
È sempre straordinario accorgersi di come, davanti alla morte imminente, l’uomo sappia in certi casi tirare fuori il meglio di sé. La storia ci mostra infatti decine di casi di persone che, prossime ad un’esecuzione, invece di cedere alla disperazione hanno saputo manifestare grande dignità, che, anche davanti a condanne ingiuste, sono andate incontro al loro destino con coraggio e con una parola buona perfino per i loro stessi carcerieri e boia.
Affrontare la morte senza paura e a viso aperto, anzi, è stato per secoli l’imperativo morale dei primi cristiani, sull’esempio di Gesù Cristo.
Ma è un atteggiamento presente anche in altre culture e tradizioni che, con l’andare dei secoli, s’è laicizzato ed è diventato il cardine di un’etica fondata sull’amore per l’umanità, per i suoi progressi e per i suoi stessi errori.
Un’operazione straziante ma necessaria
Così, leggere le lettere d’addio di persone che per un motivo o per l’altro erano in procinto di morire è un’operazione a volte straziante.
L’ingiustizia del fato o dell’uomo si abbatte infatti spesso su esseri umani che dimostrano una grandezza morale e una dirittura fuori dal comune, e non possono non commuoverci le parole che hanno lasciato ai figli, alle madri o alle altre persone amate, a mo’ di saluto.
Purtroppo, di lettere del genere ce ne sono a centinaia. Con i condannati a morte della Resistenza italiana ed europea si sono costruiti perfino svariati libri, toccanti e meritevoli di letture e riletture.
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Noi, per questa nostra cinquina, abbiamo scelto cinque lettere, tra loro molto diverse perché scritte in momenti differenti e per motivi anche opposti, tutte però caratterizzate, credo, dall’onestà, dalla fermezza e da alti ideali.
Per ogni autore abbiamo ridotto al minimo la biografia, in modo da lasciar parlare la lettera che a volte è anche abbastanza corposa. Ci sarà tempo e modo, in altri articoli, di approfondire la vita e le gesta dei vari personaggi.
Indice
1. L’addio di un padre e di un figlio
Il disastro minerario di Fraterville nel 1902
19 maggio 1902. In Tennessee, nella miniera di carbone di Fraterville, si verifica una forte esplosione, forse a causa di una fuoriuscita di metano da una miniera adiacente.
Alla fine moriranno 216 minatori, ma, mentre alcuni sono uccisi subito dall’esplosione, altri sopravvivono per qualche ora, sepolti vivi e sicuri che la mancanza d’aria li avrebbe fatti soffocare prima dell’arrivo dei soccorsi.
Tra questi primi sopravvissuti ci sono Jacob Vowell e suo figlio Elbert, che riescono a scrivere un biglietto per la loro famiglia che sarà ritrovato ore dopo.
Ellen, cara, addio da entrambi. Elbert dice che il Signore l’ha salvato. Fai il meglio che puoi con i bambini. Stiamo tutti pregando che l’aria ci aiuti, ma sta peggiorando parecchio e non c’è aria. Horace, Elbert dice di indossare le sue scarpe e i suoi vestiti. Ora è l’una e mezza. L’orologio di Powell Harmon è nella mano di Andy Woods. Ellen, voglio che tu viva rettamente e venga in paradiso. Il piccolo Elbert dice che ha fiducia nel Signore. L’aria cattiva si sta chiudendo su di noi velocemente. Cara Ellen, ti lascio in cattive condizioni, ma riponi la tua fiducia nel Signore perché ti aiuti a crescere i miei piccoli bambini. Elbert dice che lo rivedrete tutti in paradiso, e tutti i bambini ci ritroveranno entrambi. Cresci i bambini meglio che puoi. Oh, come vorrei essere con te. Addio a tutti, addio. Seppellisci me ed Elbert nella stessa tomba del piccolo Eddie. Addio Ellen, addio Lillie, addio Jimmie, addio Minnie, addio Horace. Oh Dio, solo un altro respiro. Ellen, ricordami finché vivi. Addio cara. Sono le 2:25. Solo pochi di noi sono ancora vivi. Jake e Elbert.
2. La lettera di Virginia Woolf
Il biglietto al marito prima del suicidio
Il 28 marzo 1941 la scrittrice e saggista Virginia Woolf, cinquantanovenne, uscì di casa, recandosi verso il fiume Ouse, non distante dalla sua abitazione, nei pressi di Rodmell. Si riempì le tasche del cappotto con pesanti sassi e pietre e si immerse nell’acqua del fiume, non uscendone viva.
Soffriva da tempo di depressione, una malattia che l’aveva attanagliata in gioventù, dalla quale si era poi ripresa ma che era tornata a perseguitarla in quegli ultimi mesi, nonostante la vicinanza degli amici e delle persone care.
Al marito Leonard Woolf aveva lasciato un biglietto breve ma toccante, che fu ripreso dai giornali qualche giorno dopo.
Carissimo,
sono certa di star impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E stavolta non guarirò. Inizio a sentire delle voci e non riesco a concentrarmi. Sto quindi facendo quel che mi sembra la cosa migliore da fare. Mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone potessero essere più felici fino a quando non è arrivata questa terribile malattia. Non riesco più a combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti lavorare. E so che lo farai. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dire è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato estremamente paziente con me e incredibilmente buono. Voglio dirlo. Tutti lo sanno. Se qualcuno avrebbe potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non penso che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.
V.
3. Il messaggio scritto con un chiodo
Alberto Marchesi e l’eccidio delle Fosse Ardeatine
Il 24 marzo 1944 le autorità naziste in Italia fucilarono 335 detenuti romani come rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella.
La strage, nota come Eccidio delle Fosse Ardeatine, fu uno dei crimini più efferati di cui si resero colpevoli gli occupanti tedeschi in Italia, e fu compiuta violando vari accordi internazionali, visto che almeno una parte dei condannati fu scelta tra comunisti, ebrei e civili che non si erano macchiati di particolari reati.
Tra questi vi era anche Alberto Marchesi, un comunista romano di 43 anni, commerciante, che da sempre aveva svolto propaganda antifascista e che era stato arrestato e torturato dai tedeschi pochi giorni prima, in seguito a una delazione.
Quando si rese conto che stavano per portarlo verso la morte, non avendo a disposizione né carta né penna prese un chiodo e incise, sul muro della sua cella (la numero 25) in via Tasso, un messaggio – molto breve ma anche molto emblematico delle condizioni di precarietà in cui si poteva lasciare una testimonianza – per la sua famiglia.
A mio figlio Giorgio
Abbi cura e stringiti a mamma.
Abbi cura di mamma.
Tuo papà Alberto che non rivedrai più.
Alberto
4. Lettera alla figlia adolescente
Milada Horáková, la politica ceca condannata dal regime
Il nome di Milada Horáková oggi non è più famoso come un tempo, ma la sua vita e la sua testimonianza meriterebbero libri e film.
Praghese, nata nel 1901, già nel 1916 fu espulsa dal liceo per la sua propaganda pacifista, aderendo, dopo la laurea in Giurisprudenza, al Partito Socialista. Si sposò con un compagno di partito nel ’27 e divenne madre di Jana nel ’34.
Quando la Cecoslovacchia fu occupata dai tedeschi divenne uno dei capi della Resistenza. Arrestata dalla Gestapo, fu condotta in vari campi di concentramento e prigionia, venendo liberata nel maggio del ’45.
Venne eletta nel primo Parlamento libero ma, dopo il colpo di stato comunista del ’48, molti la invitarono a lasciare il paese, cosa che lei non volle fare, opponendosi al nuovo regime.
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Arrestata per cospirazione e spionaggio nel ’49, fu processata pubblicamente con accuse pretestuose e preconfezionate e, nonostante la sua grande dignità durante il dibattimento e gli appelli di molte personalità internazionali (Einstein, Churchill, Eleanor Roosevelt e altri), fu condannata a morte per impiccagione, condanna eseguita il 27 giugno 1950. Lasciò alcune lettere, la più importante è quella scritta per l’allora sedicenne figlia Jana.
Mia unica piccola ragazza Jana,
Dio ha benedetto la mia vita di donna dandomi te. Come tuo padre scrisse in una poesia da una prigione tedesca, Dio ti ha data a noi perché ci amava. Escludendo il magico, straordinario amore di tuo padre, tu sei stata il più grande dono che ho ricevuto dal fato. Ad ogni modo, la Provvidenza ha pianificato la mia vita in un modo che non mi consentirà di darti tutto quello che la mia mente e il mio cuore avevano preparato per te. Il motivo non è che ti ho amata poco; ti ho amata altrettanto puramente e con lo stesso fervore con cui le altre madri amano i loro figli. Ma ho compreso che il mio compito in questo mondo era fare il tuo bene mostrandoti che la vita migliora, e che tutti i bambini possono vivere bene. E pertanto abbiamo dovuto essere spesso separate a lungo. Questa è già la seconda volta che il fato ci divide. Non essere spaventata e triste per il fatto che non tornerò più. Impara, mia bimba, a guardare da presto alla vita come a una questione importante. La vita è dura, non coccola nessuno, e ogni volta in cui ti colpisce ti assesta dieci colpi. Abituatici presto, ma non lasciare che ti sconfigga. Decidi di combattere. Abbi coraggio e obiettivi chiari e vincerai sulla vita. Molto è ancora nascosto alla tua giovane mente, e non mi è rimasto tempo per spiegarti cose che a te piacerebbe ancora chiedermi. Un giorno, quando sarai cresciuta, ti chiederai e richiederai perché tua madre, che ti ha amata e di cui eri il dono più grande, ha condotto la sua vita in maniera così strana. Forse allora troverai la giusta soluzione a questo problema, forse una migliore di quella che io oggi posso dare a me stessa. Certo, riuscirai a risolverlo correttamente e in maniera affidabile solo conoscendo molto. Non solo dai libri, ma dalle persone; impara da tutti, anche da quelli che non contano! Gira il mondo con occhi aperti, e ascolta non solo i tuoi dolori ed interessi, ma anche i dolori, gli interessi e i desideri degli altri. Non pensare mai che qualcosa non ti riguardi. No, tutto ti deve interessare, e tu dovresti riflettere su tutto, confrontare, comporre fenomeni individuali. L’uomo non vive nel mondo da solo; in questo c’è una grande felicità, ma anche una tremenda responsabilità. Questo obbligo consiste prima di tutto nel non essere e non agire in maniera esclusiva, ma piuttosto fondendosi con i bisogni e gli obiettivi degli altri. Questo non significa perdersi nella moltitudine, ma sapere che si è parte del tutto, e per portare il meglio che uno può dare alla comunità. Se farai questo, riuscirai a contribuire agli obiettivi comuni della società umana. Sii più conscia di quanto non sia stata io di un principio: avvicinati a tutto nella vita in maniera costruttiva e diffida di chi dice no senza necessità (non sto parlando di tutti i no, perché credo che si dovrebbe dir no al male). Ma per essere una persona veramente positiva in tutte le circostanze, si deve imparare come distinguere il vero oro dalla bigiotteria. È difficile, perché la bigiotteria a volte brilla in maniera abbagliante. Confesso, figlia mia, che spesso nella mia vita sono stata abbagliata dalla bigiotteria. E qualche volta brilla in maniera così falsa che si lascia cader di mano l’oro puro e si corre dietro al falso oro. Sai che organizzare bene la propria scala di valori significa non solo conoscersi bene, essere fermi nell’analisi del proprio carattere, ma principalmente conoscere gli altri, conoscere il più possibile del mondo, il suo passato, presente e futuro sviluppo. Ebbene, in breve: conoscere, capire. Non chiudere le orecchie davanti a nulla e per nessun motivo, nemmeno zittire i pensieri e le opinioni di qualcuno che mi ha pestato i piedi o che mi ha ferito profondamente. Esamina, pensa, critica, sì, principalmente critica te stessa, non aver paura di ammettere una verità che hai compreso, anche se avevi proclamato l’opposto fino a un attimo prima; non diventare ostinata sulle tue opinioni, ma quando arrivi a considerare giusta una cosa, allora sii così determinata da combattere e morire per essa. Come ha detto Wolker, la morte non è male. Solo bisogna evitare la morte graduale, che è ciò che accade quando uno si scopre staccato dalla vera vita degli altri. Devi mettere radici dove il fato ha stabilito di farti vivere. Devi trovare la tua strada. Cercala da sola, non lasciare che nessuno ti distragga da essa, nemmeno la memoria di tua madre e di tuo padre. Se davvero li ami, non farli soffrire guardandoli con occhio critico; solo non andare per una strada che è sbagliata, disonesta e non si armonizza con la tua vita. Ho cambiato idea molte volte, riclassificato molti valori, ma, quel che resta come valore essenziale, senza il quale non potrei immaginare la mia vita, è la libertà di coscienza. Vorrei che tu, mia piccola ragazza, pensassi se ho avuto ragione oppure no.
(la lettera completa, in inglese, si può leggere qui)
5. Quando papà è una spia
La Guerra Fredda e la lettera dei Rosenberg ai figli
Nei primi anni Cinquanta la Guerra Fredda era alla sua massima tensione, e non si esitava a giustiziare chiunque, a torto o a ragione, venisse sospettato di collaborare con l’altro blocco.
Così se in Cecoslovacchia trovava la morte Milada Horáková, negli Stati Uniti nel 1951 scoppiava il caso Rosenberg: in quell’anno infatti i coniugi newyorkesi Julius ed Ethel, di trentadue e trentacinque anni, venivano arrestati con l’accusa di essere spie comuniste e di aver passato segreti militari all’Unione Sovietica.
Sarebbero stati condannati a morte e giustiziati due anni più tardi, nonostante gli accorati appelli internazionali (se Julius era probabilmente colpevole di aver passato alcune informazioni sul nucleare – ma sicuramente non decisive –, Ethel era altrettanto probabilmente estranea alla vicenda), lasciando orfani due figli piccoli, Michael di 10 e Robert di 6 anni, che furono adottati dal musicista Abel Meeropol, già autore di brani per Billie Holliday.
Questa è la lettera che Ethel Rosenberg preparò per loro.
Dolcezze carissime, preziosissimi bambini,
solo questa mattina sembrava che saremmo potuti essere di nuovo insieme, dopotutto. Ora che non è possibile, voglio che sappiate tutto quello che ho imparato. Sfortunatamente, posso scrivere solo poche semplici parole; il resto ve lo insegneranno le vostre stesse vite, come la mia l’ha insegnato a me. All’inizio, sicuramente, piangerete amaramente per noi, ma non piangerete da soli. Questa è la nostra consolazione e deve essere alla fine anche la vostra. Alla fine, anche voi dovete arrivare a capire che la vita val la pena di viverla. Siate rassicurati che anche ora, con la nostra fine che lentamente si avvicina, questa è una convinzione che sconfigge il boia! Le vostre vite vi insegneranno, anche, che il bene non può realmente fiorire in mezzo al male; che la libertà e tutte le cose che rendono la vita veramente soddisfacente e degna di essere vissuta devono a volte essere conquistate a caro prezzo. Siate rassicurati allora dal fatto che eravamo sereni e abbiamo capito nel profondo che la civiltà non è ancora progredita fino al punto in cui la vita non deve essere persa a causa della vita stessa; e che noi eravamo confortati dalla sicura conoscenza che altri continueranno dopo di noi. Avremmo voluto avere la straordinaria gioia e gratificazione di vivere le nostre vite con voi. Vostro papà, che è con me in queste ultime importanti ore, vi manda il suo cuore e tutto l’amore che c’è dentro per i suoi carissimi ragazzi. Ricordate sempre che eravamo innocenti e non abbiamo fatto nulla di male per le nostre coscienze.
Vi stringiamo forte e baciamo con tutte le nostre forze.
Con amore,
papà e mamma
Julie e Ethel
E voi, quale lettera d’addio preferite?
Aggiungerei quella di Gabriel Garcia Marquez…