Cinque film di gangster da vedere

Marlon Brando ne Il padrino

Il crimine, quando è stato portato sul grande schermo, ha sempre manifestato un certo fascino; un fascino certo malvagio e malefico, ma da cui non si può sfuggire. Dalle bellissime e terribili streghe dei cartoni animati di Walt Disney ai crudeli boss della malavita nei gangster-movie anni ’30, il grande schermo ci ha abituato a tifare per i buoni ma anche a strizzare l’occhio, sotto sotto, ai cattivi.

Proprio su questa ambiguità si è fondato il successo di interi generi cinematografici, come ad esempio il noir, e di carriere di attori come James Cagney e in parte – e per motivi diversissimi – Robert De Niro e Al Pacino. Ma quali sono i più belli film di gangster mai prodotti, non solo dal cinema hollywoodiano? Sceglierne solo cinque significa escluderne una grandissima quantità, ma noi ci abbiamo provato.


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Il padrino

La mafia italoamericana secondo Francis Ford Coppola

Se è vero che il genere del gangster-movie è nato negli anni ’30, all’epoca del proibizionismo, quando la criminalità organizzata allungava le sue lunghe mani sulla società americana, è anche vero che oggi a noi quei film possono sembrare retaggio d’altri tempi, tanto sono distanti dalla nostra sensibilità. Il vero film sulla criminalità moderno è nato, invece, probabilmente con Il padrino, il capolavoro di Francis Ford Coppola uscito nei cinema nel 1972 e interpretato magistralmente da Marlon Brando, Al Pacino, James Caan, Robert Duvall, Diane Keaton e tanti altri validissimi attori.

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La storia, arcinota, è quella del padrino don Vito Corleone, che nell’immediato dopoguerra guida la famiglia mafiosa più potente di New York assieme ad alcuni dei suoi figli ma senza Michael, decorato in guerra e desideroso di non immischiarsi negli affari illeciti della famiglia. Tutto si smuove quando le varie cosche decidono di impiantare un traffico di stupefacenti nella metropoli nordamericana, decisione che viene però avversata da don Vito: questo porta allo scoppio di una guerra di mafia, che vede schierarsi anche Michael, che alla fine della pellicola prenderà le redini dell’attività.

 

Il padrino – Parte II

Il parallelo tra Al Pacino e Robert De Niro

Generalmente nelle nostre cinquine preferiamo lasciare fuori i sequel, perché ci sembra di dare già abbastanza spazio al primo film di una serie senza dover per forza calcare la mano coi suoi seguiti e togliere spazio ad altre pellicole; nel caso de Il padrino – Parte II dobbiamo però fare un’eccezione, come a suo tempo fece l’Academy quando premiò questo secondo capitolo con un altro Oscar come miglior film dopo quello conseguito appena due anni prima dal suo predecessore. D’altronde, anche questo film è di altissimo livello, sia per il team creativo (ancora una volta composto da Francis Ford Coppola e Mario Puzo), sia per il cast di attori (di nuovo Al Pacino, Robert Duvall, Diane Keaton, John Cazale e Talia Shire, a cui si aggiunse Robert De Niro, subito premiato con l’Oscar).


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Il film narra, in parallelo, le vicende di Michael Corleone – ormai importante capomafia con interessi nel gioco d’azzardo di Las Vegas e a Cuba, oltre che con importanti appoggi politici – e, quaranta e cinquant’anni prima, l’ascesa criminale di suo padre Vito, che dalla Sicilia si spostò negli Stati Uniti dando avvio alla sua carriera malavitosa. Una pellicola in cui in un certo senso domina l’Actor’s Studio, visto che sia Pacino che De Niro ne erano stati allievi (e quest’ultimo, non a caso, si trasferì per sei mesi in Sicilia per imparare a parlare nel dialetto locale) e che il ruolo del principale antagonista, l’ebreo Hyman Roth, venne affidato a Lee Strasberg, storico docente di quella scuola.

 

C’era una volta in America

L’elegia romantica di Sergio Leone

Gangster-movie che ha per protagonista ancora una volta Robert De Niro è anche C’era una volta in America, altro capolavoro che descrive la criminalità organizzata newyorkese ma con due importanti differenze rispetto alle pellicole di Coppola: da un lato, le origini dei criminali protagonisti, che non sono più italiani ma ebrei (e che agiscono principalmente negli anni ’30, anche se il film spazia in un lungo arco temporale); dall’altro, il nome del regista, che suona sempre all’italiana ma che questa volta è italiano anche di nascita e formazione, cioè Sergio Leone, il maestro del spaghetti western, che con questa pellicola concluse la sua “trilogia del tempo” cominciata con C’era una volta il West nel 1968 e proseguita con Giù la testa nel 1971.

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Il film racconta le vicende di Noodles Aaronson, trafficante di liquori durante il proibizionismo, che nel 1933 è costretto a scappare da New York con le pive nel sacco dopo l’uccisione dei suoi compagni; tra flashforward e flashback veniamo a conoscenza della gioventù di Noodles, del suo legame d’amicizia con Max e dei dodici anni passati in galera per l’omicidio del boss locale dopo che questi aveva tentato di eliminare lui e la sua gang. E infine di come quest’amicizia con Max si ruppe e di come si arrivò al colpo decisivo, quello concluso con la morte dei suoi amici. Ma le vicende non finiscono qui: con uno spostamento in avanti di trentacinque anni, sulla cui natura i critici hanno molto discusso, vediamo Noodles incontrare nuovamente Max, ormai trasformato e latore di una strana richiesta.

 

Quei bravi ragazzi

La versione di Martin

Uno dei personaggi di C’era una volta in America era il sindacalista James Conway O’Donnell; e proprio James Conway – in un evidente omaggio – è il nome di uno dei personaggi principali, interpretato ancora una volta da Robert De Niro, di Quei bravi ragazzi, straordinario gangster-movie diretto nel 1990 da un altro italoamericano, Martin Scorsese, che già si era cimentato in pellicole di questo tipo con Mean Streets e che sarebbe ritornato su questi temi con Casinò. Accanto a De Niro, importanti sono i ruoli assegnati a Joe Pesci – uno dei caratteristi più bravi in questo genere di film – e Ray Liotta, che interpreta il vero protagonista, mezzo irlandese e mezzo italiano.


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Anche qui la trama esplora il mondo della malavita organizzata irlandese ed italiana di New York, e in particolare di Brooklyn, tra gli anni ’50 e ’70, cioè nei decenni in cui gli affari delle organizzazioni criminali si spostavano dal contrabbando alla droga, dall’omicidio all’influenza politica. Henry Hill, un giovane di belle speranze, viene affiancato all’interno della cosca da Jimmy Conway e Tommy DeVito, due killer esperti, che lo aiutano a crescere, non riuscendone però a frenare la brama di denaro e soprattutto il debole per le donne. Alla fine, mentre Tommy cederà alla propria rabbia e ne pagherà le conseguenze, Henry finirà per essere preso dall’FBI.

 

Pulp Fiction

Violenza da B-movie trasformata in arte

Dopo tanti film sulla mafia, passiamo ad una pellicola in cui i gangster ci sono, eccome, ma sono gangster di tipo più moderno, che certo devono obbedire a un boss ma in cui l’origine etnica e le regole di comportamento sono meno rigide: Pulp Fiction di Quentin Tarantino, un regista che si era formato sui B-movie violenti degli anni ’70 ma che di sicuro aveva fatto proprio sia l’insegnamento del spaghetti western, sia del cinema di Coppola e Scorsese. Non a caso, anche altre pellicole di Tarantino sono dei gangster-movie, e in questo senso non si può non citare un altro suo capolavoro, Le iene, interpretato tra gli altri anche da un vecchio maestro del genere come Harvey Keitel.


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La trama di Pulp Fiction, come ben saprete, è ingarbugliata e ricca di colpi di scena, visto che segue le storie parallele di vari personaggi: da una parte ci sono i due killer Vincent Vega e Jules Winnfield, il primo dei quali riceve anche l’incarico di far “svagare” la donna del boss, Mia Wallace; dall’altra ci sono due piccoli delinquenti che rapinano tavole calde, Ringo e Yolanda, ovvero Zucchino e Coniglietta; dall’altra ancora c’è un pugile prossimo al ritiro, Butch, che decide di imbrogliare il boss che gli ha chiesto di truccare l’incontro, salvo poi sdebitarsi con il boss stesso, Marsellus Wallace. Senza contare personaggi secondari ma memorabili come il signor Wolf, lo spacciatore Lance e altri. Insomma, una sarabanda di avvenimenti che fu premiata a Cannes con la Palma d’Oro nel 1994.

 

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