
Quella di Sant’Agostino è una figura interessante e forse, ultimamente, un po’ trascurata in Italia, sia a scuola che al di fuori di essa. La generale laicizzazione della nostra società, che per certi versi ci ha resi più aperti al nuovo e interessati alla conoscenza, ha infatti investito non solo le figure più retrive della tradizione cattolica, ma anche quelle che invece hanno ancora molto da insegnarci, come appunto il santo nordafricano.
Le domande che la vita di Sant’Agostino ci pone ancora oggi
Si badi bene: Agostino di Ippona era figlio del suo tempo. Quindi, come ogni filosofo o pensatore, non si può pretendere da lui che ragioni come un uomo dei nostri tempi, consapevole di problematiche che quand’era in vita neppure erano immaginabili. Però, anche e soprattutto nella sua esperienza umana oltre che nella sua teologia, si possono trovare spunti di riflessione molto interessanti. Perché da un uomo che è vissuto più di 1.500 anni fa non si possono forse più ottenere risposte definitive, ma le domande – quelle sì – possono ancora coinvolgerci.
E di domande Agostino se ne pose parecchie. Domande che nascevano perlopiù dalle sue numerose, e forse addirittura eccessive, esperienze di vita. Per fortuna, a differenza di molti altri suoi contemporanei, di queste esperienze noi abbiamo un resoconto piuttosto preciso e dettagliato. Andiamo a ricostruirle.
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Indice
La famiglia e la città d’origine
Tra paganesimo e cristianesimo
Agostino nacque nel 354 a Tagaste, una città dell’attuale Algeria vicina al confine con la Tunisia. Era di etnia berbera, anche se lui si definiva punico, vista la vicinanza della sua città a Cartagine, antica nemica di Roma. La sua famiglia apparteneva al ceto medio, anche se non era certo ricca. Il padre, Patrizio, era un consigliere comunale, ma l’elemento forte della famiglia era la madre, Monica.
Dal punto di vista religioso, la casa d’origine di Agostino rifletteva l’identità di molte città del nord Africa del tempo. Il padre, infatti, era pagano, mentre la madre era cristiana. D’altronde, paganesimo e cristianesimo – unitamente a una serie di altri culti – convivevano ormai da decenni, non senza problemi. Nella stessa Tagaste aveva avuto in quegli anni una buona diffusione il donatismo, una forma di cristianesimo scismatico che sarebbe stata condannata qualche decennio più tardi in un Concilio tenuto proprio a Cartagine.
Il fratello e la sorella
Contrariamente a quanto si pensa, Agostino non fu però figlio unico. Ebbe anche un fratello di nome Navigio e una sorella, di cui non ci è però stato tramandato il nome. Il primo lo seguì in Italia e qui, come il fratello, ricevette il battesimo. La seconda si sposò e a quanto pare, una volta rimasta vedova, concluse i suoi giorni dirigendo un monastero.
Agostino, comunque, fu educato fin da bambino al cristianesimo, visto che il padre non sembrava avere molto potere sulle scelte riguardanti i figli. Non si battezzò, però, nell’infanzia, perché l’uso del tempo era quello di differire tale sacramento. E ben presto, come vedremo, gli insegnamenti materni furono messi da parte.
Il ragazzo padre e la concubina senza nome
La breve vita di Adeodato e di sua madre
Fin da bambino, Agostino manifestò un certo talento scolastico. Parlava e scriveva in latino e, anche se non amava molto il greco, dimostrava una certa eloquenza. Il padre, che fino a quel punto se n’era stato abbastanza in disparte, a quel punto s’impose. Desideroso di avviarlo alla carriera forense, risparmiò per molti mesi il denaro per mandarlo a studiare a Cartagine che, ricostruita dai romani, era il capoluogo della regione.
Questa scelta non ebbe però, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, un grande effetto su Agostino. Visto che il padre impiegò circa un anno a raccogliere il denaro necessario, il futuro santo passò infatti i suoi 16 anni sostanzialmente a oziare a Tagaste. Accompagnandosi a quelle che oggi definiremmo delle cattive compagnie. La noia fece il resto.
Il furto delle pere e altri comportamenti poco ortodossi
Come racconta in un celebre passo del secondo libro delle Confessioni, una notte con gli amici arrivò a rubare delle pere, solo per il gusto di infrangere la legge. Un gesto che a noi oggi pare abbastanza veniale, ma per il quale Agostino sentì rimorso per tutta la vita. E una volta giunto a Cartagine, questo andamento si fece ancora più netto, complici le tentazioni della grande città.
Nonostante Agostino racconti con disgusto l’amore per il teatro che caratterizzò quei mesi, il suo gesto più significativo fu il cedere all’amor carnale. Dopo aver aderito al manicheismo – gesto di cui parleremo –, si legò infatti ad una donna, che divenne la sua compagna per 15 anni. Il nome di questa concubina, che non venne mai sposata, non viene fatto da Agostino nei suoi scritti e ci è quindi ignoto. Certo è però che da lei il futuro vescovo ebbe un figlio, nato nel 372 (quando il padre aveva appena 18 anni) e a cui fu dato nome Adeodato.
In breve, grazie anche alla lettura dell’Ortensio di Cicerone, Agostino cominciò a lavorare, insegnando retorica. Presto, visto che a Cartagine le possibilità lavorative erano limitate, decise di spostarsi in Italia, prima a Roma e poi a Milano. Nel viaggio si portò dietro sia la concubina che il figlio, ma non la madre, che avrebbe voluto seguirlo.
Lo sgarbo di Agostino alla madre Monica
Monica infatti era delusa dalla sua conversione al manicheismo e non perdeva occasione per spingerlo a ritornare sulla sua scelta. Anche mandandogli incontro vescovi e importanti cristiani perché gli facessero pressioni. Inoltre voleva che il figlio uscisse dal peccato, sposando la compagna. Probabilmente anche per questa invadenza Agostino fece di tutto per non averla tra i piedi in Italia, e la lasciò in Africa con l’inganno.
Arrivato a Milano dopo un veloce intermezzo romano, Agostino avrebbe presto fatto marcia indietro e avrebbe aderito di nuovo al cristianesimo, anche grazie all’influenza proprio di Monica, che lì sarebbe infine riuscita a raggiungerlo. Resta da dire qualcosa, però, sulla sua famiglia. La compagna venne ripudiata. Nelle Confessioni il santo racconta che in principio il suo obiettivo era infatti quello di sposare una ricca ragazza, che gli avrebbe portato una buona dote. Poi però ammette la sua debolezza – non a caso finì per trovarsi un’altra amante – e che la madre di Adeodato era molto più forte e saggia di lui.
Per quanto riguarda il figlio, si sa che era molto intelligente e che anzi Agostino ne aveva quasi timore. Nonostante la giovane età veniva spesso coinvolto nei ritiri spirituali e filosofici a cui partecipava il padre, e le sue parole erano sempre ascoltate con grande attenzione anche dagli amici. Pare però che sia morto molto giovane, a 16 anni d’età, anche se non se ne conosce il motivo.
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L’adesione al manicheismo
Il problema del male
Come detto, Agostino fu educato al cristianesimo ma abbandonò presto quella religione. Trovava la Bibbia piuttosto rozza e gli insegnamenti di quel culto non adeguati alle sue esigenze. Meglio andò col manicheismo, che conobbe durante il periodo a Cartagine e al quale aderì nel 373. A fargli compagnia c’era anche un amico, Onorato, e in breve divenne uno degli esponenti più importanti della setta, anche se non assunse mai ruoli ufficiali.
Ciò che gli piaceva più di tutto del manicheismo era la supposta spiegazione al problema del Male. Agostino, che pure stava vivendo anni turbolenti, comprendeva che al mondo c’erano sia il bene che il male. Il primo qualsiasi religione lo spiegava come un prodotto della bontà divina, ma il secondo? Come mai esisteva? Come poteva un Dio buono permettere che la nostra vita fosse così a lungo e così profondamente contrassegnata dal male?
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La retorica di Agostino
Alla fine Agostino sarebbe arrivato a una conclusione unendo dottrina cristiana e filosofia neoplatonica, ma questo è un altro discorso. Per quanto riguarda la vita del santo, il manicheismo aveva un indubbio pregio: deresponsabilizzava chi commetteva il male, attribuendone la colpa a un principio esterno.
Agostino si dedicò quindi con grande impegno a fare proselitismo per questo culto, tanto è vero che riuscì a convertire anche vari amici del padre, tra cui quelli che avevano finanziato i suoi studi. Fu proprio questa attività che lo spinse anche a migliorare le sue abilità oratorie e lo aiutò a sviluppare l’arte retorica che poi gli sarebbe stata utile da cristiano. I dubbi, però, non erano scomparsi, e nel giro di qualche mese ritornarono a galla. Il deludente incontro con Fausto di Milevi, il più importante pensatore della setta, lo convinse infine della necessità di trovare altrove le sue risposte.
Le dispute pubbliche
Contro Fortunato, contro Felice e contro altri
Come detto, da adepto del manicheismo Agostino iniziò a mostrare ottime doti retoriche e ad usarle in pubblico per convertire gli amici alla sua causa. Poi, durante la conversione, ripudiò questi comportamenti e in parte la stessa arte retorica, vuota e vanagloriosa. Da vescovo cristiano, però, seppe riutilizzarla a vantaggio della nuova fede a cui aveva aderito.
Mentre da novello convertito aveva deciso di adottare un profilo basso, vivendo più in ritiro che pubblicamente, una volta divenuto prima sacerdote e poi vescovo non poté più nascondersi. E decise di affrontare varie questioni di petto. Mentre scriveva dotti testi contro le eresie che spuntavano come funghi in quel periodo, non mancava infatti di partecipare anche a dispute pubbliche.
Tra Tagaste e Ippona
Si trattava, in pratica, di veri e propri duelli a base di retorica, in cui i portavoce di due diverse fazioni si confrontavano davanti al popolo per far trionfare la propria opinione. Non era stato certo Sant’Agostino il primo a sperimentarle, ma lui le portò sicuramente ad un livello superiore. Anche perché i preti ed i vescovi dell’epoca non erano certo istruiti e abili quanto il nativo di Tagaste.
Il suo primo confronto importante fu quello con Fortunato, esponente del manicheismo. Questi venne sfidato da Agostino a Tagaste nel 392 e sconfitto in maniera così umiliante che dovette lasciare subito la città e rifugiarsi a Ippona. E proprio ad Ippona, che nel frattempo era divenuta la sede del suo episcopato, Agostino fu protagonista di tante altre dispute. Tra cui quella con Felice. Nel 404 questo dottore manicheo era infatti giunto a predicare in città. Venne sfidato dal vescovo, che ben conosceva la sua setta, e venne anch’egli sconfitto. Alla fine del confronto non solo si dichiarò vinto, ma si convertì addirittura al cristianesimo.
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Le fonti sulla sua vita
Non solo le Confessioni
Concludiamo con alcune notizie riguardo alle fonti che ci permettono di conoscere la vita di Sant’Agostino con così tanti dettagli. In primo luogo bisogna partire dagli scritti autobiografici, ricchi di informazioni perché il santo africano spesso usava la sua stessa vita come esempio per gli altri. Il testo cardine, in questo senso, è le Confessioni, scritte intorno al 400.
Tra il 428 e il 429, poi, sul finire della propria vita scrisse anche le Ritrattazioni, in cui fa il punto su tutti i suoi scritti, spiegandone la genesi e le motivazioni. Inoltre ci sono pervenute anche alcune centinaia di lettere. La fonte non autobiografica più importante è però la Vita di Sant’Agostino scritta dal suo personale amico San Possidio. Questi – nordafricano e berbero come l’autore de La città di Dio – conobbe Agostino ad Ippona, divenendone allievo. Fu poi nominato vescovo a Calama, una città poco distante dalla costa algerina, anche se si recò spesso in visita dal suo maestro e con lui partecipò a vari concili.
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