
Dario Fo è morto, viva Dario Fo! Così si potrebbe riassumere il nugolo di reazioni alla notizia della morte del grande commediografo italiano, Premio Nobel per la letteratura nel 1997. Come sempre, infatti, la morte di un autore ne alimenta il mito, ne potenzia l’agiografia. Ma Dario Fo, come ha ricordato qualcuno, è stato un personaggio difficilmente ascrivibile al culto del letterato.
Provocatore, dissacratore, giullare, anticonformista, ha passato la sua vita a schierarsi, politicamente e non solo. Il primo grande scandalo della TV italiana, non a caso, è a lui ascrivibile. A quando nei primi anni ’60 a Canzonissima parlò di morti bianche e fu cacciato, assieme a Franca Rame, dalla conduzione. Ma di polemiche e censure ne sono venute molte altre. Con la Chiesa, con i politici, con i giornalisti.
Il Dario Fo artista rimarrà a lungo
Soprattutto negli anni ’70 le sue posizioni hanno diviso e fatto discutere, tra chi appoggiava le sue campagne a favore della sinistra extraparlamentare e chi le denigrava. Ma anche tra chi ricordava il suo passato poco limpido durante gli anni della guerra civile e chi lo negava. Quel che resta, però, oggi non è tanto il Dario Fo uomo – che può piacere o non piacere – ma il Dario Fo artista, la cui grandezza è innegabile.
Tra i tanti contributi che ha dato alla storia del teatro contemporaneo, di sicuro il più importante è quello legato al grammelot. Cioè a quella lingua inventata, figlia della parlata dei cantastorie medievali, nata dalla fusione tra dialetti di diverse zone d’Europa, dalla Val Padana alla Francia. Cerchiamo di scoprire meglio di che cosa si tratta tramite una guida alle cinque cose da sapere su Dario Fo e il grammelot.
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Indice
Il grammelot ha un’origine antica?
La versione di Dario Fo e le dispute al riguardo
Nei suoi spettacoli – e in particolare in Mistero buffo, in cui dedica un ampio spazio all’argomento – Fo ha sempre sostenuto che il grammelot sia una lingua antichissima. In parte ha ragione: qualcosa del genere era presente nel linguaggio degli artisti di strada che, nel Medioevo e nel Rinascimento, giravano di città in città, cercando di farsi capire da persone che non parlavano lo stesso dialetto. Meno certo è che già allora si fosse dato un nome a questa sorta di lingua onomatopeica o che il suo uso fosse diffuso.
D’altronde, una ricostruzione storica affidabile sulla questione è molto difficile. In quanto lingua parlata e non trascrivibile, il grammelot compare in pochissimi reperti e documenti. Il che non vuol dire, necessariamente, che non fosse usato. La stessa parola “grammelot”, di cui spiegheremo l’etimologia a breve, non ha particolari attestazioni nei documenti, e la si ritrova in realtà solo a partire dalla metà del ‘900. Cioè da quando ha iniziato ad usarla Dario Fo.
Questo ha portato alcuni studiosi a ritenerla sostanzialmente un’invenzione del drammaturgo lombardo e non una ripresa dal passato. Qualunque sia la verità, di sicuro nell’opera di Fo c’è da un lato la ripresa di stilemi tradizionali – di dialetti, affabulatori di paese, gestualità e storie medievali – e dall’altro anche un aspetto creativo rilevante, che non si può ignorare. Insomma, si può forse dire che Dario Fo ha contemporaneamente riscoperto e ricreato il grammelot.
Da dove deriva il suo nome
L’origine probabilmente francese
Prima di vedere nel dettaglio in cosa consiste questa lingua così particolare, cerchiamo di spiegarne il nome. Grammelot non è una parola tipica del nostro vocabolario, e i linguisti si sono affannati nel cercare di indovinarne l’origine. La prima ipotesi che è stata fatta è quella di una derivazione dal francese. In quella lingua infatti il verbo grommeler significa “borbottare, bofonchiare”, e ben si adatta alla parlata del grammelot.
Il dizionario Sabatini-Coletti, però, propone un’origine più complessa. Per i due autori la parola grammelot sarebbe composta da pezzi vari dei termini grammaire, mêler e argot, che si traducono rispettivamente con “grammatica”, “mescolare” e “gergo”. Il significato sarebbe quindi quello di un gergo che mescola la grammatica di diverse lingue, che è in effetti quello che fa il grammelot.
In ogni caso, ci sono anche linguisti che non fanno derivare il termine direttamente dal francese, ma lo fanno passare in un certo senso attraverso Venezia. La parola sarebbe infatti arrivata nella Pianura Padana grazie ai veneziani, che l’avrebbero, loro sì, ripresa dai francesi. Insomma, le ipotesi sono molte, a ben rappresentare il groviglio non solo lessicale che questa lingua fa emergere.
La ripresa operata da Dario Fo
Il vero inventore del grammelot moderno
Come detto, il vero creatore moderno del grammelot è senza dubbio Dario Fo. Il comico lombardo ha raccontato varie volte di che cosa si tratta, e le spiegazioni le potete trovare in buona parte anche nei video che seguono. In sintesi, si tratta di una lingua che non ha vere parole o strutture grammaticali, ma che imita le parole e le strutture grammaticali di varie altre lingue. Così ci sono parole che richiamano il dialetto lombardo, il francese, il veneto, il toscano, il piemontese, senza soluzione di continuità.
Ma come si può comprendere una lingua che ha parole sostanzialmente inventate, che assomigliano a quelle degli altri idiomi ma che allo stesso tempo differiscono? Ci si arrangia in altro modo. Si coglie una parola ogni tanto e la si lega alla gestualità dell’attore sul palcoscenico, che col suo tono di voce, con la cadenza, col ritmo e con le azioni riesce a far seguire al pubblico il filo del suo discorso.
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La magia dell’invenzione di Dario Fo sta tutta qui. Che mentre lui sul palco bofonchia per minuti e minuti suoni incomprensibili, il pubblico riesce a seguirlo. Riesce a ridere delle sue gag, a comprendere la satira sociale nascosta nelle sue parole, a percepire il cambiamento degli stati d’animo dei personaggi. Niente sfugge, neppure quando Fo abbandona una parlata simile a quella della Val Padana e si avventura su altri registri linguistici, vicini ad esempio all’inglese.
La fame dello Zanni
Quando il grammelot si trasforma in una lingua nuova
Mistero buffo è non solo l’opera più famosa di Fo, ma anche quella in cui questa sua ricerca linguistica emerge in maniera più netta. Lì Fo spiegava le disavventure dei giullari medievali, le storie che loro raccontavano e i temi che affrontavano, cercando di attualizzarli. E il passo in cui probabilmente l’uso del grammelot si fa più pervasivo è quello noto come La fame dello Zanni.
Qui il protagonista è un contadino, un Gianni, come venivano chiamati secondo Fo tutti i coltivatori padani. Un contadino povero, privo di mezzi, che infatti sogna di poter mangiare, visto il costante digiuno a cui è sottoposto. Il sogno è pervasivo: non solo immagina di mangiare il contenuto di grandi pentole, ma addirittura parti del suo corpo, arrivando fino a minacciare di mangiarsi Dio.
In inglese, in francese, in linguaggio telegiornalistico
Esempi vari di applicazione da parte di Dario Fo
In La fame dello Zanni, come in altri passi del Mistero buffo, è facile riconoscere l’inflessione dei dialetti lombardi e veneti. Ma il grammelot si adatta a vari contesti. Qui di seguito, ad esempio, ne trovate uno recitato in inglese, o, meglio, replicando la cadenza, l’accento e l’intonazione tipica degli inglesi. Nella sua carriera, però, Fo ne ha recitati anche in francese (ad esempio il Grammelot di Scapino) e in altre lingue.
Non mancano neppure i grammelot più tecnici. Ad esempio nel suo libro Manuale minimo dell’attore, scritto assieme all’amata Franca Rame, ne propone uno “telegiornalistico”, che finisce per assomigliare tanto alla Supercazzola di Amici miei.