
Quando si parla di civiltà precolombiane, la mente va sempre a tre nomi: Inca, Aztechi, Maya. E ci va perché fin da quando frequentiamo le elementari ci vengono comunicate queste parole d’ordine. Non tenendo presente che la realtà che incontrò Cristofo Colombo era più complessa di così.
Le civiltà precolombiane infatti non erano solo tre. Oltre alle maggiori ce n’erano anche alcune minori di cui si parla pochissimo. Senza contare quelle che nel 1492 erano ormai distrutte, ma avevano avuto un ruolo fondamentale. O quelle che non possono essere definite civiltà, perché troppo disorganizzate, ma non prive di una storia e di un grande fascino.
Oggi vogliamo proprio presentarvi cinque di queste civiltà, non tralasciando neppure le maggiori. E anzi cercando di presentarle in maniera più completa di quanto non si faccia di solito.
Proveremo a delineare anche un’ideale cartina geografica, una mappa di questi popoli e della loro evoluzione. Speriamo che il riassunto – che non mancherà di segnalarvi qualche curiosità – vi piaccia e vi comunichi anche qualcosa che non conoscete o avete dimenticato.
Indice
1. Gli olmechi
Per presentare le cinque civiltà che abbiamo scelto, abbiamo deciso di seguire un criterio sostanzialmente cronologico. Cioè di partire dalla più antica e poi, via via, avvicinarci ai tempi più recenti. O, meglio, al periodo in cui tutte queste regioni popolazioni furono conquistate dagli europei.
E quindi partiamo dall’antichità, da quella che fu forse la principale civiltà “madre” da cui sono derivate molte culture mesoamericane: quella degli olmechi. Anche questa civiltà, come altre che vedremo, si sviluppò in Messico, nella zona centro-meridionale dell’attuale stato.

E durò a lungo. Sulla base dei reperti archeologici, infatti, gli storici datano la nascita di questa civiltà attorno al 1400 a.C. e la sua fine circa 1000 anni dopo. Dopo questo lungo periodo, gli olmechi persero notevolmente di importanza e furono assorbiti dai popoli vicini. Non è chiaro però quale fu l’elemento scatenante di questo crollo [1].
Il principale centro di questa civiltà fu probabilmente La Venta, metropoli ante litteram che dominò la scena fino circa al 400 a.C. Lì sorgeva una grande piramide, oltre a diversi edifici usati per cerimonie religiose e pubbliche.
La cultura degli olmechi, la prima delle civiltà precolombiane
Probabilmente gli olmechi avevano una forma di scrittura, anche se non ne sono stati ritrovati degli esempi, e quindi la faccenda è avvolta nel mistero. A tal proposito sono di recente stati ritrovati dei simboli e dei geroglifici che potrebbero costituire un momento di passaggio tra la scrittura olmeca e quella maya, ma gli studiosi sono divisi su questo punto [2].
Che da questa cultura siano in qualche modo derivate quelle successive, soprattutto nell’area messicana, è provato da alcune usanze che si ritrovano, pressoché identiche, anche nelle altre civiltà. Ad esempio, gli olmechi praticavano un gioco con la palla molto simile al tlachtli e ad altri giochi precolombiani.
Dal punto di vista delle credenze religiose, invece, non abbiamo in realtà troppe informazioni. Probabilmente credevano in divinità non troppo dissimili da quelle poi fatte proprie dai maya. Erano pertanto politeisti, e al vertice della gerarchia c’erano divinità come il Dio del sole, il Dio-giaguaro (capostipite del popolo olmeco), il serpente alato ed altri.
Inoltre praticavano sacrifici umani a scopo rituale. Infine, avevano forme artistiche abbastanza evolute per l’epoca: i loro reperti costituirono dei modelli per molte altre civiltà e sono stati ritrovati anche a discreta distanza dalla zona di origine.
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2. Gli abitanti di Teotihuacan
La seconda delle civiltà che abbiamo scelto è in un certo senso la più misteriosa. Sorse sempre nella zona del Messico, con una capitale che si trovava a circa 40 chilometri da Tenochtitlàn, l’attuale Città del Messico. Ma non è affatto chiaro se fosse costituita in uno Stato e che tipo di potere esercitasse sulla regione.
A rigore, senza uno Stato di dimensioni importanti non si potrebbe forse parlare di vera e propria civiltà, soprattutto in un articolo in cui compaiono anche gli imperi inca e azteco. La capitale di questa comunità, Teotihuacan, ebbe però uno sviluppo talmente straordinario che non si può non citare all’interno del nostro elenco.
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Fondata probabilmente attorno al 100 a.C., la città si sviluppò enormemente nei secoli successivi. La sua decadenza iniziò attorno al 500 d.C., ma a quel punto era cresciuta fino a diventare una delle metropoli più popolose del mondo.
Una popolazione immensa
Si stima che nel suo momento di massimo splendore ospitasse circa 125.000 abitanti, più di tante altre importanti città europee. Per dare riparo a tutte quelle persone si costruirono molti edifici, spesso con case a più piani che ospitavano anche più famiglie.
Inoltre, nella città sembra potessero vivere dei ceppi etnici diversi. Questo spiegherebbe le difficoltà riscontrate dagli archeologi nell’identificare il gruppo etnico da cui si svilupparono gli abitanti di Teotihuacan. Ma, allo stesso tempo, questa ipotesi trasformerebbe la città nella prima metropoli multietnica della storia.
Anche l’idea che la popolazione derivasse dai toltechi, idea che si è ritenuta fondata per molti anni [3], è stata messa in discussione negli ultimi anni. Secondo la leggenda, comunque, la città sorse sul luogo in cui si erano riuniti gli dei quando avevano progettato la creazione dell’umanità.
Anche per questi motivi oggi il sito archeologico della città è uno dei più importanti di tutta l’America. Sorge a nord-est di Città del Messico e si estende per una superficie di più di 80 chilometri quadrati [4]. Dal 1987 è stato inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
La decadenza
La struttura di Teotihuacan è particolare, e visibile ancora oggi. Il viale centrale è chiamato Viale dei Morti e lungo esso sorgevano i grandi edifici cerimoniali. Tra questi c’era anche la seconda più grande piramide mai rinvenuta in America, la cosiddetta Piramide del Sole. Poco oltre c’era anche una Piramide della Luna.
Ma come mai questa fiorente e importante civiltà tramontò all’improvviso? Per un certo periodo si è pensato alla soluzione più semplice: che cioè la città fosse stata invasa e distrutta da un popolo vicino. Il ritrovamento di prove di incendi avrebbe suffragato questa prima ipotesi.
Col tempo, però, ci si è accorti che gli edifici bruciati non si trovavano sparsi uniformemente nella città. E che, anzi, ad essere stati colpiti dagli incendi e dalle distruzioni erano solo gli edifici nobiliari, i centri del potere. Le case dei poveri, invece, erano rimaste immuni alle distruzioni.
Gli archeologi hanno spiegato questa particolarità ipotizzando che Teotihuacan non sia stata distrutta da un’invasione, ma da una sommossa interna. In pratica, in seguito a tensioni interne il popolo minuto avrebbe attaccato i centri del potere, provocando la distruzione dei luoghi-simbolo della città lungo il Viale dei Morti.
Inoltre, pare che attorno agli anni 535-536 si sia verificata nella zona una gravissima siccità. Questo sarebbe dimostrato dal ritrovamento di un gran numero di scheletri di quel periodo ancora giovani, morti probabilmente per denutrizione. Una situazione di questo tipo avrebbe aumentato le tensioni sociali e forse provocato la sommossa.
3. I maya
Dopo aver visto due civiltà antiche e scarsamente ricordate, passiamo alle tre principali. E, seguendo sempre il criterio cronologico, cominciamo con i maya, che ebbero origine attorno al VI secolo a.C. e diedero vita a una civiltà millenaria.
Arte e scienza
Anche loro si svilupparono in Centro America, in una terra che fu florida sia di sviluppo umano che di avanzamenti tecnologici e artistici. E proprio l’arte e la scienza costituiscono uno dei valori aggiunti della loro società.
I maya infatti svilupparono complessi sistemi matematici ed astronomici, costruirono piramidi e crearono quello che probabilmente era il miglior sistema di scrittura dell’America precolombiana. Per tutte queste cose, nell’immaginario collettivo la loro cultura è quella più affascinante e misteriosa, oggetto di fantasie letterarie e misteri.
La mappa dei domini maya
I maya si svilupparono nella parte meridionale del Messico, al confine con il Guatemala e il Belize. Lì sorge la celebre penisola dello Yucatán, ma si ergono anche gli altopiani della Sierra Madre e alcune pianure meridionali che sfociano nell’Oceano Pacifico.
I maya si stabilirono lì iniziando a coltivare quelli che sarebbero divenuti gli alimenti fondamentali della loro dieta. E quindi, in particolare, mais, fagioli, peperoncino e zucche [5].
Le fasi della storia maya
La storia della civiltà maya è però talmente lunga che gli storici, per praticità, l’hanno divisa in diversi periodi. In quello preclassico si poté assistere alla fondazione delle prime città e alla creazione di un sistema di scrittura basato sui geroglifici.
Nel periodo classico – che convenzionalmente viene fatto cominciare attorno al 250 d.C. – emerse la potenza di due particolari città, Tikal e Calakmul. Più avanti, dopo secoli di sviluppo, iniziò un periodo di decadenza che culminò in una guerra civile, combattuta attorno al IX secolo.
Nel periodo post-classico si vide l’emergere dell’insediamento di Chichén Itzá e lo spostamento di gran parte della popolazione più a nord. Fu proprio in questa fase che i maya dovettero confrontarsi con gli invasori spagnoli.
Anche in questo caso, la struttura statale era però molto particolare. Mentre, come vedremo, inca e aztechi riuscirono a creare degli imperi (pur su base confederale), la civiltà maya non raggiunse mai questo risultato.
Un non-stato
Quello che noi chiamiamo Stato maya era infatti, in realtà, un insieme di città-stato e piccoli regni, che interagivano tra loro anche sulla base di esplicite rivalità. Anche il ruolo del sovrano, di conseguenza, in certe fasi storiche fu abbastanza limitato.
Fu solo nel periodo classico che il re riuscì, almeno per una certa fase, ad assumere un potere molto forte, ritenuto di natura divina. Questa forma di arcaica teocrazia veniva rafforzata da un insieme di simboli e rituali, oltre che da pratiche religiose particolarmente pregnanti.
Egli era considerato un semi-dio, che mediava tra il regno dei mortali e quello degli dei. Trasmetteva inoltre il potere ai figli dopo la morte, principalmente al primogenito maschio [6]. Ed esercitava il potere facendosi aiutare dai nobili, che gestivano funzioni pubbliche e potevano far carriera all’interno dell’amministrazione.
L’importanza della scrittura
Come abbiamo detto, importantissima in questa civiltà era la scrittura, molto elaborata. Ne abbiamo per fortuna vari reperti, anche se i missionari cattolici, giunti in America nel XVI secolo, tentarono di distruggere tutti i documenti che ne riportavano degli esempi.
Le fonti principali per decifrare questa scrittura sono tre manoscritti, ritrovati in maniera fortuita e chiamati Codice di Madrid, Codice di Dresda e Codice di Parigi. Oltre a questi, però, abbiamo iscrizioni su pietra, su vasi e perfino su facciate e affreschi.
Il sistema di scrittura è molto complesso. Viene definito “a geroglifici” per una somiglianza con quello antico egiziano, ma in realtà è abbastanza diverso. I maya infatti rappresentavano sia le singole sillabe delle parole, sia, con un logogramma, la parola intera.
Ovviamente, data la complessità di questo sistema esso non era affatto noto a tutti. La gran parte della popolazione era infatti analfabeta. La scrittura costituiva un compito delegato agli scribi, tra i quali si potevano comunque trovare anche delle donne. Non è chiaro, inoltre, se i nobili sapessero leggere e scrivere.
L’astronomia e il calendario
La cosa per cui i maya sono maggiormente noti sono però gli studi astronomici, applicati in particolare al calendario. Calcolarono i cicli solari e lunari, studiarono le eclissi e il movimento dei pianeti, divennero esperti di astronomia e astrologia. In alcuni casi i loro calcoli erano perfino più corretti di quelli effettuati al tempo in Europa [7].
La religione in ogni alba
Tutta questa attenzione alle stelle non era però fine a se stessa. Per i maya l’astronomia aveva infatti una valenza religiosa, visto che i calendari avevano uno scopo rituale e divinatorio. D’altronde, per loro ogni alba e ogni tramonto erano sacri e questo studio poteva essere paragonato a una forma di preghiera.
Ovviamente lo studio dell’astronomia li aveva portati a sviluppare gli strumenti matematici che erano necessari per effettuare certi calcoli. Il loro sistema era a base vigesimale (base-20). Ovviamente non usavano le cifre, che furono introdotte in Europa dagli arabi, ma un sistema basato su punti e linee. Il punto valeva un’unità, la linea cinque.
Inoltre i maya sono ricordati per essere stati tra i primi ad utilizzare lo zero esplicito, cioè indicato graficamente. Questa introduzione si deve alle esigenze dei sacerdoti, che per i loro calcoli astrali avevano bisogno di una sorta di “segnaposto”. Così fu introdotto un simbolo a indicare questa cifra [8].
La religione dei maya
Visto che abbiamo parlato di numeri e di stelle, concludiamo il discorso con gli dei. Come molte altre civiltà della zona, i maya credevano in un politeismo caratterizzato dalla paura per le calamità naturali. Secondo loro, infatti, il mondo era attraversato da una perenne lotta tra il bene e il male.
Quando trionfava il bene, arrivavano le piogge e la fertilità. Quando invece vinceva il male, sulle popolazioni si abbattevano le sciagure della siccità, delle guerre, delle calamità naturali. Bisognava quindi cercare di ingraziarsi gli dei, anche tramite preghiere ai defunti che potevano fare da mediatori con essi.
I maya avevano inoltre elaborato una complessa rappresentazione del cosmo, basata su 13 livelli nei cieli e altri 9 negli inferi. Ogni livello era abitato da diverse divinità, che influenzavano ogni aspetto della vita, anche quelli più banali.
I sacerdoti costituivano infine una casta, incaricata di lavorare per garantire la protezione degli dei. Per guadagnarsi il favore delle divinità si poteva ricorrere anche ai sacrifici umani, perché il sangue era considerato un nutrimento fondamentale degli dei. Gli uomini che venivano offerti erano perlopiù prigionieri di guerra, anche di alto rango.
Questi sacrifici venivano effettuati spesso in occasione di grandi cerimonie civili. Ad esempio, quando veniva incoronato un nuovo sovrano poteva venire contemporaneamente ucciso un sovrano nemico catturato. Inoltre, a volte gli stessi re maya praticavano dei loro sacrifici di sangue con piccole mutilazioni (anche in forma di circoncisione).
4. Gli inca
Finora ci siamo soffermati sopratutto su civiltà che vengono comunemente chiamate mesoamericane. Culture e popoli, cioè, che trovarono il loro bacino di sviluppo nell’America centrale, spesso nel territorio dell’attuale Messico. Ma i grandi regni o i potenti imperi sorgevano in qualche caso anche altrove.
Il più importante degli imperi sudamericani fu infatti indubbiamente quello degli inca. Originatosi attorno al XIII secolo, era ancora relativamente giovane quando venne aggredito dagli spagnoli. Ma aveva già dato prova di un sistema organizzativo piuttosto evoluto, che incantò anche gli osservatori del tempo.
I misteri degli inca
La cosa più rilevante da dire riguardo a questa civiltà, però, riguarda l’aura di mistero che ancora la pervade. Tutti i popoli precolombiani hanno spesso suscitato la curiosità degli europei, ma nel caso degli inca questa curiosità è spesso andata frustrata.
Gli interrogativi
Gli storici, infatti, li hanno indagati a lungo, ma vari interrogativi – a volte anche molto importanti – rimangono aperti sul loro conto.
Ad esempio, c’è un ampio dibattito riguardo alla zona di origine di questo popolo. Gli inca infatti si stanziarono nell’attuale Perù a seguito di una migrazione, di cui ci parlano numerosi miti. Non è chiaro però da dove arrivassero le tribù.
Per la maggior parte degli studiosi, esse provenivano da alcune zone del nord. Con grande probabilità erano infatti originarie della zona del lago Titicaca, che sorge al confine tra Perù e Bolivia. Esiste però anche una minoranza di studiosi che ha proposto origini diverse. Tra questi alcuni vedono gli inca provenire addirittura dalla Polinesia.
I miti delle origini
Proprio i miti con cui gli inca hanno tramandato l’origine della loro civiltà hanno permesso di fornire vari indizi agli antropologi. Uno, su tutti, ci sembra più importante, quello tramandato dal gesuita italiano Anello Oliva, vissuto proprio in Perù nella prima metà del ‘600.

Secondo questo mito, i primi abitanti del Perù sarebbero giunti proprio da nord, guidati dal sovrano Tumbe. Questi, anzi, avrebbe tentato di spingersi ancora più a sud ma sarebbe stato bloccato dal fallimento di alcune spedizioni militari. Alla sua morte, secondo la leggenda, lasciò il regno a due figli, Quitumbe e Otoya.
I due presto litigarono e Quitumbe si spostò, fondando un proprio nuovo regno. Mentre quello originario entrava in crisi a causa delle scelleratezze del fratello, Quitumbe fece fiorire il proprio stato, giungendo fino alla zona dell’attuale Lima.
Essendosi però dimenticato della propria moglie, lasciata nella terra d’origine, e del proprio figlio, si attirò le ire della consorte. La donna, chiamata Llira, decise di vendicarsi sul marito sacrificando agli dei il loro figlio comune, Guayanay. Proprio mentre il sacrificio si stava per compiere, però, il bambino fu rapito da un’aquila e salvato.
Da Guayanay a Manco
Il ragazzo venne lasciato dal rapace su un’isola che si spostava lungo il mare e crebbe. Una volta diventato adulto si avventurò sulla terraferma e lì scampò a morte certa solo grazie all’aiuto di una ragazza, invaghita di lui.
In seguito, tornato sull’isola, diede origine a una stirpe, che presto si fuse con quella dei discendenti di suo padre Quitumbe. Tutto questo rese presto indispensabile lasciare l’isola: gli abitanti erano ormai troppi perché la poca terra desse da mangiare per tutti.

Dopo la morte di Guayanay e il regno del figlio Atau, il potere arrivò in mano a Manco, figlio di quest’ultimo. Fu lui secondo il mito a fondare l’impero degli inca, e lo fece grazie a una buona dose d’astuzia. Sbarcato sulla terraferma e risalite le Ande, giunse infatti sul lago Titicaca, che trovò però già abitato.
Ordì allora un piano, facendosi aiutare dai suoi uomini. Davanti agli ingenui abitatori della zona, Manco si finse il figlio del Sole che da tanto si aspettava. Forte della sua sicurezza e della sua furbizia, riuscì a convincere gli indigeni a sottomettersi e a fondare la propria nuova civiltà.
La fondazione dello Stato e dell’impero
All’inizio gli inca erano comunque una semplice tribù, una tra tante. Di re in re, però, cominciarono ad ingrandirsi e rafforzarsi, aumentando la loro influenza sulla regione.
Il punto decisivo per dare origine allo stato fu la vittoria del potere politico su quello religioso. I sacerdoti inca, infatti, in origine servivano varie tribù, legate tra loro da vincoli di sangue. Quando però i sovrani riuscirono ad imporre la loro volontà sulla casta sacerdotale, l’idea non divenne più quella di convivere ma di sottomettere.
Infine, gli Inca riuscirono a dare origine a un vero e proprio impero, usando tattiche di condotta politica e militare anche piuttosto sapienti. Com’è noto, quando assoggettavano un popolo erano infatti soliti lasciare intatte le tradizioni e i poteri locali, soprattutto se i sottomessi si erano assoggettati senza bisogno di una guerra.
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L’unico vincolo a cui i sovrani locali erano sottoposti era l’assoluta fedeltà all’inca supremo, il capo dello Stato. Dovevano infatti di tanto in tanto relazionare al potere centrale e soprattutto dovevano mandare i loro figli nella capitale, ufficialmente per studiare e formarsi ma in realtà come ostaggi.
Inoltre, gli inca potevano anche alterare la linea di successione dei vari regnanti locali, se l’erede al trono si rivelava infedele o inetto. Questo però era vero non solo per i popoli assoggettati, ma anche per gli inca stessi.
Il potere
Nessuno infatti era sicuro del proprio ruolo e della propria carica, neppure i membri della famiglia reale. Quando anzi un sovrano moriva, erano spesso in molti a poter accampare pretese sul trono, perché lo stesso sovrano si univa con più donne e aveva diversi figli.
In genere, però, prevaleva un criterio meritocratico [9], anche se le congiure erano all’ordine del giorno.
Da questo punto di vista, il più grande sovrano inca fu probabilmente Pachacutec, vissuto attorno al 1400. A lui si deve una profonda riforma dello Stato, che rafforzò nella forma confederativa, e che permise agli inca di inglobare – in posizione subalterna – diverse etnie.
La lingua segreta
Ovviamente gli appartenenti alla famiglia reale e i nobili erano privilegiati rispetto al resto della popolazione e delle etnie sottomesse. È molto probabile, anche, che questa casta avesse una propria lingua segreta, che usava per comunicare e che era vietata al popolo.
I nobili, però, non avevano una vita semplice, visto che erano gravati da molte responsabilità. In compenso, per loro i reati di solito non prevedevano pene corporali, ma più che altro correttive o lesive dell’onore. In ogni caso per le colpe più gravi si faceva ampio ricorso alla pena di morte, sia per i nobili che per il popolo.
Servi, deportati e donne
Un’ultimo spunto vogliamo darlo rispetto a tre gruppi che solitamente, anche in Europa, godevano di scarsissimi diritti: le donne, i servi e gli stranieri. E nel primo caso bisogna dire che in realtà la condizione della donna inca era relativamente avanzata.
Tra i popoli assoggettati, infatti, alcuni avevano una struttura del potere di tipo matriarcale che veniva rispettata, e anche tra gli inca stessi le donne godevano di notevoli diritti. Certo, non potevano accedere al trono, ma la regina spesso manteneva una buona parte del potere anche in assenza del marito (ad esempio quando questi era in guerra).
I servi erano prigionieri di guerra o cittadini ritenuti colpevoli di particolari reati e quindi declassati. Rispondevano solo al loro padrone, ma spesso erano istruiti e intelligenti e le loro capacità venivano utilizzate anche per le funzioni pubbliche.
I popoli assoggettati, infine, venivano di tanto in tanto costretti al trasferimento (quasi delle deportazioni). Questo si rendeva necessario, nell’ottica inca, per diversi motivi. Ad esempio, nel caso dei popoli più riottosi si pensava che un allontanamento dalla terra d’origine potesse aiutare a placare gli animi.
Altre volte, quando tutta una zona manifestava scarsa volontà di assoggettarsi al dominio degli inca, questi ultimi facevano trasferire lì delle tribù invece più obbedienti. In modo che col loro esempio riuscissero comunque a riportare la pace.
5. Gli aztechi
Concludiamo con l’ultima grande civiltà ad essersi sviluppata sul continente americano, quella degli aztechi. Questo popolo infatti diede vita ad un potente impero tra il ‘300 e il ‘500, il più sviluppato nel momento in cui gli spagnoli attraccarono nel Nuovo Mondo.
Anche per questo motivo la loro cultura e la loro storia ha sempre interessato gli europei, se non altro perché per certi versi può sembrare il punto d’arrivo di un lungo percorso che aveva coinvolto vari popoli centroamericani. Da questo punto di vista, è significativo pure il loro nome, che non era in origine quello di aztechi.
Questa parola, infatti, fu attribuita loro solo tardivamente da parte del geografo tedesco Alexander von Humboldt. Loro non usavano questo termine per definirsi, ma piuttosto quello di Mexica, che si ritrova oggi nel nome dello stato del Messico.
La storia degli aztechi e le loro guerre
In questo caso abbiamo qualche certezza in più relativamente alle loro origini, anche perché, come detto, si svilupparono in tempi più tardi. La popolazione proveniva infatti dal nord dell’attuale California, e si spostò all’inizio del XIV secolo nella zona del lago Texcoco.
Qui con l’andare del tempo i mexicas fondarono la loro capitale, Tenochtitlàn. La città si ingrandì man mano che si ingrandiva lo stato azteco, tramite guerre sempre più cruente e vittoriose.
Quando gli spagnoli vennero a contatto con questo popolo si trovarono davanti a un vero e proprio impero, strutturato in province e con un capo, l’imperatore, che deteneva un potere importante ma non ereditario.
Dal punto di vista organizzativo, in realtà, parlare di impero è in un certo senso improprio. È vero infatti che l’imperatore esercitava un potere assoluto e che all’interno dello Stato convivevano varie etnie, ma c’era grande libertà a livello locale. Alcuni preferiscono infatti parlare di una federazione di città-stato, relativamente autonome tra loro.
Così quando un nuovo territorio veniva conquistato (tramite una guerra), il re locale spesso manteneva i propri privilegi. Quello che interessava agli aztechi era infatti soprattutto il pagamento dei tributi.
Proprio la guerra aveva, nell’immaginario azteco, un’importanza fondamentale. Non solo perché permetteva di ingrandire i confini, ma anche per motivi religiosi. Com’è noto, infatti, anche questo popolo praticava sacrifici umani rituali agli dei. E a morire erano spesso i prigionieri di guerra.
Sacrifici umani e cannibalismo
Secondo la mitologia azteca [10], infatti, il mondo era già stato distrutto e ricreato quattro volte. Il quinto sole, che manteneva in vita l’attuale piano dell’esistenza, per continuare nella sua attività doveva bruciare. E aveva in un certo senso bisogno di “combustibile“, cioè corpi umani. Da qui la pratica dei sacrifici, assai cruenta e ben descritta sia dai locali che dai conquistadores.
Ma non erano, in realtà, solo gli sconfitti in battaglia a fare questa brutta fine. Potevano essere sacrificati agli dei anche dei volontari, oppure in certi casi perfino gli sconfitti in gare di tlachtli, sport di cui parleremo a breve.

Inoltre, non era rara la pratica del cannibalismo, rappresentata in diversi dipinti e bassorilievi. Spesso ai sacrificati veniva squarciato il petto e veniva estratto il cuore, che veniva offerto agli dei. Il resto del corpo veniva macellato per usarlo per gli scopi più diversi. Tra cui, appunto, l’alimentazione [11].
Non tutti gli dei, però, secondo la fede azteca gradivano sacrifici di questo tipo. Erano molto amati dalla divinità principale, il dio Huitzilopochtli, della guerra e del sole. Il celebre dio Quetzalcoatl, invece, non li apprezzava e quindi a lui non si sacrificavano vite umane.
L’istruzione
Particolarmente interessanti sono due aspetti di solito considerati marginali, ma molto originali come quelli dell’istruzione e dello sport. In primo luogo, gli aztechi avevano un efficiente sistema scolastico, per certi versi più avanzato del coevo sistema europeo.
Fino ai 14 anni l’educazione era demandata alle famiglie, che erano tenute – previo controllo dello Stato – ad istruire i bambini anche insegnando loro un insieme di “detti antichi” o proverbi. Poi, a 15 anni, iniziava la scuola vera e propria, gestita dalla classe sacerdotale.
A scuola andavano tutti i ragazzi, sia maschi che femmine, senza distinzione di rango sociale, di classe o di etnia. Esistevano due tipi di scuole, ed è proprio studiando i loro rudimentali programmi che alcuni studiosi hanno ipotizzato che questa pratica fosse addirittura antecedente agli aztechi, ereditata da altre culture.
Vi era una scuola militare e pratica, chiamata telpochcalli, e una invece più intellettuale, di nome calmecac. In quest’ultima si studiavano la scrittura, l’astronomia, la politica, la teologia ed altre discipline di alto livello. Alle ragazze però non era insegnato a leggere e a scrivere, perché il loro compito era accudire la casa e i figli.
Sport e divertimento
Oltre allo studio però non mancavano le occasioni di svago. Uno svago per la verità vissuto in maniera molto sanguigna; un aspetto, questo, che paradossalmente è rimasto anche nella cultura sudamericana di oggi. Lo sport più amato era il tlachtli.
Questo, come abbiamo già scritto, aveva un’origine antichissima, anche se poi si era diversificato di cultura in cultura. Il modo in cui ci giocavano gli aztechi era particolare. Hernán Cortés ce lo descrive nei suoi diari.
In pratica, su un campo piuttosto lungo si confrontavano due squadre di 10 giocatori. Questi dovevano passarsi tra loro la palla non facendola cadere a terra e usando solo cosce, spalle, anche e testa. Tramite questi passaggi al volo, dovevano avvicinarsi a uno stretto cerchio sopraelevato e cercare di farci passare la palla attraverso [12].
Il gioco era molto spettacolare ma anche molto duro. Il pallone rimbalzava, ma era molto pesante e spesso feriva i giocatori. Quando poi si riusciva a segnare, il gioco terminava e non era raro che gli sconfitti venissero sacrificati agli dei [13].
Inoltre, queste partite erano seguite da migliaia di persone, che non si limitavano a fare il tifo. Come gli appassionati di oggi, infatti, gli aztechi scommettevano sull’una o sull’altra squadra. E scommettevano forte: i nobili potevano puntare ingenti ricchezze. I re scommettevano intere città. I poveri mettevano sul piatto le loro mogli o la loro stessa libertà.
La cucina azteca
L’ultima veloce curiosità la riserviamo alla cucina azteca. Il popolo centroamericano infatti aveva sviluppato una serie piuttosto ampia di piatti. L’elemento cardine però era costituito dal mais, dal quale si ricavavano tortillas, tamal e atole.
Importantissimi poi erano il sale e il peperoncino, che sono presenti anche con un ruolo fondamentale nella cucina messicana. Tanto è vero che per gli aztechi praticare il digiuno non significava astenersi completamente dal cibo, ma evitare queste due spezie.
Mangiavano poi carne di moltissimi animali e facevano un grande uso dei fagioli. Per quanto riguarda le bevande, c’era una netta differenza sociale. Le classi più umili bevevano succhi fermentati e alcolici di vario tipo, ma solo quelle più elevate consumavano bevande ricavate dal cacao.
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Note e approfondimenti
[1] Qui si cerca di fare un po’ il punto sugli studi e le conoscenze a questo riguardo. ↑
[2] Per approfondire, qui si traccia una panoramica tra i vari sistemi di scrittura che si svilupparono in Centro America, con le relative, reciproche influenze. ↑
[3] E che derivava da alcuni scritti aztechi, interpretati però probabilmente in modo non preciso. ↑
[4] Se cercate informazioni turistiche sulla zona, le trovate qui. ↑
[5] Tutti alimenti, come vedremo, che diventeranno fondamentali anche nella cucina azteca prima e messicana poi. ↑
[6] Anche se, in quei rari casi in cui si rischiò l’estinzione della dinastia, il titolo toccò anche a figlie femmine. Ad esempio, come nel caso di questa regina guerriera, il cui corpo è stato rinvenuto di recente. ↑
[7] Ad esempio nel calcolo dell’anno solare, che avevano effettuato con maggior precisione di quanto non fosse stato fatto nel caso del calendario giuliano. Qui trovate uno strumento per convertire le date dal calendario maya a quello europeo e viceversa. ↑
[8] A volte era rappresentato come una conchiglia, in altri casi come una spirale o un occhio socchiuso. Se poi vi interessa la “storia dello zero”, leggete qui. ↑
[9] Da un certo punto in poi, il sovrano cominciò inoltre ad associare al trono il figlio che riteneva più meritevole, in modo da dare chiara indicazione sulla linea di successione già prima della propria morte. ↑
[10] Qui una guida (con varie immagini) alle molte divinità locali. ↑
[11] A mangiare le gambe dei morti erano soprattutto le classi più elevate, quindi i nobili e i guerrieri. La carne umana veniva probabilmente stufata e servita con tortilla di mais. ↑
[12] Qui potete vedere una scena del cartone La strada per El Dorado in cui si mette in scena una partita di questo tipo. ↑
[13] Qualche storico però ha avanzato l’ipotesi che fosse il capitano della squadra vincitrice a essere immolato, perché questo doveva rappresentare un grande onore. ↑