
Quando iniziò a divenire uno strumento diffuso, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la fotografia ebbe qualche difficoltà a trovare una propria dimensione, un proprio ruolo. La maggior parte dei fotografi, infatti, vedeva la propria arte come un sostituto della pittura. Pertanto ne emulava – o cercava di emularne – gli stili e le tendenze. C’erano fotografi di ritratti e fotografi di paesaggi, ma in pochi osavano cercare nuove strade. E di sfruttare appieno le potenzialità del mezzo.
I fotografi californiani
I primi che forse capirono come affrancarsi dall’arte tradizionale furono alcuni fotografi americani, specialmente della costa ovest. A cavallo tra le due guerre mondiali iniziarono a puntare la loro macchina verso i paesaggi – a volte incantati e a volte desolati – dei deserti e dei parchi nazionali della zona.
Lavorando sulla profondità di campo, sulla perfetta scelta della luce solare, sull’apertura del diaframma e su un realismo non artefatto riuscirono a indicare un nuovo percorso per la fotografia. Un percorso che sarebbe presto stato affiancato da altri. E che avrebbe reso questo nuovo mezzo visivo non un’imitazione meccanica della pittura ma una nuova, e potentissima, arte.
Proprio il paesaggio, quindi, con la sua potenza evocativa è stato il primo soggetto degno di nota. E i fotografi di paesaggi forse i primi fotografi moderni. Ma quali, da allora ad oggi, sono i principali nomi del settore? Ecco i cinque maestri di questo genere.
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Indice
Edward Weston
Tra il Messico e la California
Partiamo, in ordine di anzianità, da Edward Weston. La sua carriera di fotografo – una delle più brillanti del ‘900 – è legata a doppio filo, almeno per una certa fase della sua vita, a quella di un’illustre italiana, Tina Modotti, che ne fu modella, assistente e amante.
Nato nel 1886 in Illinois, nei dintorni di Chicago, Weston si trasferì in California all’età di 21 anni. Lì iniziò subito a lavorare come fotografo, anche se nei primi anni di attività fu fortemente influenzato dalla moda dello sfuocato artistico. Si trattava di una sorta di effetto flou che permeava molti degli scatti di inizio ‘900.
A partire dagli anni ’20, però, cominciò a maturare uno stile personale. Uno stile che perfezionò nelle foto di paesaggi, di nudi artistici, di conchiglie, perfino di ortaggi.
La sua vita professionale fu legata a quella di due donne, pioniere nel mondo della fotografia. Con loro condivise lo studio, la ricerca e in parte la vita sentimentale. La prima fu Margrethe Mather, conosciuta negli anni ’10, quando era già sposato e padre.
Tina Modotti
La seconda fu invece la già citata Tina Modotti, con la quale si trasferì in Messico negli anni ’20, proprio nel periodo in cui la sua fotografia stava trovando la sua strada. Tornò in California nel 1927 e conobbe il più giovane Ansel Adams, al quale lo accomunava la ricerca di una perfezione formale ma anche di un’estrema naturalezza e sincerità nella rappresentazione dei soggetti.
Insieme a lui e ad altri colleghi avrebbe poi dato vita al Gruppo f/64, che iniziò da subito ad essere ospitato nei musei. Nel 1947 gli fu diagnosticato il Parkinson e quasi immediatamente smise di fotografare. Si spense una decina d’anni più tardi.
Ansel Adams
Lo specialista dei parchi nazionali
Ad Ansel Adams abbiamo già dedicato, qualche tempo fa, una cinquina apposita, mostrando le sue migliori foto eseguite all’interno di parchi nazionali. E in effetti Adams è sicuramente il fotografo più famoso all’interno della nostra lista e forse il più importante paesaggista mai vissuto. La sua ricerca sulla luce è ancora oggi insuperata e i suoi scatti sono quasi impossibili da ricreare con la stessa potenza naturale e sincera.
Nato a San Francisco nel 1902, Adams si appassionò fin da giovane alle escursioni nel parco Yosemite. Si iscrisse anche a un club naturalistico – il Sierra Club – e cominciò a esplorare le potenzialità della fotografia.
Assieme a Weston e ad altri colleghi californiani – tra i quali vale la pena ricordare Willard Van Dyke e Imogen Cunningham – fondò il già citato Gruppo f/64. Un gruppo che deve il suo nome alla minima apertura del diaframma dell’obiettivo della macchina fotografica. Un’apertura che consentiva una grande profondità di campo e una grande accuratezza dei dettagli.
L’interesse per la natura
Sviluppò anche nuove tecniche per controllare meglio gli effetti della luce sulla stampa fotografica e documentò alcune delle prime esplorazioni su parte dei parchi nazionali che erano allora sconosciuti al grande pubblico. Così facendo, generò un grande interesse anche popolare nei confronti della natura.
Nonostante stampasse spesso le sue raccolte fotografiche a tiratura limitata, la sua fama crebbe enormemente nel tempo. Tanto da farne uno dei fotografi più stimati della sua generazione. È scomparso nel 1984.
Bill Brandt
L’anglotedesco che esplorò le città e gli spazi
Più o meno coetaneo di Adams, ma britannico, era invece Bill Brandt, uno dei più importanti fotografi inglesi del ‘900. Lui iniziò la sua carriera ritraendo la società britannica per varie riviste ma poi si orientò verso una fotografia dai presupposti più artistici, diretta in particolar modo verso i nudi e i paesaggi.
Nato in Germania, ad Amburgo, nel 1904 col nome di Hermann Wilhelm Brandt, era figlio di padre inglese e madre tedesca. Visse quindi con grande difficoltà gli anni della Prima guerra mondiale visto. Il padre, pur essendo cresciuto in Germania fin da quando aveva 5 anni, venne infatti internato per la sua cittadinanza.
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Malato di tubercolosi, dopo un periodo di cura in Svizzera si spostò, a guerra conclusa, a Vienna. Lì venne introdotto alla psicanalisi e conobbe Ezra Pound, che lo avrebbe poi presentato a Man Ray a Parigi.
A Londra
Brandt arrivò così a Londra solo nel 1933, trovando però subito lavoro in varie riviste e poi documentando i difficili anni di guerra. Proprio i paesaggi della Londra ferita dai bombardamenti gli fecero capire che la fotografia poteva indagare anche i grandi spazi, artificiali o naturali che fossero.
Questa divenne – assieme ai già citati nudi – la principale vocazione della sua fotografia nel dopoguerra. A volte creò anche dei paralleli tra le forme sinuose del corpo umano e quelle della natura. È scomparso nell’amata Londra nel 1983.
Michael Kenna
Paesaggi eterei con grandi tempi di esposizione
Inglese, anche se decisamente più contemporaneo, è Michael Kenna. Classe 1953, è celebre per i suoi paesaggi in bianco e nero che in quest’epoca di social network fotografici si sono diffusi copiosamente sul web. E che di sicuro avrete visto e rivisto in mille occasioni, anche se forse senza conoscerne l’autore.
Allievo della Scuola d’Arte Banbury nell’Oxfordshire e del London College of Printing, si è formato tra la Gran Bretagna e San Francisco. Fin dagli anni ’80 si è specializzato in paesaggi eterei, che riesce a realizzare mettendosi a fotografare all’alba o di notte. Il tempo di esposizione delle foto può arrivare fino a 10 ore.
Dal punto di vista tecnico, ha utilizzato per molti anni delle fotocamere Holga e stampato nel formato medio Hasselblad. Le sue fotografie avevano quindi una caratteristica forma quadrata. Queste foto hanno guadagnato sempre maggior rispetto col passare degli anni, tanto è vero che Kenna ha esposto le sue opere in diverse gallerie negli Stati Uniti, in Europa, in Asia e in Australia. Certi suoi scatti sono oggi inclusi nelle collezioni permanenti di musei come il Victoria and Albert Museum di Londra o la National Gallery of Art di Washington.
Andreas Gursky
Quando il paesaggio diventa anche umano
È invece tedesco l’ultimo fotografo della nostra lista, Andreas Gursky, nato a Lipsia, nell’allora Germania dell’Est, nel 1955. Figlio di un fotografo, crebbe nella parte occidentale della Germania allora divisa, dalle parti di Düsseldorf. Quella divenne la sua città d’adozione, tanto è vero che lì avrebbe poi studiato, all’Accademia di Belle Arti, nei primi anni ’80.
Proprio grazie all’influenza dei fotografi che insegnavano in quella scuola, la sua prima attività fu dedicata ad immagini in bianco e nero di piccolo formato. Man mano che si avvicinavano gli anni ’90, però, cambiò direzione al proprio approccio. Fino a convertirsi sia al colore che al grande formato.
Dal punto di vista della fotografia di paesaggio, Gursky è un autore atipico. Come si può vedere dalla breve galleria che vi proponiamo qui sopra, infatti, preferisce immortalare soggetti artificiali. Soggetti spesso molto affollati da persone o da cose, che tendono quasi a formare disegni geometrici con la loro presenza o i loro colori.
Famosi sono quindi i suoi scatti effettuati all’interno delle sale di contrattazione delle principali Borse mondiali. Oppure quelli durante i concerti, o davanti agli scaffali dei supermercati. Uno stile che ha poi cercato di replicare con successo negli scenari naturali. Un suo scatto, Reno II, è stato tra l’altro di recente venduto ad un’asta di Christie’s per più di 4 milioni di dollari.