Cinque esempi di musica classica rilassante

Ludovico Einaudi è uno dei pianisti che negli ultimi anni ci ha proposto musiche che si richiamano al classico e riescono a rilassare l'ascoltatore

La musica ha tanti pregi. Può farci dimenticare un momento di tristezza, infonderci coraggio, darci energia. Può far vibrare le corde dell’animo e commuoverci, sia che abbiamo 8 o 80 anni. E sa parlare a tutti, indipendentemente dalla lingua, dal colore della pelle, dalla religione o dal nostro livello di conoscenza e di istruzione. Qualcuno ha detto che è una sorta di linguaggio universale, e probabilmente non è andato troppo lontano dalla verità.

I brani che sciolgono la tensione

Tra tutti questi poteri, la musica ha anche quello di rilassare. Accurati studi scientifici, condotti negli ultimi anni, hanno addirittura cercato di individuare la melodia e il ritmo più adatti a sciogliere la tensione e a farci addormentare. Ma anche senza scomodare la neurologia, ognuno di noi ha un brano o una canzone che più delle altre ama ascoltare quando è teso. E sono pronto a scommettere che in molti casi si tratta di un brano di musica classica.

Col suo gusto per l’armonia e il suo soave accompagnamento, la musica classica – o almeno quella di determinati periodi storici – sembra essere naturalmente portata a rilassarci. E non è un caso che anche la musica moderna, quando vuole suscitare certe emozioni, faccia largo uso degli strumenti della tradizione: dai fiati agli archi, passando, perché no, anche per i cori dal sapore sacrale. Ma, se non avete ancora un brano preferito, quali sono i pezzi da cui partire per provare a passare qualche minuto di leggerezza? Ecco i nostri suggerimenti.

 

Johann Pachelbel – Canone e giga in re maggiore

Una struttura replicata migliaia di volte

Partiamo con uno di quei pezzi che forse non avete sentito spesso nominare, se non siete esperti di musica classica, ma che di sicuro avete sentito suonare miliardi di volte. Il canone di Pachelbel fu infatti composto attorno al 1680, in piena epoca barocca, dal religioso Johann Pachelbel, ma da allora è entrato – citato e ripreso – in centinaia di composizioni, sia classiche che rock. Il brano originale fu scritto per tre violini e un violoncello, che si occupa della linea di basso continuo. La struttura è soave: parte semplicemente e poi, sfruttando la ripetizione a canone, diventa via via più complessa, per poi ritornare ad essere più lineare nel finale.

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Come dicevamo, può darsi che non abbiate mai sentito la versione originale di Pachelbel ma che il canone vi suoni comunque familiare. Fu ripreso, infatti, più volte da Mozart, che lo inserì ad esempio ne Il flauto magico, ma anche da Rossini e Haydn. In campo pop, citazioni più o meno esplicite si trovano già negli anni ’60 in La bilancia dell’amore di Françoise Hardy e in Rain and Tears degli Aphrodite’s Child. I pezzi più celebri, però, che usano quella struttura melodica sono probabilmente Let It Be dei Beatles e, in Italia, A te di Jovanotti. L’autore, infine, che ha fornito più variazioni sul tema è stato Brian Eno.

 

Antonio Vivaldi – Le quattro stagioni

Il ritmo della natura

Rimaniamo all’epoca barocca con Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi, quattro concerti per violino pubblicati per la prima volta nel 1725 ma composti negli anni precedenti. Molto celebri all’epoca della loro stesura, questi concerti – come tutta l’opera di Vivaldi – caddero nell’oblio quando la musica barocca “passò di moda”, ma sono stati ampiamente recuperati nel corso degli ultimi 150 anni. Un recupero, anzi, che ha portato queste composizioni a una notorietà globale, che trascende i confini della musica classica.


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I quattro concerti, a soggetto, sono ispirati ovviamente alle quattro stagioni dell’anno. Ogni brano è diviso in tre movimenti, il primo e il terzo più veloci (Allegro o Presto), il secondo più lento (Adagio o Largo). Le parti relative alle stagioni, poi, cercano di riprodurre temi legati a quel periodo dell’anno, con toni ad esempi più cupi durante l’Inverno o movimenti tempestosi durante l’Estate. Nonostante siano soprattutto il Largo della Primavera e dell’Inverno a offrire una musica calma e rilassante, tutti i concerti possono essere gustati da chi abbia bisogno di una pausa dalla frenesia quotidiana.

 

Claude Debussy – Clair de Lune

La musica tra simbolismo e impressionismo

Passiamo ora a due compositori per certi versi molto simili, che si conobbero e si frequentarono nella Parigi di fine Ottocento e inizio Novecento: Claude Debussy e Erik Satie. Il primo è indubbiamente il più famoso. Debussy è infatti considerato il massimo esponente del simbolismo musicale, controparte sul pentagramma di quanto Verlaine e Mallarmé stavano facendo in quegli stessi anni con la poesia. Nonostante il suo importantissimo contributo alla musica del periodo, e anche alle sue strutture melodiche, Debussy è oggi però ricordato a livello popolare soprattutto per un breve brano, il Clair de Lune, utilizzato in decine di spot televisivi e film, anche per adolescenti.

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Quel brano per pianoforte in realtà fa parte di una suite composta tra il 1890 e il 1905 per pianoforte solista e intitolata Suite bergamasque. Il Clair de Lune è il terzo dei quattro movimenti, e nelle prime redazioni era intitolato Promenade sentimentale. Titoli che, si badi bene, non sono casuali: tutta l’opera è infatti ispirata a poesie omonime di Paul Verlaine e oscilla tra barocco, neoclassicismo e romanticismo. D’altronde, Debussy era un personaggio originalissimo, che taluni hanno definito addirittura impressionista per la capacità di prendere quasi degli stringati aforismi musicali e spingerli su un’innovazione ardita ma anche rispettosa degli equilibri e delle proporzioni.

 

Erik Satie – Gymnopédie 1

Dissonanze malinconiche e bohémien

Di solito si pensa che la musica più soave sia quella classica, in cui gli equilibri armonici sono fissi e solidi. E che invece sia la modernità, anche tramite gli strumenti nuovi e contemporanei, ad aver spezzato in un certo senso quell’equilibrio. A smentire tutto questo ci pensa Erik Satie, originalissimo compositore che si trovò ad operare a Parigi a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Cacciato da ragazzo dal conservatorio della capitale francese perché giudicato privo di talento, Satie entrò rapidamente nell’ambiente bohémien parigino, rompendo volutamente con la tradizione. Nelle sue opere inseriva suoni stridenti, strumenti anticonvenzionali e, come accompagnamento, balletti che spesso offendevano la morale corrente.


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Gymnopédie 1, prima parte di un trittico di opere, è forse meno estrema di altre composizioni, ma presenta comunque varie novità interessanti. Intanto il titolo si richiamava alle Gimnopedie spartane, feste annuali in cui gli adolescenti danzavano nudi in processione. In secondo luogo, anche la costruzione armonica risulta molto originale e a tratti ambigua, soprattutto all’inizio. La scelta di usare, timidamente, delle dissonanze crea infatti un effetti malinconico. Effetto di cui Satie era perfettamente consapevole, visto che nelle indicazioni alla partitura segnalava di suonare “dolorosamente” o “tristemente”.

 

Ludovico Einaudi – Le onde

Lungo una spiaggia lunghissima

Concludiamo con un compositore che è in fondo improprio definire classico, perché ha appena 60 anni ed è figlio della modernità: Ludovico Einaudi. La sua musica, che di certo richiama alcune sonorità in parte già presentate anche in questo articolo, ha infatti acquisito pure la lezione del jazz, della musica ambient e minimalista e del new age. Tra i suoi tanti lavori degni di nota, abbiamo scelto di parlare di Le onde, quello che gli ha dato il successo internazionale e che di sicuro ha un potere particolarmente rilassante su chi lo ascolta.

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Ispirato al romanzo omonimo di Virginia Woolf, il brano fu pubblicato nel 1996 all’interno del disco omonimo. Fu anche utilizzato, proprio in quello stesso anno, in varie scene di Aprile, il film di Nanni Moretti che ne aiutò il successo commerciale. Si tratta di una ballata strutturalmente piuttosto semplice, che, anche grazie all’ottima interpretazione di Einaudi, riesce però a toccare le corde dell’animo. D’altronde, lo stesso compositore torinese scriveva, nel booklet interno, che «se [il disco] fosse una storia sarebbe ambientata sul lungomare di una spiaggia lunghissima. Una spiaggia senza inizio e senza fine».

 

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