Cinque famosi vini siciliani

I più importanti vini siciliani

L’Italia, si sa, è terra di vini, se è vero che quasi ogni regione può vantare importanti produzioni locali e tipologie di vini stimati in tutto il mondo. In generale, però, la Sicilia è probabilmente una delle zone con la storia vinicola più antica e importante. Alcuni ritrovamenti vicino all’Etna, infatti, fanno pensare che delle viti autoctone fossero già diffuse nel cenozoico, anche se probabilmente si deve ai fenici la prima coltura su larga scala (almeno per i criteri dell’epoca).

Implementata durante le dominazioni dei greci, dei normanni e degli aragonesi, la viticoltura siciliana trovò lo slancio definitivo sul finire del ‘700, quando il Marsala cominciò a venir commercializzato all’estero dagli inglesi, come vedremo più avanti in questo articolo, e acquisire una dignità capace di farlo rivaleggiare coi pregiati vini della penisola iberica.

Al di là di questo, oggi i viticultori siciliani sfruttano il favorevole clima dell’isola per produrre alcuni dei più vecchi vini con denominazione di origine controllata, con punte d’eccellenza e di produzione molto importanti se si pensa che ad esempio nella provincia di Trapani, della quale avremo modo di parlare, si produce addirittura il 10% di tutto il vino italiano.

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Vediamo, dunque, di fare un po’ di spoglio presentando cinque famosi vini siciliani e cercando allo stesso tempo di delinearne velocemente le caratteristiche e la storia.

 

1. Nero d’Avola

Calabrese per modo di dire

Forse il più famoso e ormai anche più esportato dei vini siciliani è il Nero d’Avola, un vino che si è diffuso soprattutto negli ultimi decenni come vino da tavola dopo essere stato usato a lungo come vino da taglio.

Dal gusto ricco e corposo, è piuttosto acido e per questo garantisce una buona resa nell’invecchiamento. Inoltre dà sentori di spezie, di bacche, a volte perfino di ciliegie e prugne e anche per questo va servito in abbinamento a carni rosse e a formaggi stagionati.

Il Nero d'Avola

L’origine, d’altro canto, è antichissima: il vitigno in dialetto è infatti noto come Calaulisi, che ormai si è imposto in italiano nell’errata traduzione di “calabrese”, quando in realtà il termine significava semplicemente “uva di Avola”; ma c’è da dire che sono stati gli stessi produttori per un certo periodo ad alimentare la credenza di un’origine calabrese perché il vino di quelle parti si vendeva bene soprattutto in Francia.

Originario, come lascia inequivocabilmente intendere il nome, della zona di Avola, il vino ha trovato ampia diffusione in tutto il territorio siracusano prima e, da quando è stato lavorato fino a diventare un pregiato vino da tavola, anche nel resto dell’isola, tanto che oggi si stima che le sue viti occupino circa 12mila ettari. In ogni caso, i vini della parte occidentale della Sicilia si caratterizzano per un carattere più forte e deciso, mentre quelli ricavati da viti coltivate sul versante orientale risultano più fruttati e saporiti.

 

2. Passito di Pantelleria

Dall’isola a un passo dalla Tunisia

Se il Nero d’Avola è nato in un preciso luogo geografico ma poi, forte del suo recente successo, si è diffuso praticamente in tutta la Sicilia, quasi opposto è il percorso intrapreso dal Passito di Pantelleria che, in quanto vino DOC, può essere coltivato solo sull’omonima isola in provincia di Trapani, tra la Sicilia e la Tunisia.

Realizzato a partire dal vitigno Zibibbo che fu introdotto dagli arabi, ha la caratteristica di essere ottenuto tramite l’appassimento delle uve direttamente sulla pianta o dopo la raccolta, dopodiché gli acini vengono aggiunti al mosto di uve fresche in fermentazione, prima che il prodotto venga affinato fino al luglio dell’anno successivo alla vendemmia.

Il Passito di Pantelleria (foto di Tore Urnes via Flickr)
Il Passito di Pantelleria (foto di Tore Urnes via Flickr)

Il colore è di un giallo che tende all’ambrato, il gusto piuttosto caldo, con sentori di frutta candita, miele e fichi secchi, ideale per abbinarlo a dolci a base di mandorle o comunque secchi. Ma il passito è solo uno dei molti vini DOC prodotti – in ogni loro fase – a Pantelleria: tra i tanti, si segnalano infatti anche il Moscato, il Moscato liquoroso, il Passito liquoroso, lo Zibibbo dolce e il Moscato passito.

 

3. Cerasuolo di Vittoria

Nero d’Avola e Frappato

Dopo l’intermezzo del passito, ritorniamo al Nero d’Avola, la cui influenza sui vini siciliani non si esaurisce nel vino omonimo ma si espande anche sul Cerasuolo di Vittoria, uno dei prodotti con la storia più importante all’interno del già rinomato panorama siciliano.

Realizzato a partire dall’unione del Nero d’Avola (in una proporzione che può variare tra il 50 e il 70%) col Frappato (con una percentuale che oscilla, conseguentemente, tra il 30 e il 50%), ha un colore che tende al violaceo, un odore da floreale a fruttato e un sapore morbido e secco; può essere abbinato preferibilmente a verdure e cibi con ripieni a base di carne.

Il Cerasuolo di Vittoria (foto di LiaFla via Wikimedia Commons)
Il Cerasuolo di Vittoria (foto di LiaFla via Wikimedia Commons)

La zona di produzione di questo vino di origine controllata e garantita spazia tra le province di Ragusa, Caltanissetta e Catania, dove vengono effettuate tutte le operazioni fino all’imbottigliamento e all’invecchiamento, che deve durare almeno fino al 1° giugno dell’anno successivo alla vendemmia.

L’origine, infine, è ben documentata dal punto di vista storico: mentre nella zona si hanno testimonianze di coltivazioni di viti anche antichissime, risalenti alla dominazione greca, il Cerasuolo di Vittoria nasce ufficialmente nel 1607.

In questa data infatti Vittoria Colonna de Cabrera – duchessa appartenente alla famiglia romana dei Colonna andata in sposa al castigliano Ludovico III Enriquez de Cabrera – ottiene dal re di Spagna, Filippo III, l’autorizzazione a costruire una nuova città in Sicilia, sfruttando la quale avrebbe potuto risollevare il suo disastrato patrimonio familiare: proprio qui la duchessa varò una serie di misure atte a promuovere la coltivazione delle viti che poi avrebbero dato origine al prestigioso vino.

 

4. Marsala

Il vino finanziato dagli inglesi

L’abbiamo citato in apertura, vediamolo ora più in dettaglio: la storia del vino siciliano arriva, dopo origini antichissime e importanti traversie storiche, ad una svolta sul finire del diciottesimo secolo soprattutto a causa di un inglese. È infatti il 1773 quando il commerciante britannico John Woodhouse approda nel porto di Marsala, dove già da anni bazzicavano le navi inglesi che solcavano il Mediterraneo tra l’Oriente, Malta e Gibilterra.

Qui il Woodhouse ha l’occasione di assaggiare il liquoroso vino locale, che gli ricorda alcuni vini analoghi prodotti in Portogallo e che vanno parecchio di moda in madrepatria: per questo decide di imbarcarne un certo quantitativo in nave e di portarlo in Inghilterra.

Il Marsala (foto di Dedda71 via Wikimedia Commons)
Il Marsala (foto di Dedda71 via Wikimedia Commons)

Il successo lo convince a tornare in Sicilia e ad avviarvi un’attività, spingendo anche i coltivatori siciliani a raffinare le loro tecniche di produzione fino a fare del Marsala il più celebre vino dell’isola. Il guaio è che con la fama fioriscono anche le imitazioni, spesso di infima qualità, tanto è vero che a fine anni Sessanta, tra i primissimi in Italia, il Marsala ottiene la denominazione di origine controllata.

Il vino si presenta sul mercato in due categorie: il Marsala vergine e il Marsala conciato. Il primo deriva da uve bianche alle quali vengono addizionati, dopo la fermentazione, etanolo o acquavite; il tutto viene poi invecchiato col metodo soleras che fu introdotto dal Portogallo proprio da Woodhouse.

Il secondo, invece, prevede l’addizione anche di mosto cotto, mosto concentrato e mosto d’uva tardiva, oltre a un invecchiamento che può variare a seconda dei tipi da minimo uno ad anche più di quattro anni. A seconda delle varie combinazioni abbiamo quindi Marsala oro, ambra o rubino e, per quanto riguarda il residuo zuccherino, secco, semisecco o dolce.

 

5. Etna

Alle pendici del vulcano

Concludiamo il nostro giro, da ovest ad est, della Sicilia con un altro vino a denominazione di origine controllata e dalle molte varianti, l’Etna. Prodotto, com’è facile intuire, in provincia di Catania in un numero ben preciso di comuni, anche questo è come il Marsala un vino che tra i primi è stato protetto contro le imitazioni che non solo ne danneggiavano la produzione autoctona, ma ne inficiavano anche il buon nome.

In realtà non sarebbe nemmeno corretto parlare di vino, ma più propriamente bisognerebbe discutere di vini: si possono enumerare infatti l’Etna Rosso, l’Etna Rosato, l’Etna Bianco e l’Etna Bianco Superiore, tutti dalla storia antichissima visto che erano già apprezzati in epoca romana sia nella capitale che in tutta l’area del Mediterraneo.

L'Etna Rosso

La caratteristica fondamentale di questi vini è data, com’è ovvio, dalla terra su cui si sviluppano le viti: i terreni pietrosi e scoscesi del vulcano danno all’uva delle particolarità che non si riescono a trovare altrove. Ad esempio l’Etna Rosso, forse il più famoso del gruppo, è un vino ad alta gradazione alcolica di un bel colore rosso rubino, dal sapore molto robusto e caldo, adatto a piatti di carne alla griglia o selvaggina.

L’Etna Bianco, invece, ha una tonalità giallo paglierino e un profumo delicato che lo rende perfetto per accompagnare il pesce; il Rosato, infine, ha un colore ovviamente più rosato anche se sempre tendente al rubino e un sapore più secco, ma comunque armonico.

 

E voi, quale vino siciliano preferite?

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