Cinque figure fondamentali del movimento femminista

Viaggio nelle figure fondamentali del femminismo

Moltissime sono state le battaglie combattute da un paio di secoli a questa parte per l’allargamento dei diritti civili. Minoranze etniche e religiose, gruppi segnati da preferenze sessuali diverse da quelle dominanti e perfino aderenti ad idee politiche non tradizionali hanno dovuto lottare per vedere riconosciuti i loro diritti e a volte anche per la pura e semplice sopravvivenza.

A complicare le cose, il più delle volte, era il fatto che questi gruppi erano numericamente di molto inferiori alla maggioranza oppressiva e tradizionalista.

Una maggioranza che quindi almeno per un certo periodo ha avuto gioco facile nel reprimere o ignorare le istanze sollevate dalla minoranza, forte di quel principio di dittatura della maggioranza di cui già si erano preoccupati Alexis de Tocqueville e John Stuart Mill.

La questione femminile: molti progressi ma anche molto ancora da fare

Più complessa, però, è la questione che riguarda le discriminazioni di genere. Queste hanno un’incredibile “antichità” – c’è stato un tempo in cui gli omosessuali, gli ebrei o gli anarchici, ammesso che esistessero, non sono stati perseguitati, ma per le donne è difficile trovare epoche totalmente felici – ma sono anche state affrontate con grande lentezza.

Tutto questo nonostante, di fatto, le rappresentanti del sesso femminile siano numericamente superiori a quelli maschili. Se molto è stato ottenuto soprattutto nell’ultimo secolo – con l’estensione del suffragio in tutti i paesi occidentali, la parità di diritti, l’emancipazione economica e così via – su molti altri punti la discussione è aperta e parecchio sembra esserci ancora da fare.

Visto che il tema è ampio e molto interessante, abbiamo quindi deciso di dedicare un articolo ad alcune figure fondamentali del movimento femminista. Un articolo che parta dalle prime attiviste di fine ‘700 per giungere, con una rapida occhiata, ai nostri giorni.

Mancano, come noterete, filosofe italiane, non perché in assoluto non ne esistano ma perché la loro riflessione è riuscita solo in pochi casi a travalicare i confini nazionali. Avremo modo, magari più avanti, di tornare sull’argomento con un altro articolo da dedicare a Carla Accardi, Carla Lonzi e alle loro compagne. Per ora accontentiamoci di questa panoramica internazionale.

 

1. Olympe de Gouges

La femminista rivoluzionaria che finì sulla ghigliottina

La donna con cui abbiamo deciso di aprire la nostra cinquina è forse quella dalla vita più interessante, avventurosa e tragica. Marie Gouze – che poi avrebbe assunto lo pseudonimo di Olympe de Gouges, preso in parte dal nome della madre – nacque nel 1748 a Montauban, cittadina nella zona dei Pirenei.

Era figlia di una famiglia della piccola borghesia di provincia, anche se già da ragazza venne a sapere dalla madre di essere figlia naturale del poeta Jean-Jacques Lefranc, marchese di Pompignan.

Olympe de Gouges

Sposata ad appena 17 anni, divenne subito madre e vedova. Decise quindi di trasferirsi dalla sorella a Parigi, per educare meglio il figlio Pierre, che sarebbe divenuto anni dopo pure generale dell’esercito.

A Parigi entrò nel salotto dei Condorcet – lui matematico e filosofo che aveva collaborato anche all’Enciclopedia, lei donna bella e intelligente – e si avvicinò alle posizioni politiche della borghesia più moderna. Di quella borghesia, cioè, che chiedeva cambiamenti radicali al re.


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Iniziò proprio in questi anni a scrivere per il teatro, realizzando commedie di buon successo e spesso dedicate alle popolazioni di colore. A queste aggiunse anche il saggio Riflessioni sugli uomini negri che, alla vigilia della rivoluzione, diede il via ad un ampio dibattito sull’abolizione della schiavitù. Scoppiata la rivolta, aderì al club dei girondini, proponendo con insistenza il diritto di voto alle donne.

Divorzio, riconoscimento dei figli naturali e protezione per le donne gravide

Nel 1791 scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina che, ricalcata sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, chiedeva la parità dei diritti tra uomo e donna, l’introduzione del divorzio e di contratti tra concubini, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio e un sistema di protezione per le donne incinte e le madri.

Nel 1792 chiese poi di poter partecipare alla difesa del re messo sotto accusa dalla Convenzione. Affermò infatti che «la donna ha il diritto di salire sul patibolo; ella dovrà anche avere il diritto di salire sulla tribuna».

Infine nel 1793, quando i girondini vennero messi fuorilegge dai giacobini, attaccò Robespierre in maniera molto forte, accusandolo di mirare alla dittatura. Arrestata e condannata come controrivoluzionaria, venne ghigliottinata nel novembre del 1793, a 45 anni.

Dopo la morte fu spesso irrisa dai capi rivoluzionari o, peggio, accusata di libertinaggio e incapacità, con l’evidente scopo di minare la validità delle sue idee. Dimenticata per molto tempo, si è ricominciato a studiare la sua figura negli ultimi anni tanto che nel 2007 l’esponente socialista Ségolène Royal propose, durante la campagna elettorale contro Nicolas Sarkozy, di traslarne le ceneri al Pantheon.

 

2. Mary Wollstonecraft

Contro il matrimonio e l’educazione delle donne

Se le prime idee di voto alle donne e parità di diritti vennero proposte con forza nella Francia della rivoluzione, fu però in Inghilterra che trovarono diffusione. Nel corso dei decenni successivi, anzi, avrebbero dato vita, lì, ad un movimento ampio ed importante.

La madre del femminismo inglese, che visse proprio negli stessi anni della de Gouges, fu Mary Wollstonecraft. Una donna dalla personalità talmente ricca e originale che è ricordata più per la sua biografia (e per esser stata la madre di Mary Shelley) che non per le sue importanti opere.

Mary Wollstonecraft

Nata nella povera famiglia di un tessitore londinese nel 1759, crebbe spostandosi in giro per l’Inghilterra, seguendo il padre che cambiava lavoro in cerca di fortuna. L’alcolismo del genitore e le violenze perpetrate sulla madre la spinsero però a trovare impiego come dama di compagnia.

Allo stesso tempo, cercò però di formarsi come autodidatta tramite la lettura di libri ed alcune amicizie (prima fra tutte quella con Fanny Blood) contratte con ragazze borghesi.

Saggi, romanzi, libelli

Dopo due tentativi falliti di dar vita a scuole per ragazze, scrisse i Pensieri sull’educazione delle figlie, un manualetto in cui proponeva soluzioni di buon senso per le madri borghesi. Inoltre pubblicò il suo primo romanzo, Mary, in cui criticava l’istituto del matrimonio e quel che esso comportava per una donna.

Allo scoppio della Rivoluzione francese difese con forza gli ideali rivoluzionari prima col libello Rivendicazione dei diritti degli uomini, scritto in risposta al conservatore Edmund Burke, poi con la Rivendicazione dei diritti della donna.

Questo fu il suo primo scritto realmente femminista, in cui sostenne che l’inferiorità della donna in società non era dovuta a cause biologiche ma alla cattiva educazione che veniva imposta alle ragazze. Inoltre nel libro criticava anche alcuni mostri sacri dell’Illuminismo come Jean-Jacques Rousseau.

Uomini e figlie

Trasferitasi in Francia per seguire da vicino l’evolversi della rivoluzione, allacciò una relazione con l’avventuriero americano Gilbert Imlay. Con lui convisse per qualche tempo, avendone pure una figlia, Fanny. Imlay però non le fu fedele e Mary tornò a Londra depressa e vicina al suicidio.

A risollevarla fu l’incontro col filosofo William Godwin, di idee molto vicine alle sue, del quale rimase incinta e col quale decise di sposarsi solo per mettere fine ai pettegolezzi (anche Godwin aveva infatti criticato l’istituto del matrimonio).

Cinque mesi dopo le nozze, però, la Wollstonecraft morì per complicazioni dovute al parto della sua seconda figlia, la futura Mary Shelley autrice di Frankenstein. Postumo uscì il suo secondo romanzo, Maria, in cui immaginava una donna internata in un manicomio dal marito che solo lì riusciva a trovare l’amicizia in due altre donne, una guardiana e un’altra internata.

 

3. Emmeline Pankhurst

La leader delle suffragette

Dopo gli albori di fine ‘700, nel secolo successivo il femminismo vide la sua stagione più battagliera (almeno prima degli anni ’70 del Novecento). Ad incoraggiarlo fu il trionfo della filosofia positivista che riprendeva non a caso – e anzi la rafforzava – l’idea del progresso tipica dell’illuminismo che aveva portato agli scritti di de Gouges e Wollstonecraft.

Nata nel 1858 a Manchester, Emmeline Pankhurst fu la più importante guida del movimento delle suffragette inglesi. Dedicò infatti la sua vita alla conquista del diritto di voto e lo ottenne completamente poche settimane dopo la sua scomparsa, nel 1928.

Emmeline Pankhurst

Esponente di una famiglia dell’alta borghesia, fu cresciuta dai genitori in un clima di grande attivismo politico. Proprio i genitori la introdussero fin da piccola all’interno del movimento per l’estensione del diritto di voto. Un movimento che, all’epoca, aveva però un carattere puramente intellettuale.

Dopo aver studiato all’École normale supérieure di Parigi, nel ’78 sposò l’avvocato Richard Pankhurst, di vent’anni più anziano di lei e anche lui attivo nelle sue stesse cause. Dal matrimonio, durato fino alla morte del marito, nacquero cinque figli. Tra queste anche Christabel, Adela e Sylvia Pankhurst, destinate a diventare leader dello stesso movimento guidato dalla madre.

«Gesta, non parole»

Dopo aver fondato e guidato la Women’s Franchise League, un’associazione che chiedeva il suffragio sia per le donne sposate che per quelle senza marito, nel 1903 inasprì la propria azione, dando vita alla Women’s Social and Political Union.

Questo nuovo gruppo – al grido di «Deeds, not words» («gesta, non parole») – metteva in pratica azioni dimostrative anche violente, come attacchi contro la polizia e incendi dolosi.

Una nuova politica che portò anche alla rottura in famiglia, visto che Christabel continuò ad appoggiare la madre mentre Adela e Sylvia uscirono dal movimento per avvicinarsi a organizzazioni più moderate. Incarcerata più volte assieme ad altre dimostranti, Emmeline praticò in prigione lo sciopero della fame.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, si schierò a favore dell’intervento, spaventata dalla Germania reazionaria. Invitò inoltre le donne a collaborare allo sforzo bellico sostituendosi agli uomini nell’industria.

Questo attivismo portò nel 1918 a una riforma che introdusse il diritto di voto per le donne sopra i 30 anni, prima grande conquista del suo movimento. Preoccupata dal bolscevismo, aderì negli ultimi anni della sua vita al Partito Conservatore. Come detto, nel 1928 il diritto di voto fu infine esteso a tutte le donne maggiorenni (cioè con 21 anni d’età).

 

4. Simone de Beauvoir

La seconda ondata del femminismo

Quelli di de Gouges, Wollstonecraft e Pankhurst furono i nomi più importanti della prima ondata femminista, quella che pose i termini del problema sociale e chiese riforme legislative che facessero della donna un elemento paritario all’uomo nella società. Quello di Simone de Beauvoir, invece, fu probabilmente quello che aprì la cosiddetta “seconda ondata”.

Nel dopoguerra, ottenuto in tutto l’Occidente il diritto di voto, la lotta delle donne si spostò su nuovi temi. Non si cercava più solo il riconoscimento di diritti politici ma anche di una piena e totale autonomia sulle questioni riguardanti il proprio corpo e la propria vita.

Jean-Paul Sartre con Simone de Beauvoir nel 1955

Se infatti alla donna era concesso di votare e candidarsi alle cariche politiche, spesso non le era concesso di decidere di non sposarsi, di non avere figli, di assumere comportamenti diversi da quelli che la società aveva riservato loro.


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Nata a Parigi nel 1908 da una famiglia dell’alta borghesia impoverita da un tracollo finanziario, Simone de Beauvoir conobbe Jean-Paul Sartre alla Sorbona nel 1929. Con lui iniziò una relazione che non fu mai coronata né dalla convivenza né tantomeno dal matrimonio ma che durò per tutta la vita.

Dopo qualche anno come insegnante di filosofia in giro per la Francia, durante l’occupazione nazista aderì alla resistenza. Nel dopoguerra si dedicò quindi a riviste, romanzi e saggi, collaborando con Sartre alla definizione dei caratteri dell’esistenzialismo.

Il secondo sesso

Dal punto di vista femminista, la sua opera più celebre è il saggio Il secondo sesso. Pubblicato nel 1949, continuò ad essere letto con attenzione per decenni, tanto da diventare il libro ispiratore delle lotte femministe degli anni ’70.

In questo libro, che il Vaticano inserì subito nell’Indice dei libri proibiti, si propone di tracciare una storia dell’oppressione femminile, partendo dai dati biologici, psicanalitici e dalla filosofia comunista di Engels, per poi passare ai dati storici attraverso cui l’uomo ha cercato di sottomettere la donna.

Nella seconda parte, poi, la de Beauvoir analizza l’educazione riservata alle bambine, rigettando i complessi freudiani ed affermando che essi sono invece imposti dalla società, come le stesse forme di realizzazione che sono riservate alle femmine.

Da qui, l’esaltazione di quelle poche, pochissime donne che hanno cercato di vivere una vita libera. Donne che hanno badato solo a loro stesse, scontrandosi però col biasimo della comunità, come le attrici e le cantanti o, sul versante più culturale, Emily Brontë, Virginia Woolf e soprattutto Santa Teresa d’Avila.

 

5. Angela Davis

L’attivista afroamericana accusata di omicidio

Concludiamo con una femminista vivente, a ricordare come il movimento, per quanto affondi le radici in figure storiche del passato, non manchi ancora oggi di persone carismatiche che hanno lasciato il segno.

Angela Davis è nata nel 1944 in Alabama, figlia di due insegnanti di colore e sorella di quello che sarebbe diventato un defensive back dei Cleveland Browns e dei Detroit Lions. Grazie ad una borsa di studio che voleva favorire l’integrazione tra bianchi e neri, frequentò parte delle superiori nel Village, a Manhattan. Lì si avvicinò alle idee di alcuni gruppi giovanili comunisti che spesso appoggiavano le istanze degli afroamericani.

Angela Davis

Appena arrivata all’università si appassionò alle idee di Herbert Marcuse, che lì insegnava. Il legame divenne così forte che dopo la laurea decise di specializzarsi a Francoforte e visitò pure Berlino Est. Tornò però presto negli Stati Uniti in seguito ad alcuni attacchi del Ku Klux Klan proprio nel suo Alabama e alla nascita delle Pantere Nere.

Iniziò quindi una carriera accademica alla UCLA di Los Angeles, entrando anche nel Partito Comunista americano e nelle già citate Pantere Nere. Proprio questo attivismo politico le costò, dopo vari tentativi infruttuosi di Ronald Reagan (allora governatore della California), il licenziamento nei primi mesi del 1970.


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Fu però solo a partire dall’agosto del 1970 che divenne nota alla nazione. In quel mese infatti un diciassettenne di colore attaccò un tribunale della California, rapendo un giudice che poi sarebbe rimasto ucciso nella sparatoria.

L’arma in mano al ragazzo risultava acquistata da Angela Davis. Ricercata dall’FBI, la donna fu arrestata un paio di mesi dopo a New York e – grazie a un’interpretazione “larga” della legge californiana – processata per rapimento e omicidio di primo grado.

La mobilitazione di Rolling Stones, John Lennon e Quartetto Cetra

La Davis si dichiarò innocente e il suo caso destò l’attenzione della comunità afroamericana e non solo. I Rolling Stones, non a caso, incisero il brano Sweet Black Angela, John Lennon e Yoko Ono risposero con Angela e perfino il Quartetto Cetra si interessò alla vicenda, scrivendo ed eseguendo il brano Angela all’interno del programma Rai Stasera sì. Un’esecuzione che, tra l’altro, portò anche a minacce ai componenti del gruppo.

Riconosciuta innocente da una giuria di soli bianchi per mancanza di prove, fu scarcerata e iniziò a viaggiare (anche a Cuba e in URSS). Scrisse anche libri sui diritti delle donne e dei carcerati, non abbandonando comunque neppure la causa afroamericana.

Interessante dal nostro punto di vista il volume Joan Little: The Dialectics of Rape, con cui nel 1975 difese Joan Little, una detenuta afroamericana accusata di omicidio per aver ucciso una guardia bianca che stava tentando di violentarla.

Inoltre meritano un’occhiata l’Autobiografia di una rivoluzionaria e vari volumi che negli anni ’80 e ’90 hanno analizzato il ruolo della donna in America.

 

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