Cinque cose da vedere a Napoli in tre giorni

Il panorama di Napoli

Napoli è una delle più nobili città del vecchio continente: un unicum che merita senz’altro una visita, anche se veloce. La metropoli campana vanta infatti il centro storico più vasto d’Europa, che testimonia la straordinaria stratificazione di arte e umanità della città partenopea. Basta leggere la motivazione con la quale l’UNESCO ha decretato l’ingresso nel patrimonio dell’umanità dell’area urbana:

Considerando che il sito è di eccezionale valore. Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa.

Volendo ridurre le distanze e comprimere i tempi, si possono fare delle scoperte sensazionali anche in un raggio piuttosto limitato. Facendo centro sul complesso monastico di Santa Chiara si può spaziare fino a via Foria dove idealmente potrebbe concludersi il nostro tour nelle sale del Museo Nazionale.

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La Basilica di Santa Chiara

Tra spiritualità e memorie partenopee

Difficilmente – sbagliando – si associa Napoli allo stile gotico, ma la sorpresa che si avrà varcando la soglia della Basilica di Santa Chiara fugherà ogni incertezza e offrirà al visitatore l’occasione di scoprire un ambiente di grande bellezza e sobrietà. Pur trovandosi in uno dei gangli vitali della città, la basilica, grazie alle sue dimensioni ragguardevoli, regala al turista un’atmosfera sospesa, tranquilla e luminosa.

Difficile immaginare, anche solo per un istante che a seguito di uno dei bombardamenti alleati sulla città, dove ora si resta incantati da tesori d’arte e dai giochi di luce delle vetrate, non c’erano che macerie fumanti e la più completa distruzione. Ne è testimonianza la malinconica canzone di Barberis e Galdieri Munasterio ‘e Santa Chiara, che parla non solo della desolazione, ma del senso di smarrimento che il conflitto lasciò nella città e nell’animo dei napoletani. Santa Chiara resta un monito alle macerie, non solo quelle storiche, ma anche alle attuali, come ricorda Lina Sastri.

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Munasterio ‘e Santa Chiara,
Tengo ‘o core scuro scuro.
Ma pecché, pecché ogne sera
penzo a Napule comm’era?
Penzo a Napule comm’è?

Come uno scrigno, il complesso serba un autentico tesoro: il chiostro maiolicato o delle Clarisse in cui muretti interni e pilastri e panche sono rivestiti da riggiole (piastrelle) in maiolica con rappresentazioni mitologiche, scene campestri e aspetti della vita cittadina preclusa alle monache.

 

La Cappella Sansevero e il Cristo velato

«…la Cappella dei Sangro, ricolma di barocche e stupefacenti opere d’arte…» (Benedetto Croce)

Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, una delle cose da vedere assolutamente a Napoli anche in una visita di soli 3 giorni di Liberonapoli via Wikimedia CommonsA pochissima distanza dalla Basilica di Santa Chiara si trova uno dei luoghi più suggestivi ed enigmatici di Napoli: la Cappella Sansevero in cui si resta sbalorditi dalla raffigurazione del Cristo velato. L’opera dello scultore napoletano Giuseppe Sanmartino (1720-1793) ha scatenato nei secoli dibattiti e nutrito leggende, non ultima quella del presunto fenomeno alchemico della calcificazione che spiegherebbe l’incredibile resa del marmo con cui è stata realizzata l’opera.

Eppure, al di là di ogni incanto dovuto alla maestria dello scultore e dall’ambientazione, ciò che davvero sorprende è la pietà che ispira quel corpo senza vita di cui il velo sottolinea straordinariamente la nudità e la vulnerabilità. È come se dalle labbra dischiuse fosse possibile percepire l’alito che rapisce al Cristo la vita.

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Nei sotterranei della Cappella sono esposte delle “macchine anatomiche” che secondo la vulgata dovrebbero essere i corpi mummificati di due servitori di Raimondo di Sangro principe di Sansevero, temuto alchimista sulla cui fama circolano numerose leggende, alcune delle quali decisamente agghiaccianti.

 

La chiesa di San Domenico Maggiore e Spaccanapoli

Arte, cultura e pasticceria

La Chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli di IlSistemone via Wikimedia CommonsNon allontanandosi molto dall’area centrale della città – che si caratterizza per l’altissima densità abitativa e per la gran quantità di monumenti degni di nota –, ci si può dirigere verso un altro capolavoro dell’arte gotica napoletana: San Domenico Maggiore.

La chiesa di San Domenico Maggiore, nella piazza omonima, venne eretta tra il 1283 e il 1324 su volere di Carlo II d’Angiò, detto lo Zoppo (1254-1309). È una delle chiese più importanti di Napoli, anche per il fatto di essere stata casa madre dei domenicani (gli inquisitori!) nel Regno di Napoli nonché chiesa della nobiltà aragonese. L’edificio, un autentico tesoro di opere d’arte racchiuse in una struttura gotica e dagli interni pesantemente ridisegnanti secondo i dettami del barocco, si apre su una delle più importanti piazze cittadine, delimitata dalle impronte delle antiche mura greche che proteggevano la città anche dalle frequenti “lave”, acque torrentizie che partivano dalle colline circostanti per scaricarsi a valle.


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Da qui si diparte Spaccanapoli, lungo rettilineo che ripercorre il decumano inferiore di impianto greco-romano che divide la città antica in due parti e su cui si affacciano palazzi nobiliari di grande bellezza. Ci troviamo nel cuore della Neapolis greca come attesta anche la curiosa statua del dio Nilo di epoca greco-romana che popolarmente viene chiamata Il corpo di Napoli. La statua del dio ha dato il nome non solo alla piazzetta, ma anche a un mirabile edificio religioso: Sant’Angelo a Nilo, già Cappella Brancaccio, nella quale è conservato il superbo sepolcro di Rinaldo Brancaccio realizzato da Donatello in uno stile di passaggio fra gotico e Rinascimento. Il sepolcro fu realizzato a Pisa e poi trasportato via mare a Napoli.

Non possiamo sorvolare, in questa tappa, su un monumento dedicato alla impareggiabile arte pasticciera napoletana che si affaccia su Piazza San Domenico Maggiore: è la pasticceria Scaturchio, un vero mito napoletano. Pastiere, babà e sfogliatelle sono qui prodotti d’eccellenza accanto agli sfizi salati come i crocchè, gli arancini e le fumanti frittatine di pasta.

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Il Duomo di Napoli

A tu per tu con san Gennaro

L'interno del Duomo di Napoli, una delle tappe immancabili di una visita alla città (foto di Berthold Werner da Wikimedia Commons)Il Duomo di Napoli è dedicato all’Assunzione di Maria ed è una sorta di matrioska: ingloba, infatti, come una sorta di cappelle laterali, altri due edifici di culto a sé stanti come la Basilica di Santa Restituta (con il battistero di San Giovanni in Fonte, il più antico di tutto l’Occidente) e la reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, che conserva le reliquie del santo tanto amato dai napoletani il cui sangue si sciogliere tre volte l’anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre – festa del Santo – e per tutta l’ottava delle celebrazioni in onore del patrono, e il 16 dicembre).

Impossibile descrivere il sentimento che lega i napoletani al Santo. Si tratta di un rapporto complesso che va dal reverenziale – san Gennaro è il baluardo contro le furie del Vesuvio –, al familiare, al giocoso, all’irriverente. Non di rado, infatti, se la liquefazione del sangue contenuto in due ampolle tarda, i napoletani esortano il Santo a compiere il miracolo e, irritati e al contempo intimoriti, si rivolgono a lui chiamandolo “faccia gialla” per via della maschera d’oro che copre il volto del reliquiario che contiene la testa di Gennaro, vescovo di Benevento martirizzato a Pozzuoli.

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Il Museo archeologico nazionale di Napoli

Raccolta unica della storia romana

Una delle sale del Museo archeologico nazionale di Napoli in una foto di Lalupa da Wikimedia CommonsIl Museo archeologico nazionale di Napoli (il cui acronimo è MANN) è considerato uno dei musei archeologici più importanti del mondo per quel che riguarda la storia dell’epoca romana. Negli oltre dodicimila metri quadrati di esposizione è possibile ammirare il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia. Il MANN è composto da tre sezioni principali: la collezione Farnese (con reperti provenienti da Roma e dintorni), le collezioni pompeiane (reperti dall’area vesuviana, facenti parte soprattutto delle collezioni borboniche) e la collezione egizia (al secondo posto per importanza in Italia dopo quella di Torino). La sede del Museo archeologico nazionale venne costruita nel 1585 come “caserma di cavalleria” e il palazzo in sé è uno dei più imponenti palazzi monumentali partenopei.


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La vastità delle sale è tale che ridurre a poco la visita impedisce di gustare a pieno dell’incredibile atmosfera che vi si respira. I reperti provenienti da Pompei, restaurati e debitamente esposti, sono in grado di suscitare delle emozioni che lo stesso sito archeologico forse non è in grado di trasmettere, anche per la sua particolare natura di museo all’aria aperta. Fra i capolavori conservati che meritano una sosta silenziosa e prolungata per cogliere le sfumature psicologiche che traspaiono dai visi e dai corpi ci sono Le danzatrici provenienti dalla Villa dei Papiri di Ercolano. Mute, ma eloquenti. Bellissime e imperturbabili.

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