
Qualche anno fa mi è capitato di trovarmi a lavorare all’interno di un progetto che coinvolgeva varie scuole in giro per l’Europa e che riguardava il tema degli stereotipi che inevitabilmente si vengono a creare nei confronti degli stranieri. Un progetto che prevedeva diversi scambi culturali tra gli studenti, viaggi ed attività di gruppo.
I luoghi comuni sull’Italia
Lavorando sul tema, era drammaticamente evidente (anche se in realtà prevedibile) come all’estero l’immagine dell’Italia fosse, allora come oggi, legata a simboli non sempre rappresentativi della nostra nazione. E non sempre encomiabili. Le parole che emergevano più spesso erano infatti “mafia”, “Berlusconi” (erano gli anni delle grandi gaffe nazionali ed internazionali), “Mussolini”.
Accanto a queste ce n’erano però anche di più positive, altrettanto stereotipate ma almeno legate ad alcune nostre eccellenze. Tra queste c’erano “pizza”, “pasta”, “spaghetti”, “Ferrari” e una sfilza più o meno infinita di calciatori del recente passato. E se la pizza è la prima cosa positiva che tiene alto il nome dell’Italia nel mondo, allora forse vale la pena di raccontarne la storia. O quantomeno di raccontarne cinque aspetti particolari o inattesi.
Indice
I popoli germanici e la pizza nel X secolo
La teoria dell’Oxford English Dictionary
La pizza come la conosciamo oggi ha un’origine che non può essere anteriore alla scoperta dell’America, semplicemente perché prima di allora in Europa non si coltivava il pomodoro. Sono però molte le discussioni riguardanti il nome del nostro celebre alimento tradizionale, che deriva da ben prima di Cristoforo Colombo.
I più antichi documenti che utilizzano il termine pizza, nel senso di focaccia (senso che è ancora piuttosto diffuso in alcune parti d’Italia), risalgono addirittura alla fine del X secolo. È in quell’epoca, infatti, che la parola viene usata in un testo latino redatto a Gaeta.
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Ma da dove proveniva quella nuova parola? Un tempo era dato per assodato che “pizza” derivasse dal greco bizantino pitta, a sua volta mutuato dal greco antico pissa, che significava “torta”. Una seconda versione, meno fortunata, sosteneva invece che l’etimologia della parola rimandasse a pinso, verbo latino che indicava l’atto del battere.
Portata dai longobardi?
Recentemente, però, l’Oxford English Dictionary ha proposto una versione differente, presto ripresa da altri dizionari di lingua inglese come ad esempio l’American Heritage Dictionary. Una versione secondo la quale la parola deriverebbe dall’antico germanico – poi portato in Italia dai longobardi – di bizzo o pizzo. Queste parole significavano “morso” e da esse deriverebbero anche i termini inglesi bit e bite.
Se tutto questo fosse vero, l’etimologia non farebbe altro che confermare come la pizza fosse fin dall’inizio un cibo da mangiare, letteralmente, a morsi.
La scoperta dell’America e del pomodoro
La nascita della pizza moderna
Se il pane, la focaccia e un impasto più o meno simile a quello della pizza erano insomma già noti in epoca medievale, quello che mancava del tutto, però, era il pomodoro. L’ortaggio sarebbe infatti arrivato in Europa solo in seguito alle prime esplorazioni delle nuove colonie americane.
Importata verso la fine del ‘500, la pianta ebbe tra l’altro qualche problema ad imporsi all’interno della dieta mediterranea. Per svariati decenni, infatti, la si ritenne velenosa, a causa del fatto che molti altri esemplari della stessa famiglia (quella delle piante solanum, a cui appartengono anche la patata e la melanzana) effettivamente lo erano.
Lo studio dell’Università di Udine
Ma allora quale fu la prima pizza che si può considerare quantomeno simile a quella attuale? Dove fu inventata, a chi venne l’idea di unire la focaccia col pomodoro? Nel corso degli anni varie città e varie tradizioni hanno cercato di attribuire a sé l’onore dell’invenzione. Uno studio piuttosto approfondito della Facoltà di Agraria dell’Università di Udine, però, pare aver dissipato parecchi dubbi.
Secondo gli studiosi, la pizza moderna sarebbe nata a Napoli a metà del ‘700, divenendo ben presto una pietanza molto amata dagli strati più umili della popolazione ma anche dai sovrani borbonici. Nella città partenopea, d’altro canto, era già diffusa da un paio di secoli una focaccia soffice chiamata mastunicola prima e cecinielli poi, a seconda degli ingredienti con cui veniva servita.
La cronaca di Alexandre Dumas padre
La visita a Napoli dello scrittore francese
Se tante polemiche e leggende sono legate alle origini della pizza è sicuramente, da un lato, a causa della sua estrema diffusione e popolarità, ma dall’altro anche per la mancanza di fonti documentarie affidabili. Mangiata, come detto, dagli strati più umili della popolazione (che la compravano da bancarelle in strada) e dai Borbone ma in occasioni non ufficiali, non veniva menzionata in atti pubblici.
Una delle prime citazioni di un certo livello arrivò infatti piuttosto tardi, ma nientemeno che da Alexandre Dumas padre, l’autore de Il conte di Montecristo e I tre moschettieri. Lo scrittore con Napoli ebbe un rapporto molto lungo di attrazione e insieme di divertita attenzione sociologica. Nel capoluogo campano risiedette infatti per vari anni dopo esservi entrato con Garibaldi, che lì l’aveva fatto nominare Direttore degli scavi e dei musei, oltre ad avergli chiesto di fondare un giornale come L’Indipendente.
Il corricolo
Con la città partenopea Dumas aveva però già esperienza, visto che più di vent’anni prima, nel 1835, aveva fatto un lungo viaggio nell’Italia del sud. Un viaggio che gli aveva ispirato una serie di racconti poi raccolti nel volume Il corricolo, in cui descriveva credenze e costumi locali come la iettatura o le figure dei lazzari.
E proprio all’interno di questo libro, al capitolo 8, si legge che a Napoli durante l’inverno l’unico cibo consumato dagli umili era proprio la pizza: «aromatizzata con olio, lardo, sego, formaggio, pomodoro, o acciughe sotto sale».
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Il falso storico sulla pizza Margherita
La Regina di casa Savoia e l’arte della propaganda
Nel nostro paese il patriottismo è ben poco di casa. Quando guardiamo, ad esempio, all’orgoglio con cui gli americani salutano la loro bandiera o i francesi gonfiano il petto cantando la marsigliese, rimaniamo un po’ dubbiosi, considerando questi gesti una forma di esagerato nazionalismo che in Italia puzzerebbe quasi di fascismo.
Eppure, da bambini provavano con impegno a farci amare la patria, leggendoci le edificanti storie di Edmondo De Amicis nel libro Cuore. Oppure raccontandoci l’origine del tricolore come un ricordo del sangue dei martiri della patria, delle nevi delle Alpi e dei prati d’Italia. Anche se la verità era molto meno elegante ed edificante.
Nata nel 1889?
Qualcosa di simile, d’altro canto, è avvenuto pure con la pizza, che la vulgata ha voluto per molti anni come una creazione napoletana volta ad onorare la regina Margherita di Savoia durante la sua visita a Napoli nel 1889. In quell’occasione le fu preparata quella che sarebbe divenuta la pizza Margherita, coi tre colori del rosso (pomodoro), bianco (mozzarella) e verde (basilico) che richiamavano quelli della bandiera nazionale.
La realtà è molto più prosaica. La pizza, come abbiamo visto, all’epoca della visita della moglie di Umberto I era già diffusa da almeno un secolo a Napoli. E pure quella a base di pomodoro e mozzarella era già stata descritta vent’anni prima proprio con quello stesso nome da Francesco De Bourcard nel suo Usi e costumi di Napoli del 1866.
In quel libro il nome di Margherita, infatti, non si riferiva alla futura regina, che allora era solo una quindicenne cugina dell’erede al trono, ma al modo in cui si disponevano sulla pizza le fette di mozzarella, a ricordare i petali del fiore margherita.
I due soli gusti ufficiali
La pizza napoletana verace
Se avete in casa un qualsiasi listino di una pizzeria per asporto, ben sapete quanto si sono moltiplicati negli ultimi anni i gusti delle pizze. Si sono sperimentate combinazioni sempre più ardite, si sono aggiunti ingredienti che fino a vent’anni fa mai si sarebbe osato posare sul pomodoro. Perfino gli stessi clienti hanno cominciato a lanciarsi in combinazioni personali, dettate telefonicamente a pizzaioli sempre più esterrefatti.
Eppure all’origine i gusti delle pizze erano pochi, pochissimi. L’Associazione Verace Pizza Napoletana, un organismo che dal 1984 si è dato il compito di preservare l’originale pizza napoletana, infatti riconosce solamente due tipologia di pizza tradizionale, la Marinara e la Margherita. Pizze che in effetti furono le prime ad essere codificate nella tradizione partenopea.
Le regole di cottura
Ma le regole dei puristi non si fermano solo agli ingredienti da usare. L’Associazione infatti stabilisce che per fregiarsi del titolo di autentica pizza napoletana una pizza debba essere cotta per 60-90 secondi in un forno a legna portato esattamente alla temperatura di 485 °C, e debba avere un impasto preparato a mano senza usare il mattarello né altri mezzi meccanici. Inoltre questo impasto deve misurare non più di 35 centimetri di diametro e non più di 3 millimetri di spessore al centro.
Insomma, il gusto per l’innovazione si è legato, quasi come in una legge del contrappasso dantesca, al rinforzarsi anche delle tradizioni, in modo che davvero ce ne sia per tutti i gusti.