sono tutti quanti vivi.
Quando la luna rompe le catene
arancioni che la legano e spruzza
bambini dai suoi occhi, come un dio,
il vecchio serpente, senza esser visto
divora le stelle. Oh stellata notte,
notte stellata! È così che voglio
morire:

in questa strisciante bestia notturna,
risucchiata tutta dentro nel grande
drago, separata
dalla mia vita senza una bandiera,
senza pancia
né grido.

 

Umberto Saba – L’ora nostra

Sai un’ora del giorno che più bella
sia della sera? tanto
più bella e meno amata? È quella
che di poco i suoi sacri ozi precede;
l’ora che intensa è l’opera, e si vede
la gente mareggiare nelle strade;
sulle mole quadrate delle case
una luna sfumata, una che appena
discerni nell’aria serena.

È l’ora che lasciavi la campagna
per goderti la tua cara città,
dal golfo luminoso alla montagna
varia d’aspetti in sua bella unità;
l’ora che la mia vita in piena va
come un fiume al suo mare;
e il mio pensiero, il lesto camminare
della folla, gli artieri in cima all’alta
scala, il fanciullo che correndo salta
sul carro fragoroso, tutto appare
fermo nell’atto, tutto questo andare
ha una parvenza d’immobilità.

È l’ora grande, l’ora che accompagna
meglio la nostra vendemmiante età.

William Blake – Presagi di innocenza

Ogni Notte e ogni Mattina
nascono alcuni alla rovina
Ogni Mattina e ogni Notte
nascono alcuni al soave diletto
nascono alcuni ad infinita Notte.

 

Else Lasker-Schüler – In segreto di notte

Io t’ho prescelto fra tutte le stelle.
E sono sveglia – fiore
attento,
fra il canto basso del fogliame.
Le nostre labbra per cercare miele,
le nostre notti lucenti sbocciate.
Alla luce gloriosa del tuo corpo
il mio cuore accende i cieli.
Tutti i miei sogni pendono al tuo oro.
Io t’ho prescelto fra tutte le stelle.

G.W.F. Hegel – Eleusis

Il mio occhio s’innalza verso l’eterna volta del cielo,
verso di te, splendente astro della notte
e dalla tua eternità discende l’oblio
di tutti i desideri, di tutte le speranze;
il senso si perde in questa visione,
quel che dicevo «mio» svanisce,
io mi abbandono nell’immenso:
sono in quello, sono tutto, sono solo quello.
Il pensiero ritorna ed è spaesato,
si spaura dinanzi all’infinito, e stupefatto
non comprende la profondità di quella visione.
È la fantasia che avvicina l’eterno al senso,
sposandolo alla figura […].

 

Alda Merini – Ci sono notti che non accadono mai

Ci sono notti
che non accadono mai
e tu le cerchi
muovendo le labbra.
Poi t’immagini seduto
al posto degli dèi.
E non sai dire
dove stia il sacrilegio:
se nel ripudio
dell’età adulta
che nulla perdona
o nella brama
d’essere immortale
per vivere infinite
attese di notti
che non accadono mai.

Rabindranath Tagore – Al chiar di luna

Calma, calma questo cuore agitato,
tu, notte tranquilla di luna piena.
Troppe gravi preoccupazioni,
più e più volte
gravano sul mio cuore.
Versa tenere lacrime
Sopra brucianti pene.
Con i tuoi raggi argentati,
portatori di sogno e di magia,
morbidi come petali di loto,
o notte, vieni, accarezza
tutto il mio essere
e fammi dimenticare
tutte le mie pene.

 

William Ernest Henley – Invictus

Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come un pozzo che va da un polo all’altro,
ringrazio qualunque dio esista
per l’indomabile anima mia.

Nella feroce stretta delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo d’ira e di lacrime
si profila il solo Orrore delle ombre,
e ancora la minaccia degli anni
mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

Giacomo Leopardi – Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e più e più s’affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colà dove la via
e dove il tanto affaticar fu vòlto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale.

Nasce l’uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo dell’umano stato:
altro ufficio più grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,

perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
che sì pensosa sei, tu forse intendi
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar, che sia;
che sia questo morir, questo supremo
scolorar del sembiante,
e perir della terra, e venir meno
ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l’ardore, e che procacci
il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
star così muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
— A che tante facelle?
che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono? —
Così meco ragiono: e della stanza

smisurata e superba,
e dell’innumerabile famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
d’ogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre lá donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so. Ma tu per certo,
giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell’esser mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors’altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d’affanno
quasi libera vai;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
tu se’ queta e contenta;
e gran parte dell’anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
e un fastidio m’ingombra
la mente; ed uno spron quasi mi punge
sì che, sedendo, più che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
non so già dir; ma fortunata sei.

Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
— Dimmi: perché giacendo
a bell’agio, ozioso,
s’appaga ogni animale;
me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s’avess’io l’ale
da volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo,
più felice sarei, dolce mia greggia,
più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covile o cuna,
è funesto a chi nasce il dí natale.

 

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