
Bonvi è stato senza ombra di dubbio uno dei fumettisti più geniali che il nostro paese abbia avuto a disposizione. Nato a Modena nel marzo del 1941, ha acquisito notorietà prima nazionale e poi internazionale alla fine degli anni Sessanta, quando, dopo qualche anno di lavoro come pubblicitario, ha sfondato nel mondo dei fumetti grazie alla più prorompente delle sue creazioni, la striscia Sturmtruppen, che ha importato in Italia il modello della daily strip americana riuscendo contemporaneamente a rinnovarlo; ma purtroppo la sua carriera ricca di successi e riconoscimenti si è chiusa prematuramente meno di trent’anni dopo, visto che nel dicembre 1995 è stato investito su una strada bolognese, perdendo la vita a 54 anni d’età.
Tra un mese e mezzo ricorreranno i vent’anni da quel triste evento, che scosse il mondo del fumetto e più in generale della cultura italiana, soprattutto di quella cultura che non si prendeva troppo sul serio e sapeva scherzare su se stessa. Una tragedia che fu però in un certo senso anche duplice, perché Bonvi – al secolo Franco Bonvicini – si trovava su quella strada perché si stava recando a una trasmissione TV condotta da Red Ronnie per raccogliere fondi per le cure dell’amico e collega Magnus, al tempo gravemente malato e poi venuto a mancare appena un paio di mesi più tardi.
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Perché il ricordo di Bonvi non rimanga un vuoto pezzo di retorica, cerchiamo, come siamo soliti fare, di ricordarlo tramite le sue opere, che in questi vent’anni hanno continuato in buona parte a vivere anche senza il loro autore. Ecco quindi cinque fumetti creati da Bonvi che risultano ancora oggi rivoluzionari.
Indice
Sturmtruppen
La satira anti-militarista
Come dicevamo in apertura, le Sturmtruppen sono state contemporaneamente il primo e il più grande successo della carriera di Bonvi. Create per partecipare a un concorso indetto dal quotidiano Paese Sera, erano una satira dell’esercito tedesco durante la Seconda guerra mondiale ma potevano facilmente essere lette come un attacco a qualsiasi forma di militarismo, portato tra l’altro in un anno caldissimo sotto quel punto di vista come il 1968. Soldati incapaci ed inetti, abituati a parlare in una sorta di tedesco maccheronico («Amiken o nemiken?», domandava una sentinella in una celebre serie di strisce, sentendosi rispondere: «Semplice conoscenten»), si devono confrontare con ufficiali scellerati e un nemico perennemente invisibile, cercando di barcamenarsi tra varie situazioni assurde.
Fin da subito la striscia di Bonvi rappresentò una novità sconvolgente nel panorama italiano: mai si era cercato di replicare la struttura della daily strip americana formata da 3 o 4 vignette, e soprattutto mai si era sbeffeggiato in quel modo l’esercito. E non si pensi che l’escamotage dei protagonisti tedeschi potesse assolvere in qualche modo il pubblico italiano, visto che non era raro che nelle strisce facesse la sua comparsa il “fiero alleaten” Galeazzo Musolesi, parodia del fascista infingardo e fifone. Pubblicate inizialmente su vari quotidiani, le Sturmtruppen approdarono nel 1972 su Eureka dell’Editoriale Corno, casa editrice a cui rimasero legate fino al fallimento della stessa, nel 1984; dopodiché nacque un mensile apposito che sopravvisse fino alla morte di Bonvi stesso.
Cattivik
Brivido, terrore, raccapriccio
Anche se era stato un ottimo pubblicitario e si sarebbe trovato altre volte a lavorare sotto commissione, Bonvi era uno di quegli autori che non sanno mettere a freno la propria ispirazione creativa, e che anzi a volte – come vedremo – mollano tutto se questa non li sostiene più. Così, già quand’era uno studente liceale la leggenda ci tramanda di burle e personaggi inventati per far ridere i propri compagni di classe: uno di questi erano una buffa parodia di Diabolik – eroe del fumetto nero che in quegli anni andava per la maggiore –, un personaggio informe chiamato Cattivik, tanto crudele quanto pasticcione. Quando, dal 1968 in poi, Bonvi capì che quello del fumettista poteva diventare il suo mestiere, riprese in mano la creatura e a partire dal 1970 la inserì in una serie di storie che vennero pubblicate sul Cucciolo e sul Tiramolla delle Edizioni Alpe.
Dopo un paio d’anni, preso dalla gran mole di lavoro, Bonvi decise di regalare il personaggio a uno dei ragazzi più promettenti che aveva introdotto nel suo studio, il giovane Guido Silvestri, modenese anch’egli e di una decina d’anni più giovane. Il ragazzo, all’epoca solo diciottenne, si impadronì rapidamente delle tecniche e dello stile di Cattivik, introducendovi anche qualcosa di suo; le storie, che iniziarono ad essere ospitate su Il Corriere dei Ragazzi, vennero firmate con il nome di Silver, pseudonimo che sarebbe stato usato poco dopo da Silvestri anche per creare quello che sarebbe divenuto il suo personaggio più famoso, Lupo Alberto. Cattivik visse poi un nuovo periodo di grande popolarità negli anni ’90, con un suo mensile e storie scritte e disegnate da alcuni dei migliori talenti comici dell’epoca, come Massimo Bonfatti, Giorgio Sommacal, Casty, Piero Lusso e altri.
Storie dello spazio profondo
In giro per il cosmo assieme a Francesco Guccini
Come abbiamo accennato in apertura, Bonvi non esordì nel mondo del lavoro come fumettista, ma arrivò alla professione solo verso i trent’anni. Prima aveva operato per qualche tempo in un’agenzia pubblicitaria, conoscendo anche alcuni colleghi che gli sarebbero stati utili nella sua carriera successiva: uno di questi era un altro giovane modenese di belle speranze, di un anno più vecchio di lui, ovvero Francesco Guccini. I due rimasero amici per tutta la vita e anche in campo fumettistico realizzarono alcuni progetti insieme, il più famoso dei quali è Storie dello spazio profondo, una sorta di saga fantascientifica – ma alla maniera fracassona di Bonvi – pubblicata sulla rivista Psyco fin dal primo numero, uscito nell’aprile del 1970.
Bonvi e Guccini, tra l’altro, non ne furono solo gli autori, ma anche i personaggi principali, visto che il primo è raffigurato nell’eroe biondo e con perenne sigaretta in bocca mentre il secondo ha il corpo di un robot particolarmente pedante. In tutto vissero 7 avventure, in parte scritte a quattro mani e in parte realizzate dal solo Bonvi (perché Guccini si era all’improvviso trasferito in America per questioni di cuore), in cui si anticipavano atmosfere che sarebbero poi state riprese nel cinema di fantascienza successivo. Forse anche per questo suo essere in anticipo sui tempi, la saga, che era nata come un divertissement, è stata più volte ristampata, recentemente anche da Rizzoli Lizard.
Nick Carter
Il detective di SuperGulp!
Rimaniamo ai primi anni ’70, epoca florida per Bonvi ma anche per il fumetto italiano, visto che le riviste nascevano e prosperavano e i ragazzi trovavano proprio nelle tavole disegnate le loro fonti di intrattenimento principali. Fu anzi proprio per questo successo generale del medium fumetto, che veniva in quegli sdoganato perfino dagli intellettuali, che la RAI decise nel 1972 di varare una nuova trasmissione dal titolo Gulp! I fumetti in TV, che poi con l’andare degli anni si sarebbe tramutata in SuperGulp!. Per presentare lo show, in cui delle strisce a fumetti venivano animate in maniera abbastanza rudimentale, i produttori chiesero a Guido De Maria – un altro pubblicitario modenese, che aveva lavorato sia con Bonvi che con Guccini – di realizzare un nuovo personaggio ad hoc, e lui ci si mise al lavoro proprio assieme a Bonvicini. Da quella collaborazione nacque Nick Carter, un detective non proprio acutissimo che esordì in TV il 14 settembre 1972 assieme ai suoi collaboratori Patsy e Ten.
Il successo del personaggio, che viveva di tormentoni (l’«Ebbene sì, maledetto Carter» pronunciato dal suo acerrimo nemico Stanislao Moulinsky, o il «Dice il saggio» di Ten, o ancora la battuta conclusiva «E l’ultimo chiuda la porta!»), fu talmente prorompente che Bonvi decise di riversarlo su carta, facendosi aiutare per i disegni da Silver e dall’altro suo allievo, Clod, al secolo Claudio Onesti. Nick Carter comparve così a lungo sul Corriere dei Ragazzi, per poi tornare in TV sul finire degli anni ’70 e conquistare altra notorietà; negli anni ’80 e ’90 sono comparse poi varie pubblicazioni che hanno cercato di rinverdirne il mito, ma senza troppo successo.
Cronache del dopobomba
Quando la matita di Bonvi si fece cupa
La produzione di Bonvi non è però stata solo comica. Nel suo curriculum si trovano anche alcune storie “serie”, come L’uomo di Tsushima per la collana Un uomo, un’avventura, ma soprattutto avventure dolceamare, in cui non manca certo l’ironia anche se stemperata in una certa dose di pessimismo. Appartengono a questo filone le storie della serie Cronache del dopobomba, a cui Bonvi si dedicò in un anno particolarmente delicato della sua carriera, il 1973: in quei mesi, infatti, l’autore modenese dichiarò di voler chiudere sia le storie delle Sturmtruppen che di Cattivik, personaggi che in effetti o vennero dati via o vennero sospesi per qualche tempo, e diede vita ad un’opera molto più cupa, in cui pare quasi di scorgere un certo scoraggiamento che la generazione che aveva vissuto il ’68 probabilmente cominciava a percepire in quei primi anni ’70.
Se le opere di Bonvi erano state fino ad allora una satira fracassona rivolta ai più giovani ma capace di parlare anche agli adulti, le Cronache del dopobomba – che devono il loro titolo ad un’opera ugualmente cupa di Philip K. Dick – sono invece il ritratto di un’umanità che non ce l’ha fatta e forse non può farcela a giungere ad un mondo migliore. Forse proprio per questo carattere particolare il fumetto ebbe qualche difficoltà a trovare un editore in Italia, e fu all’inizio pubblicato in Francia, dove incontrò un discreto successo.