
Ognuno di noi ha memorie diverse, e spesso molto personali, riguardo alla sua infanzia. C’è chi ricorda i giochi con gli amici, chi certi discorsi fatti in famiglia, chi ancora non dimentica il primo giorno di scuola. Ricordi sempre uguali ma sempre diversi. Ci sono però anche delle cose che accomunano tutta una generazione, che rimangono salde nella memoria non di uno o due adulti, ma di tutti quelli che sono cresciuti in un dato periodo: le sigle di cartoni animati.
Pare un po’ consumistico e ben poco romantico da dire, ma in realtà è così. Quando un gruppo di persone appartenenti alla stessa generazione va col ricordo ai tempi andati, l’elemento che più spesso accomuna tutti sono proprio i cartoni animati, le avventure degli eroi preferiti e le sigle con cui venivano introdotte.
Già in passato, non a caso, ci siamo soffermati sull’argomento, ricordando le più celebri canzoni di questo genere per chi è cresciuto negli anni ’80 o ’90. Ma oggi vogliamo fare un ulteriore passo indietro nel tempo, e spingerci fino ai ’70.
Li ricordate, i cartoni di quegli anni? Quelli delle prime invasioni dal Giappone, quelli dello svecchiamento della TV italiana, quelli che avrebbero lanciato il nuovo mondo commerciale del decennio successivo? Vi aiutiamo a ricordarli. Ecco le migliori sigle di quegli anni.
Indice
1. Jeeg robot d’acciaio
I cartoni animati giapponesi – i primi ad avere una sigla di grande successo – cominciarono a comparire sugli schermi italiani alla fine degli anni ’70. A parte qualche sporadica eccezione, di cui comunque parleremo, quelli che riscossero fin da subito un grande (e inatteso) successo furono i cartoni dedicati ai robot.
Questo genere, che nei manga giapponesi veniva qualificato col nome di mecha, presentava giganteschi esseri meccanici che combattevano per il bene, magari sotto la direzione di un giovane umano di belle speranze. Ed esaltavano la voglia di immedesimazione degli spettatori, che sognavano di combattere e allo stesso modo crescere.
Uno dei primi anime di questo genere ad incontrare i favori del grande pubblico fu Jeeg robot d’acciaio. Lo trasmisero varie emittenti locali a partire dal 1979, e immediatamente la serie seppe farsi notare, grazie alle trame per l’epoca innovative e a una sigla memorabile.
La trama
Ideata da Gō Nagai, la storia raccontava del risveglio di un antico popolo, gli Yamatai. Questi malvagi abitanti del nostro pianeta si erano ritenuti fino a quel momento estinti, ma in realtà erano semplicemente ibernati, in attesa di svegliarsi per conquistare il mondo.
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A loro si contrapponeva il giovane Hiroshi, un pilota a cui il padre morente rivelava un segreto. Da un lato, gli comunicava infatti di averlo reso invulnerabile, trasformandolo in una sorta di cyborg a seguito di un incidente accaduto anni prima. Dall’altro, gli confessava di aver costruito un computer in grado di trasformarsi in robot.
Questi era appunto Jeeg, il robot d’acciaio, che aveva il compito di fermare l’avanzata degli Yamatai. Il tutto nei 46 episodi da mezz’ora che costituivano la serie originale, realizzata in Giappone tra il 1975 e il 1976 e arrivata in Italia poco tempo dopo.
Fogu e Pelù
Riguardo alla sigla di questo pionieristico (almeno per noi) cartone animato c’è molto da dire. Si era infatti ancora alle prime importazioni dal mercato nipponico, e neppure le case discografiche avevano compreso la portata del fenomeno che stava per scoppiare davanti ai loro occhi.
Il più delle volte, così, si trovavano a sottovalutare la portata del materiale che avevano tra le mani, soprattutto dal punto di vista commerciale. Così avvenne anche per Jeeg. La sigla infatti venne incisa in fretta e furia ad appena due giorni dalla messa in onda.
A causa di tempi così stretti, non si poté scrivere una musica apposita e si decise quindi di cantare la parte in italiano semplicemente sopra alla base giapponese. Alla voce fu scelto Roberto Fogu (in arte Fogus), e non Piero Pelù, come qualche leggenda metropolitana ha a lungo sostenuto [1].
In ogni caso la sigla [2] faceva la sua bella figura e piacque subito agli spettatori italiani. Spettatori che, a quanto racconta la leggenda, si recarono presto nei negozi di dischi per acquistarne una copia.
La doppia sigla di Jeeg robot d’acciaio
Il problema era che la CLS Records, che deteneva i diritti della canzone, non aveva affatto pubblicato il 45 giri del brano. Detto Mariano, che la dirigeva, era infatti convinto che l’anime non avrebbe avuto successo, visto che non veniva trasmesso dalla Rai ma solo da emittenti private, e non aveva rischiato la stampa di un disco che forse sarebbe rimasto invenduto.
In questo vuoto si era inserita la RCA, che aveva fatto realizzare una cover del pezzo ai Superobots e inserito così Jeeg robot sul lato B di Il grande Mazinger. Questo secondo disco vendette molto bene, e indusse Mariano a tornare sui propri passi.
La CLS, però, arrivò tardi, e soprattutto fece le cose troppo in fretta. Quando il disco ufficiale finalmente uscì, andò quasi invenduto per via di una clamorosa svista. Sulla copertina del disco, infatti, non compariva Jeeg ma uno dei suoi avversari. D’altronde, Mariano non aveva visto alcuna puntata della serie e ci schiaffò su la prima immagine che trovò.
Ad ogni modo, la sigla vantava un testo scritto a sei mani da Paolo Moroni, Paolo Lepore e Marcello Casco, mentre la musica era firmata da Michiyaki Watanabe.
Corri e va’ per la terra,
vola e va’ tra le stelle,
tu che puoi diventare Jeeg.
Jeeg, va’, cuore e acciaio,
Jeeg, va’, cuore e acciaio,
cuore di un ragazzo che
senza paura sempre lotterà.
2. Capitan Harlock
Come abbiamo visto, Jeeg robot d’acciaio ebbe un gran successo in TV, ma la sua sigla – pubblicata tardi e male – non riuscì a cogliere i frutti di quella popolarità. Andò invece diversamente con Capitan Harlock, anime che arrivò in Italia nel 1979.
Basata su un suggestivo manga di Leiji Matsumoto, la serie era stata realizzata in Giappone tra il 1977 e il 1979 ed era molto innovativa per l’epoca. Il protagonista era un pirata spaziale che si era ribellato al governo della Terra e ora si trovava a viaggiare attraverso lo spazio.
Ambientato mille anni avanti nel futuro (per la precisione nel 2977), l’anime presentava in particolare la lotta tra Harlock e la sua ciurma da una parte e i mazoniani – o, meglio, le mazoniane – dall’altra. Questi ultimi erano gli abitanti di un pianeta morente che aveva deciso di sottomettere la Terra.
Il tutto veniva presentato in una sorta di space opera in cui poesia e avventura si mescolavano tra loro. E forse proprio per questo l’anime, molto originale, non ebbe subito un grande successo, ma riuscì a crescere col tempo, entrando poco a poco nel cuore degli spettatori italiani.
L’anime e la sigla
Rispetto al manga, l’anime presenta qualche significativa differenza. Ad esempio, ha un finale chiaro, cosa che manca invece nel fumetto, per precisa scelta dell’autore, famoso anche in altre sue opere [3] per i finali aperti.
Inoltre furono introdotti dei nuovi personaggi, come Mayu Ōyama e Mitsuru Kirita. Ma la differenza più grande, ovviamente, stava nella sigla. Come anticipavamo, la canzone composta in Italia [4] andò molto bene anche sul versante discografico, arrivando fino alla seconda posizione della classifica dei singoli.
Le parole erano opera di Luigi Albertelli mentre la musica era composta da Vince Tempera, firma che troveremo ancora. A cantare era il gruppo de La banda dei bucanieri, una formazione – come spesso accadeva nel campo delle sigle dell’epoca – composta per l’occasione e formata da nomi importanti.
Oltre allo stesso Tempera, infatti, vi suonavano o cantavano Silvia Annichiarico, Marco Ferradini e altri, ma soprattutto un giovane Fabio Concato. Quest’ultimo all’epoca aveva già dato avvio alla sua carriera rivolta a un pubblico di adulti, ma collaborava spesso a canzoni per i ragazzi e i bambini.
Censura, censura!
Tra l’altro, è curioso notare che la Rai censurò la sigla scritta da Albertelli. Il verso «Il suo teschio è una bandiera che vuol dire libertà, vola all’arrembaggio, però un cuore grande ha» venne infatti completamente tagliato e sostituito da una ripetizione del precedente.
Una scelta piuttosto curiosa, visto che di per sé, almeno agli occhi di oggi, il verso appare come completamente innocuo. Questo non impedì comunque alla canzone di entrare nel cuore dei ragazzi di allora.
Fammi provare,
capitano, un’avventura
dove io sono l’eroe
che combatte
accanto a te.
Fammi volare,
capitano, senza una meta,
tra i pianeti sconosciuti,
per rubare a chi ha di più.
3. Atlas UFO Robot – Goldrake
Forse la più famosa sigla di cartoni animati degli anni ’70 è però quella che presentiamo ora: UFO Robot. Quella canzone sfondò addirittura il tetto del milione di copie vendute, ma molto bene andò anche la seconda canzone tratta dall’anime, Goldrake, che vendette 700mila copie e arrivò al settimo posto della top ten.
Il team che vi lavorò era più o meno lo stesso che abbiamo presentato con Capitan Harlock (e infatti in alcuni punti le due sigle un po’ si richiamano). Le parole furono scritte infatti da Luigi Albertelli, mentre la musica e l’arrangiamento furono frutto di un lavoro a sei mani che vide coinvolti Vince Tempera, Ares Tavolazzi e Massimo Luca.
Ufo Robot, Ufo Robot!
Ufo Robot, Ufo Robot!
Si trasforma in un razzo missile,
con circuiti di mille valvole,
tra le stelle sprinta e va.
Mangia libri di cibernetica,
insalate di matematica
e a giocar su Marte va.
Lui respira nell’aria cosmica,
è un miracolo d’elettronica, ma
un cuore umano ha.
Ma chi è?
Ma chi è?
Ufo Robot! Ufo Robot!
Quel successo, però, non rimase confinato ai dati di vendita. Proprio con Goldrake per la prima volta la società italiana si accorse del successo dei prodotti nipponici, e reagì di conseguenza. Mentre infatti i bambini erano entusiasti delle lotte di questi nuovi personaggi giapponesi, gli adulti in buona parte mostrarono un atteggiamento preoccupato.
Molte associazioni di genitori espressero timori ed invocarono la censura. Perfino deputati di estrema sinistra scrissero accorati appelli contro l’invasione dei nuovi prodotti (che si trasformavano anche in fumetti, gadget, merchandising vario). Ma la serie continuò imperterrita la sua corsa.
L’anime in TV
L’anime fu trasmesso a partire dall’aprile 1978 su Rai 2, allora ancora chiamata Rete 2, apparendo all’interno del contenitore serale Buonasera con…. Fece scalpore fin da subito, perché si trattava della prima serie sui robot ad arrivare in Italia, anche se in Giappone in realtà ne erano già state realizzate altre in precedenza.
Goldrake in origine nasceva infatti come il terzo capitolo di una trilogia cominciata con Mazinga Z e proseguita con Grande Mazinga. Queste due serie però arrivarono nel nostro paese solo dopo UFO Robot, e peraltro con i nomi dei personaggi cambiati. Questo impedì agli spettatori italiani di coglierne i collegamenti.
Ma gli errori dell’adattamento italiano furono in realtà molti. Ad esempio, il nome con cui l’anime fu trasmesso in principio era Atlas UFO Robot, che riportiamo anche noi in questa lista. In realtà, però, quel titolo fu assegnato per una svista.
Lo show fu infatti acquistato dalla Francia, dove il cartone si chiamava UFO Robot e Atlas era invece il nome della guida informativa che ne parlava. Alla Rai, banalmente, fecero confusione e unirono i due nomi.
La trama di Gō Nagai
A differenza degli altri cartoni animati che abbiamo presentato finora, Goldrake non si basava su un manga [5]. L’idea della serie venne infatti a Gō Nagai nel 1975, realizzando il mediometraggio UFO Robot Gattaiger – La grande battaglia dei dischi volanti.
Da lì nacque il progetto di un nuovo mecha, che però si rivolgesse anche a un pubblico femminile oltre che maschile. Il protagonista dello show era pertanto Duke Fleed, un alieno che fuggiva dal suo pianeta natale con il robot Goldrake a seguito dell’invasione da parte delle truppe del re Vega.
Duke trovava rifugio sulla Terra, dove assumeva l’identità di Actarus e cominciava a vivere una vita apparentemente normale. Dopo qualche anno, però, Vega metteva gli occhi pure sulla Terra e Actarus si trovava costretto ad intervenire assieme al suo robot e ai suoi alleati terrestri.
Tutta la storia si dipanava lungo 74 episodi, trasmessi in Italia tra l’aprile del 1978 e il gennaio del 1980 (anche se la Rai nella prima trasmissione tagliò una manciata di episodi).
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4. Le avventure di Lupin III
I cartoni animati che abbiamo presentato finora hanno tutti avuto vita relativamente breve. È vero che in certi casi sono stati creati degli OAV o addirittura dei film che hanno raccontato nuove avventure di quei personaggi, ma grossomodo la loro saga si è dipanata solo alla fine degli anni ’70, senza appendici nei decenni successivi.
Diverso è invece il discorso da fare per Lupin III, l’anime tratto dalle avventure a fumetti del personaggio creato da Monkey Punch. Sia i manga che gli anime infatti sono numerosissimi e hanno attraversato diverse epoche.
Leggi anche: Cinque sigle e canzoni dei cartoni animati degli anni ’80
Il primo fumetto iniziò ad uscire addirittura nel 1967 e da allora, con brevi pause e qualche passaggio di mano sul versante creativo, ha tenuto compagnia ai lettori giapponesi fino ad oggi. Per quanto riguarda gli anime, sono state realizzate in Giappone tre serie tra il 1971 e il 1985, per un totale di più di 200 episodi.
Poi, in epoca più recente, sono stati messi in cantiere due ulteriori show, mentre un terzo è in fase di lavorazione. E alla base di questo imperituro successo c’è di sicuro il fascino dei personaggi, ma anche – almeno in Italia – il successo delle rispettive sigle.
Gli anime e le sigle del periodo d’oro
La prima serie, composta da 23 episodi e in cui Lupin indossa la giacca di colore verde, fu presentata nel nostro paese nel 1979 col titolo Le avventure di Lupin III. La prima trasmissione fu effettuata su varie emittenti locali, ma poi il cartone fu acquistato da Mediaset e proposto a lungo sulle sue reti.
Presentava già i personaggi centrali dello show. Oltre a Lupin, c’erano infatti la bella Fujiko e il braccio destro Jigen, mentre Goemon si univa alla banda nel corso della serie. La prima sigla che le fu associata fu Planet O [6], scritta da Norbert Cohen, Farouk Safi e Sharon Woods e cantata in inglese da Daisy Daze and the Bumble Bees.
Il testo non c’entrava nulla con le avventure di Lupin, ma era di carattere fantascientifico. Anche per questo motivo, quando il programma cominciò a passare su Mediaset, qualche anno dopo, la canzone iniziale fu cambiata riutilizzando Lupin, l’incorreggibile Lupin [7], già varata per la terza serie delle avventure del ladro (quella con la giacca rosa).
Ad ogni modo, nel corso degli anni si sono utilizzate anche altre sigle, apposte davanti a questo anime. Ad esempio per la replica del 2004 Giorgio Vanni scrisse Hello Lupin. Nel 2013, infine, fu usata anche Lupin, la celebre versione con la fisarmonica scritta da Franco Migliacci e Franco Micalizzi e cantata negli anni ’80 da Irene Vioni [8].
Lo strano testo di Planet O
La cosa più particolare riguardo alla sigla anni ’70 di Lupin non era però solo il fatto che non raccontasse eventi legati ai personaggi di Monkey Punch. Era, invece, che parlava di un pianeta in cui agivano dei pirati spaziali e, proseguendo nel testo, che introduceva temi sadomasochisti.
L’ispirazione di questo testo pare infatti essere legata al romanzo erotico Histoire d’O di Pauline Réage, uno dei classici della letteratura per adulti. Come abbia fatto una canzone del genere a finire in apertura ad un cartone animato per ragazzi (anche se un po’ “piccante”) non è dato saperlo.
Planet O, planet O.
Planet O, planet O.
We are pirates from the planet O.
We’ll enslave you. We will break your soul.
We will chain you, make you fall and bow.
We’ll defile, satisfy you.
5. Heidi
Le prime serie giapponesi che arrivarono in Italia erano destinate quasi esclusivamente ad un pubblico maschile. Come in buona parte abbiamo anche visto, presentavano grandi robot o eroi un po’ dark impegnati a combattere epiche battaglie.
Le storie d’amore, gli sport femminili, gli ambienti scolastici sarebbero arrivati perlopiù dopo, negli anni ’80. E con serie come Candy Candy o Anna dai capelli rossi avrebbero mostrato che in Oriente si pensava anche ad una platea più ampia di quella costituita dai soli maschi.
Già qualche anno prima, però, c’era stato un anime capace di anticipare questa tendenza. Si trattava di Heidi, adattamento di un romanzo per l’infanzia scritto addirittura nel 1880 dall’autrice svizzera Johanna Spyri.
La serie ebbe un tale successo in tutto il mondo da spingere gli animatori giapponesi ad adattare negli anni seguenti anche altri capolavori della letteratura per l’infanzia europea. Un successo, d’altronde, legato a vari fattori: l’interesse suscitato dai personaggi, i sentimenti forti che venivano messi sullo schermo ma anche una riuscita sigla.
La sigla e le vendite
Anche nel caso di Heidi, infatti, la canzone che venne allestita per i passaggi televisivi ebbe un grande successo discografico. Questa non era però solo frutto di un lavoro italiano. Visto che l’originale nipponico era finanziato da una coproduzione con la Germania, si decise di utilizzare – almeno per le musiche – la sigla tedesca.
Così Franco Migliacci fu incaricato di scrivere un testo sopra alla composizione di Christian Bruhn. Ne venne fuori l’Heidi [9] cantata da Elisabetta Viviani, che ebbe un successo clamoroso arrivando a vendere più di 1 milione di copie.
Heidi, Heidi, il tuo nido è sui monti.
Heidi, Heidi, eri triste laggiù in città.
Accipicchia, qui c’è un mondo fantastico.
Heidi, Heidi, candido come te!
Le disavventure di Heidi
Heidi fece la sua prima apparizione sugli schermi televisivi del nostro paese nel febbraio 1978, esordendo su Rai 1. In 52 episodi si dipanavano le sue disavventure, che, a loro modo, erano anche ricche di colpi di scena e di momenti pieni di dramma.
All’inizio della serie Heidi era una bambina di 5 anni che, orfana di padre, veniva lasciata alle cure del nonno. Solo che questo parente non era il classico nonno amorevole. Piuttosto, si rivelava subito come un burbero misantropo, che da tempo aveva abbandonato la civiltà trasferendosi in una malga sui monti per rimanere solo.
Pian piano, però, Heidi riusciva ad addolcirlo, anche con l’aiuto del piccolo Peter, un amico conosciuto sui monti. Dopo le difficoltà iniziali quindi la convivenza tra i due cominciava a funzionare, almeno fino a quando la zia di Heidi non decideva di portarla a Francoforte, con l’incarico di fare da dama di compagnia a una bambina su una sedia a rotelle, Clara.
Nella grande città la vita di Heidi quindi proseguiva tra la nostalgia dei monti, l’amicizia per Clara e le sgridate dell’arcigna signorina Rottenmaier. Fino a quando, dopo varie peripezie, non riusciva finalmente a tornare dall’amato nonno, facendovi poi giungere anche Clara.
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Note e approfondimenti
[1] In quegli anni d’altronde Pelù faceva ancora il liceo classico e non era inserito nell’ambiente discografico. Fogu, invece, andava per i 50 anni e aveva una carriera di tutto rispetto alle spalle. ↑
[2] La potete sentire integralmente qui. ↑
[3] Tra i suoi capolavori ci sono anche Galaxy Express 999 e La corazzata Yamato. ↑
[4] Potete ascoltarla qui. ↑
[5] In realtà Nagai si occupò di realizzare anche una versione a fumetti della sua storia, che però uscì in contemporanea con l’anime e può essere considerato quindi un prodotto derivato più che la fonte della storia. ↑
[6] La potete ascoltare qui. ↑
[7] Se non la ricordate, riascoltatela qui. ↑
[8] Questa versione, molto nota, può essere sentita qui. ↑
[9] La canzone, nella sua versione integrale, la potete ritrovare qui. ↑