Cinque citazioni da Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde

Dorian Gray, forse il più memorabile personaggio di Oscar Wilde, e le citazioni ad esso collegati

Il ritratto di Dorian Gray viene pubblicato per la prima volta nel 1891. Nel romanzo, Oscar Wilde narra di un giovane bellissimo, di cui un pittore realizza un ritratto destinato a diventare il contenitore di tutti i peccati e i crimini che il ragazzo commetterà nella sua vita. Influenzato dagli aforismi e dai paradossi di Lord Henry, Dorian celebra la bellezza e l’arte. Quando scopre il potere del quadro, dopo la morte della sua prima innamorata, Sibyl Vane, attrice di teatro, decide di sfruttarne tutto il potenziale, facendo esperienza di tutti i tipi di piacere immaginabili.

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L’inquietante buon senso e la celebrazione dell’errore

Dal capitolo III

Pronunciata come un aforisma da Lord Henry, questa frase riassume bene una delle critiche più importanti che questo libro fa alla società del tempo, ma che, senza dubbio, potrebbe essere applicata anche ai giorni nostri. Ciò che viene messa in discussione è l’abitudine della gente ad affidarsi al buon senso per ogni loro azione, crogiolandosi in aspettative soddisfatte e in risultati prevedibili. Ma per Lord Henry, e per l’autore di questo romanzo, il buon senso a cui tanti quotidianamente si affidano è addirittura, usando il termine inglese, creeping, un qualcosa di inquietante.

Al giorno d’oggi molta gente muore di uno strisciante buon senso, per scoprire troppo tardi che le sole cose che non si rimpiangono mai sono i propri errori.

È come se chi pronuncia questa frase non riuscisse a capire come sia possibile basarsi ogni giorno sul semplice buon senso, quando è palese che dall’errore e dall’imprevedibile derivano le esperienze più memorabili e gratificanti che sia possibile vivere. Tanto che, alla fine, nel momento in cui si affollano i ricordi e si riguarda alla nostra vita come a un film, ci si accorge che sono proprio i momenti in cui abbiamo sbagliato, quelli in cui abbiamo lasciato da parte il nostro buon senso, quelli più degni di essere ricordati e mai passibili di biasimo.

 

Alcuni uomini sono vere e proprie opere d’arte

Dal capitolo IV

Questa citazione è tratta da una riflessione di Lord Henry, scatenata dal racconto di Dorian riguardo al suo primo amore, Sibyl. Il giovane narra con fervore al suo amico e mentore le grandi capacità artistiche della fanciulla e tesse le lodi della sua incomparabile bellezza. Lord Henry rimane colpito dalla passione con cui Dorian parla di questa ragazza, e di fronte alla manifestazione di un animo così sensibile si compiace di essere lui stesso la causa di questo focoso innamoramento. Ritiene, infatti, che sia stata la sua influenza a fare di Dorian ciò che è, che siano stati i suoi discorsi, le sue teorie sulla vita e i suoi mordenti aforismi ad averlo creato. Ed è allora che si rende conto di quanto il bellissimo giovane uomo sia diverso da tutti gli altri: egli è una creatura superiore, inimitabile e rara. È una vera e propria opera d’arte, prodotta dalla natura stessa.

Gli individui comuni aspettano che la vita dischiuda loro i suoi segreti; ma solo a pochi, agli eletti, la vita rivela i suoi misteri prima che si squarci il velo. L’arte sortisce a volte questo effetto – e, in particolare, la letteratura che investe in modo più immediato le passioni e l’intelletto. Ma, di tanto in tanto, una personalità complessa prende il posto dell’arte e se ne assume il compito: diventa, a suo modo, una vera opera d’arte, poiché anche la vita produce i suoi capolavori elaborati, esattamente come la poesia, la scultura o la pittura.

La riflessione di Lord Henry diventa interessante se messa a confronto con il destino di Dorian: egli, infatti, vivrà la sua vita dissoluta senza patirne le conseguenze, che saranno invece del tutto accusate proprio da un’opera d’arte, ossia il ritratto che Basil ha fatto per lui. Ciò che dovrebbe essere vita diventa arte, e ciò che era nato come arte diventa la cassa di risonanza di una vita vissuta all’estremo.


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L’eterno conflitto tra piacere e bontà

Dal capitolo VI

Qui Lord Henry, mentre afferma di non poter rivendicare come sua la teoria sul piacere, espone invece proprio il suo punto di vista su ciò che il piacere rappresenta nella vita dell’uomo, presentando le sue idee con lo stile paradossale e contraddittorio che lo caratterizza. Il piacere è il segno che la Natura ci sta dando la sua approvazione, e quando il piacere entra nella nostra vita, inevitabilmente siamo felici. Conseguenza della felicità è la bontà, ma l’equivalenza non funziona al contrario: non è detto che la bontà conduca verso la felicità.

Il piacere è l’unico soggetto degno di una teoria. […] Purtroppo, temo di non poterla rivendicare come mia. Appartiene alla Natura, non a me. Il piacere è il test della Natura, il suo segno di approvazione. Quando siamo felici siamo sempre buoni, ma quando siamo buoni non sempre siamo felici.

Ciò che Lord Henry sta cercando di dirci è che la Natura è inconciliabile con i dettami della società, poiché ciò che è naturale porta al piacere, ma non è detto che la stessa cosa sia accettabile a livello morale e sociale: è frequente, infatti, che l’uomo si allontani dalla bontà abbandonandosi al piacere, così come sono numerosissimi i casi in cui un individuo retto e morigerato, quindi buono, non sia per niente felice, perché impossibilitato a perseguire il piacere.

 

Il peccato come perdita di coscienza e fascino per la disobbedienza

Dal capitolo XVI

Questa volta è lo stesso Dorian Gray a riflettere sul peccato e sulla sua natura. La passione per il peccato è concepita come un furore incontrollabile, che prende possesso della mente e dell’anima dell’uomo facendogli perdere coscienza di se stesso e del mondo che lo circonda. Egli non è più, di conseguenza, un essere senziente, bensì un automa in preda alla furia distruttiva del male, che non può in nessun modo essere controllata. In altri casi, l’uomo è in grado di mantenere attiva la sua coscienza, ma decide deliberatamente di disobbedirle, di scavalcare le leggi morali.

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Gli psicologi dicono che, in certi momenti, la passione per il peccato – o per quello che il mondo chiama peccato – si fa così prevaricante che ogni fibra del corpo e ogni cellula del cervello sembrano imbevute di impulsi furiosi. In tali momenti, uomini e donne perdono il libero arbitrio e come automi vanno incontro alla loro fine fatale. La facoltà di scelta viene meno e la coscienza muore o, se è viva, lo è soltanto per rendere seducente la ribellione e irresistibile la disobbedienza – poiché tutti i peccati, come i teologi non si stancano di ripeterci, sono peccati di disobbedienza. Quando quello spirito superiore, quella stella mattutina del male, cadde dal cielo, cadde perché si era ribellato.

Si può cogliere una certa ironia in questa dichiarazione: in un romanzo che si propone come critica della società e delle leggi che la governano, parlare di peccato come disobbedienza è evidentemente una provocazione, a maggior ragione se si considera la vita stessa di Oscar Wilde, condannato a due anni di prigione per la sua omosessualità, definita all’epoca come gross indecency.


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La gioventù passeggera e la bellezza come maschera

Dal capitolo XX

I pensieri finali di Dorian Gray, quando ormai manca poco al tragico epilogo del romanzo, sono rivolti ai due aspetti della sua vita che, se all’inizio gli erano sembrati vantaggiosi, si sono rivelati in conclusione illusori e dannosi. La bellezza che lo caratterizza è diventata, grazie al ritratto, soltanto una maschera, e, in quanto tale, utile solo a coprire il vero Dorian, la sua anima sudicia e malata, rovinata dal vizio e dalla dissolutezza.

Era stata quella bellezza a rovinarlo, la bellezza e la giovinezza che aveva invocato con una preghiera: per colpa di entrambe, la sua vita si era sporcata. La bellezza era stata solo una maschera, la gioventù solo una beffa. Ma, nel migliore dei casi, che cos’era la gioventù? Una stagione verde e immatura, una stagione di frivoli umori e pensieri morbosi. Perché ne aveva voluto portare per sempre la livrea? La giovinezza lo aveva rovinato.

La gioventù, eterna al pari della sua bellezza, è anch’essa una vana illusione. È una chimera, uno stato che dovrebbe essere passeggero, ma che per lui è durato tutta la vita. Si sa, quando si ottiene ciò che per lungo tempo si ha desiderato, esso non ha più lo stesso sapore, così come, vivendo per decenni come un giovane, Dorian Gray non ha mai potuto godere i frutti dell’esperienza, dell’apprendimento, della conoscenza. Non è cresciuto, non è invecchiato: è rimasto immobile. E proprio la sua immobilità si è dimostrata essere la causa della sua inevitabile sconfitta finale.

 

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