
Ha avuto un buon successo, qualche settimana fa, la nostra guida alle figure fondamentali del femminismo; un buon successo che però ha portato alcuni di voi a chiederci anche qualche spunto su film, libri e quant’altro potesse approfondire non solo la storia dell’emancipazione femminile in generale, ma anche la situazione delle donne nell’Italia di oggi.
La questione non è di semplice soluzione, soprattutto dal punto di vista cinematografico: mentre altrove non mancano film su donne forti che hanno saputo superare i vincoli sociali più retrivi e tradizionali, in Italia questo tema è tutto sommato abbastanza ignorato dai lungometraggi, dove dominano la famiglia tradizionale e i suoi problemi; meglio va con i documentari, che però hanno tutt’altro appeal e diffusione. Ad ogni modo, abbiamo selezionato cinque pellicole degli ultimi trent’anni che, a nostro avviso, ben delineano il ruolo e i problemi della donna nel nostro paese, alternando documentari che sono ovviamente più centrati sul tema a opere narrative che all’emancipazione femminile in Italia arrivano magari tramite un percorso lievemente più obliquo.
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Indice
Processo per stupro
Il documentario che sconvolse l’Italia
Il 26 aprile 1979, alle ore 22:00, la Rai mandò in onda un documentario intitolato Processo per stupro: si trattava della prima ripresa filmata di un vero processo per violenza sessuale contro una donna, diretta da Loredana Dordi in seguito a un’idea nata esattamente un anno prima durante il Convegno Internazionale sulla Violenza contro le Donne, in cui era emerso come durante questi processi spesso – e non solo in Italia – la donna si trasformasse da vittima ad imputata.
Quella trasmissione fu seguita da tre milioni di telespettatori, ma, in seguito a pressioni dell’opinione pubblica, lo stesso documentario fu replicato ad ottobre, questa volta in prima serata, con addirittura nove milioni di persone davanti al piccolo schermo, alimentando un ampio dibattito sulla necessità di una riforma sulla questione, visto che lo stupro era ancora considerato un reato contro la morale e non contro la persona, derubricandolo di fatto a un reato minore.
Il ruolo di Tina Lagostena Bassi
Proprio la trasmissione di questo documentario e il quasi contemporaneo massacro del Circeo, in cui due ragazze erano state sequestrate e stuprate da un gruppo di giovani della “Roma bene”, riportarono alla ribalta il problema degli stupri. A legare i due casi era anche la presenza dell’avvocatessa Tina Lagostena Bassi, in primissima fila in quegli anni nel perseguire gli autori di quelle violenze. Il paradosso era che addirittura durante i processi la stessa avvocatessa di parte civile era costretta a ribadire più volte, ai colleghi avvocati e quasi anche ai giudici, di non essere un avvocato incaricato della difesa della vittima, ma dell’accusa contro gli imputati.
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Pane e tulipani
Una donna che va oltre il suo ruolo tradizionale
Molto più recente e molto meno legato alla cronaca è invece Pane e tulipani, bel film di buon successo realizzato da Silvio Soldini nel 1999. Il tema centrale, mettiamolo ben in chiaro, non è tanto l’emancipazione femminile quanto piuttosto il caro e vecchio amore tra due persone, per così dire, particolari; ma il ruolo sociale della donna ha un’importanza fondamentale nell’evolversi della trama, perché la protagonista femminile, Rosalba Barletta (ben interpretata da Licia Maglietta), è una donna che viene addirittura dimenticata in autogrill da una famiglia che ha ben poche attenzioni per lei e decide di rifarsi una vita – nonostante le pressioni sociali – a Venezia, cercando per una volta la propria felicità invece di quella degli altri.
In una commedia romantica per certi versi piuttosto tradizionale, insomma, Soldini mette in scena una donna per una volta stufa del ruolo di moglie e di madre sottomessa che le viene affibbiato addosso e volenterosa di trovare una propria nuova dimensione accanto a chi le vuole davvero bene, sia esso uno strano cameriere straniero o solo uno dei due figli. Premiato ai David di Donatello con ben nove riconoscimenti, il film fece incetta anche di Nastri d’Argento e fu in generale la pellicola italiana più amata del 1999, lanciando la carriera tra gli altri dello stesso Soldini e del simpatico Giuseppe Battiston.
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Mi piace lavorare
Il mobbing contro la madre single
Il secondo film con una trama d’invenzione della nostra cinquina è Mi piace lavorare – Mobbing, scritto e diretto nel 2003 da Francesca Comencini e interpretato da Nicoletta Braschi. Il tema, in questo caso, è il mobbing: la protagonista Anna è infatti una madre single che, dopo una ristrutturazione aziendale, inizia a subire da parte dei propri datori di lavoro delle neppure troppo velate azioni volte a spingerla a rassegnare le dimissioni, come l’adibirla a mansioni degradanti o inutili, l’esporla a inutili rischi, più in generale il portarla lentamente ma inesorabilmente verso la depressione e la perdita della propria autostima, coadiuvati in questo anche dalla mancata solidarietà dei colleghi.
Il tema sindacale qui si colora di un’importante, e per il cinema inedita, matrice femminista, dato che Anna viene vista dall’azienda come un elemento debole, facilmente eliminabile grazie alla mancanza di legami familiari forti (in poche parole, di un marito) e alla presenza di una figlia; l’idea è insomma che una donna sola e magari anche con prole sia l’elemento più facile da colpire, come in fondo è stato per secoli (basti pensare come un tempo una donna sola – vedova o non sposata che fosse – diventasse assai soventemente l’obiettivo delle accuse di stregoneria e dei conseguenti processi). Ma Anna, la protagonista del film della Comencini, saprà non accettare questa situazione e lottare per la propria dignità e il proprio posto di lavoro.
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Vogliamo anche le rose
La storia delle lotte femministe
Per concludere il nostro excursus ritorniamo ora al documentario, presentando due opere per la verità poco viste ma molto importanti uscite in questi ultimi anni. La prima che abbiamo scelto è Vogliamo anche le rose, diretta nel 2007 da Alina Marazzi grazie a una coproduzione italo-svizzera e incentrata sulle lotte femministe degli anni ’70: tramite la lettura di tre diari di ragazze di diverse estrazioni sociali, il documentario racconta la stagione degli scontri di piazza, i dibattiti sull’aborto, l’evoluzione del ruolo della donna nella società italiana sia all’interno della famiglia che all’esterno della stessa.
Usando filmati di repertorio ma anche grazie alle tre voci fuoricampo che tengono le fila del discorso, la Marazzi riesce a tracciare un quadro piuttosto completo sulla mentalità italiana – tra religione, pregiudizi e tradizioni ataviche – nei confronti della donna e di come questa si sia evoluta e a quali costi: non a caso, i tre diari cercano di rappresentare gran parte delle problematiche del tempo, visto che sono quelli di Anita (interpretata da Anita Caprioli), una ragazza di buona famiglia che si sente però repressa nei confronti dell’altro sesso, di Teresa (interpretata da Teresa Saponangelo), una ragazza del sud che, rimasta incinta, incomincia a riconsiderare le proprie idee sull’aborto, e di Valentina (interpretata da Valentina Carnelutti), una donna più matura e militante femminista.
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Ragazze – La vita trema
Quattro protagoniste delle lotte romane
Altro documentario che affronta più o meno le stesse tematiche usando in parte lo stesso stile di Vogliamo anche le rose è Ragazze – La vita trema, realizzato nel 2009 dall’esordiente Paola Sangiovanni. Anche qui infatti la scelta è quella di ripercorrere la storia delle battaglie femministe degli anni Sessanta e Settanta attraverso le voci di donne tra loro diverse ma unite dallo stesso ideale, solo che in questo caso le donne sono quattro – Alessandra, Maria Paola, Marina e Liliana – e non attrici intente a dar voce alla vita di altri ma protagoniste impegnate a raccontare la loro vera vita vissuta.
Maria Paola, classe ’47, era una ragazza cattolica che si trovò a partecipare all’occupazione de La Sapienza e a diversi collettivi femministi; Liliana, sua coetanea, fu una delle figure di spicco che all’interno del Partito Radicale lottarono per la legalizzazione dell’aborto; Marina, classe ’48, era una giornalista all’epoca attiva su Avanguardia operaia ed altri giornali della sinistra extraparlamentare; Alessandra, infine, classe ’55 e quindi nettamente più giovane delle altre, si sposò e divenne madre a 16 anni, salvo poi separarsi l’anno successivo e impegnarsi nel teatro d’avanguardia.