Cinque famose opere teatrali da leggere come un romanzo

Una scena di
Una scena di "Morte di un commesso viaggiatore" in una foto di Amanda Vecciarelli via Flickr (https://www.flickr.com/photos/ssierszyn/9479976846/)

Se siamo lettori appassionati di libi, siamo per lo più abituati a leggere romanzi. Magari qualche volta ci sbilanciamo verso qualche saggio, qualche raccolta di racconti o di poesie, ma alla fine la maggior parte di noi legge soprattutto romanzi.

Una parte della letteratura spesso trascurata, a torto, è però quella teatrale. Ci sono moltissimi testi teatrali che non hanno nulla da invidiare ai romanzi più famosi e celebrati, siano essi classici o romanzi contemporanei. Quello che ci frena, spesso, è il non sapere a quale opera dedicarci, o perché non conosciamo gli autori, o perché temiamo che una forma diversa possa non soddisfarci completamente come invece fa un romanzo. In questo articolo troverete una rassegna di cinque opere teatrali, di epoche e nazionalità diverse, che possono essere lette così come leggete i romanzi. Sono opere diversissime tra loro, ma accomunate dalla grande capacità narrativa e compositiva degli autori.


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Henrik Ibsen – Le colonne della società

Pregiudizi e corruzione sotto la luce del sole

"Le colonne della società" di Henrik IbsenHenrik Ibsen, autore norvegese rivoluzionario, è famoso soprattutto per aver scritto Casa di bambola, opera che fece un certo scalpore sia per il modo in cui veniva dipinta la donna (non più una “bambola” nelle mani degli uomini, ma un essere umano in grado di decidere per se stesso), sia per lo stile della rappresentazione, innovativo e mai visto. Di questo autore, tuttavia, merita di essere letta un’altra straordinaria opera, intitolata Le colonne della società (1877) nella traduzione di Franco Perrelli, che si può trovare in italiano anche con il titolo I pilastri della società.

La forza di quest’opera si muove pari passo con la forza di alcuni dei personaggi principali, che colpiscono il lettore per la loro capacità di bucare il velo dei pregiudizi che ricopre la società in cui vivono, al fine di mostrare, a chi non è in grado di vederlo da sé, come la corruzione e l’ipocrisia abbiano invaso ogni aspetto della vita quotidiana.

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La scena è la stessa dall’inizio alla fine: nel salotto del console Bernick e di sua moglie si muovono tutti i personaggi, dai familiari ai dipendenti e colleghi di Bernick. Si discute la costruzione di una ferrovia che colleghi la loro città a quelle vicine, quando un evento inaspettato sconvolge la tranquillità familiare. Arriva una nave dall’America, sulla quale, fra gli altri, viaggiano anche Johan e Lona, rispettivamente fratello minore e sorellastra maggiore della signora Bernick.

Johan era scappato con Lona dopo uno scandalo: si credeva che avesse messo incinta un’attrice, da cui era poi nata Dina, che ora vive con i Bernick, e rubato i soldi della madre. L’arrivo di questi due personaggi, in particolare di Lona, che appare trasgressiva e spudorata e, soprattutto, portatrice di verità nascoste, metterà in crisi proprio le colonne della società che danno il titolo all’opera, mostrando come tutto ciò che si credeva giusto e morale fino al giorno prima è in realtà costruito su una menzogna.

 

Oscar Wilde – Salomé

Una passione mortale descritta con un ritmo ossessivo

"Salomé" di Oscar WildeL’autore di quest’opera non ha bisogno di presentazioni: è famoso per il romanzo Il ritratto di Dorian Gray, ma anche per lo scandalo che provocò in vita, vivendo apertamente la sua omosessualità. Meno conosciuta è la sua rilettura del mito di Salomé, raccontato nella Bibbia, che l’autore irlandese riscrive a suo modo. Composta in francese nel 1893 durante un soggiorno parigino, l’opera racconta la fine di Giovanni Battista, prigioniero alla corte del re Erode. Nella versione originale era Erodiade, la moglie del re, a chiedere la testa del santo; in quella di Oscar Wilde, invece, è la sua giovane e bellissima figlia che, innamorata ma non ricambiata, desidera la sua morte.

L’opera è percorsa da una morbosa sensualità, prima a causa di Erode, che chiede ripetutamente a Salomé di ballare, per poterne osservare il flessuoso e splendente corpo, poi per bocca della stessa Salomé, che in un crescendo di richieste ossessive dichiara il suo amore per Giovanni Battista, mentre questo, prigioniero, invoca Dio contro l’empietà della corte presso cui si trova.

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Di volta in volta, la ragazza evoca la sua passione per il prigioniero, prima dandone descrizioni meravigliose, poi ritrattandole, trasformando ciò che prima era bellissimo in qualcosa di schifoso e ripugnante. Lo fa più volte, dedicandosi alle varie parti del corpo di Giovanni, e ripetendo, alla fine, la sua intenzione di baciarlo. Il ritmo incalzante, l’atmosfera orientaleggiante e la precisione della scelta delle parole da parte dell’autore fanno di quest’opera un piccolo capolavoro.

 

August Strindberg – Un sogno

Una visione pessimistica del destino degli uomini

"Il sogno" di August StrindbergScritta nel 1901, Un sogno è un’opera che non ha niente da invidiare al teatro dell’assurdo, che ricordiamo soprattutto per Samuel Beckett. August Strindberg, svedese, concepisce la sua opera senza badare ai concetti di spazio e tempo, concentrandosi piuttosto sul tracciare un ritratto dell’uomo come entità senza capacità di redenzione. Ispirandosi al mistico Emanuel Swedenborg, svedese anch’esso, vissuto tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, Strindberg concepisce la morte come il risveglio dal brutto sogno che è la vita. L’opera oscilla continuamente tra la dimensione del sonno e quella della veglia, mostrando attraverso salti temporali e spaziali, e personaggi in continua mutazione, l’assurdità della vita dell’uomo.

Tutto inizia con la discesa sulla terra della Figlia del dio Indra, decisa a vedere con i propri occhi come vivono gli esseri umani. Durante tutto il suo percorso ripeterà spesso una frase: «Che peccato gli uomini!», una specie di ritornello che esprime in poche parole il profondo pessimismo che attraversa tutta l’opera. La traduzione, tuttavia, come spesso avviene, non rende appieno ciò che l’autore aveva voluto dire: il termine svedese synd, infatti, tradotto con “peccato”, ha due significati diversi, che si sovrappongono creando un concetto più complesso. Esso significa sia “pena” che “colpa”, e quindi sta a significare la punizione in cui ogni uomo colpevole inevitabilmente incorre.

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Strindberg qui si riferisce al peccato originale dell’uomo, non in chiave cattolica, bensì in una più universale. L’uomo nasce colpevole, e da questa colpa non può che derivare una pena infinita. La Figlia del dio, vivendo tra gli esseri umani, non può che constatare afflitta questa condizione inguaribile.

 

Arthur Miller – Morte di un commesso viaggiatore

Il lato oscuro del sogno americano

"Morte di un commesso viaggiatore" di Arthur Miller è davvero un'opera teatrale che si può leggere come un romanzoProbabilmente conoscerete molto bene il film tratto da Morte di un commesso viaggiatore, nel quale Dustin Hoffman interpreta il protagonista, Willy Loman. Pubblicato nel 1949, il testo si propone di mostrare le conseguenze negative del celebratissimo American Dream, analizzando le ripercussioni che può avere su una famiglia il fallimento di aspettative così alte. Secondo l’ideale americano, bisogna lavorare duro per ottenere ciò che si vuole, guadagnarsi la propria indipendenza e rispettabilità, in modo da raggiungere, alla fine, l’agognata felicità.

Tutto si basa su una delle frasi più celebri tratte dalla Dichiarazione di Indipendenza: «We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness». Basandosi sul presupposto di un’uguaglianza innegabile, i padri fondatori dichiarano di voler garantire alla popolazione il diritto alla vita, alla libertà e soprattutto alla felicità.

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Quello che fa Arthur Miller è smontare pezzo per pezzo la grandiosità del sogno americano. Willy è un commesso viaggiatore alla fine della sua carriera: è convinto di aver lavorato duro e aver raggiunto dei buoni risultati, è convinto di essere benvoluto dai suoi colleghi e di essere un uomo di successo, quando in realtà tutto ciò che credeva di aver costruito è soltanto nella sua mente. I suoi figli sono dei buoni a nulla, sta per essere licenziato ed è senza amici.

La bravura dell’autore, in questo caso, sta nel saper mescolare le dimensioni temporali. Di Willy vediamo sia il presente sia i ricordi, ed è proprio quando questi due piani si mescolano, mostrandoci contemporaneamente i suoi figli da piccoli e come sono diventati ora, oppure suo fratello ormai morto, che ha fatto fortuna in vita, che l’opera raggiunge i suoi livelli più alti.

 

Yasmina Reza – Il dio del massacro

Due famiglie a confronto portano alla luce la meschinità dell’essere umano

"Il dio del massacro" di Yasmina RezaAnche da Il dio del massacro di Yasmina Reza è stato tratto un film eccezionale, con la regia di Roman Polanski, intitolato Carnage. Nel trasferimento da carta a pellicola si perde solo l’ambientazione, che da francese diventa americana, ma per il resto rimane molto fedele all’opera originale. Il dio del massacro (2006) decostruisce con una perizia e una delicatezza straordinarie la facciata di perbenismo e ipocrisia che molte famiglie odierne portano con sé ogni giorno.

Con un ritmo serratissimo, che fa gonfiare e sgonfiare la tensione con grande perizia, Yasmina Reza ci guida per mano in un viaggio attraverso le pulsioni che tutti i giorni ognuno di noi è costretto a sopprimere; il culmine di questo percorso è costituito proprio dai momenti in cui questa continua oppressione giunge al punto di rottura, facendo esplodere il grumo di risentimento e rabbia che si è formato dentro ognuno dei personaggi.

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La vicenda è molto semplice, così come l’ambientazione: tutto si svolge nell’appartamento degli Houllié, marito e moglie, di fronte ai quali siedono i coniugi Reille, invitati per discutere dell’aggressione subita da parte del figlio degli Houillé ad opera del figlio appunto dei Reille. All’inizio, se pur con qualche piccola incertezza, tutto sembra procedere per il meglio. I quattro genitori sembrano d’accordo sull’accaduto. Piano piano, tuttavia, iniziano a farsi strada piccole insinuazioni tanto sull’educazione impartita ai rispettivi figli quanto sul modo di vivere in generale delle due famiglie.

La spettacolarità di alcune scene in cui i personaggi si lasciano completamente andare ai loro istinti, così come la sottigliezza di un dialogo costruito a pennello, fanno di quest’opera un documento interessante e necessario, che mostra come, nonostante il grado di civilità di cui ci possiamo vantare, siamo alla fine tutti esseri umani e, in fondo, animali.

 

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