Cinque geniali citazioni da Finzioni di Borges

Jorge Luis Borges, autore di Finzioni e altri celebri libri

Finzioni, raccolta di racconti scritti fra il 1941 e il 1944, è sicuramente una delle opere più significative di Jorge Luis Borges e senza dubbio quella che contiene al suo interno tutti i temi più cari allo scrittore argentino. Al suo interno troviamo testi che parlano di libri, del labirinto, del tempo, della memoria, del caso, della morte. Ognuno dei racconti contenuti in questo volume è un piccolo gioiellino della letteratura, illuminante e controverso, non sempre di immediata comprensione, ma irrimediabilmente portatore di grande significato.

Oggi vi mostreremo cinque citazioni (tratte dall’edizione Einaudi nella traduzione di Franco Lucentini) da cinque dei racconti più belli, con le quali speriamo di invogliare il lettore che non conosca questo autore a leggerlo, e di ricordare a tutti quelli che già l’hanno incontrato quanto sia stato geniale e straordinario.

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Nel sonno dell’uomo che sogna

Da Le rovine circolari

Con un’ambientazione mistica e vaga, Le rovine circolari ci trasporta in una dimensione di sogno. Un mago giunge presso un tempio in rovina, distrutto da un incendio, al centro del quale sta una statua che potrebbe essere sia una tigre che un cavallo. Il mago si stabilisce in questo luogo con l’intento di sognare un uomo. Si impone il sonno, tanto da limitare a un paio al giorno le ore di veglia. Dopo un primo tentativo fallito, terminato con angoscianti giorni di insonnia, il mago finalmente riesce a sognare un uomo, partendo dalle fibre palpitanti del suo cuore. Con gli anni, l’uomo da lui sognato raggiunge la sua completezza, e viene trasportato nel mondo reale, senza memoria riguardo la sua provenienza: è un sogno, ma non sa di esserlo. Il mago è preoccupato per il figlio, per quello che potrebbe pensare se scoprisse di non essere reale. La sua preoccupazione svanisce quando, alla fine, scopre di essere lui stesso un sogno.

Il racconto è costruito come un sistema di scatole cinesi, che dà l’impressione che la creazione attraverso il sogno sia un processo potenzialmente infinito. È interessante il fatto che l’autore mette in dubbio l’esistenza stessa, trascinando il lettore in un mondo magico dai contorni indefiniti, e costringendolo a porsi delle domande che non possono trovare risposta, almeno non in questo mondo.

Nel sonno dell’uomo che lo sognava, il sognato si svegliò.

 

L’uomo e l’universo

Da La biblioteca di Babele

Questa citazione è tratta da uno dei racconti più famosi e più significativi di Borges, La biblioteca di Babele, nel quale compare la metafora del mondo come biblioteca, tema amato e più volte ripreso dall’autore sudamericano. La biblioteca di Babele altro non è che l’universo stesso, descritto nei suoi più minimi particolari: composto da esagoni collegati tra loro da corridoi rivestiti di specchi e scale a chiocciola, nessun uomo ne ha mai visto la fine, cosicché si presuppone che sia infinito. Ogni esagono contiene cinque scaffali, all’interno dei quali sono riposti libri tutti identici nel formato. Tutti i libri che è possibile concepire esistono all’interno della biblioteca: non c’è frase, non c’è parola, non c’è lingua che tu non possa trovare tra gli scaffali infiniti di questo luogo infinito.

Il racconto è concepito come la lettera di un bibliotecario al lettore: egli spiega le leggi dell’universo e racconta dei tentativi che gli uomini hanno fatto dall’alba dei tempi per cercare l’uno o l’altro libro, o per dare un significato profondo al mondo in cui vivono, senza mai riuscirci. La citazione qui di seguito è una diretta conseguenza del primo assioma riguardante la biblioteca di Babele, ossia il fatto che essa sia sempre esistita. La sua eterna perfezione è innegabile, e può essere opera solo di qualcosa di ancora più perfetto, ossia un dio. L’uomo, al contrario, è finito e fallibile, e quindi può essere nato solo per un evento casuale, oppure essere stato creato da un essere malvagio, per scherno.

L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che l’opera di un dio.

 

Ciò che realmente accade, accade a me

Da Il giardino dei sentieri che si biforcano

Tutto, ne Il giardino dei sentieri che si biforcano, gira intorno al problema del tempo, anche se non mancano riferimenti ad alcuni dei temi preferiti di Borges: il labirinto e il libro. Questo racconto inizia e finisce come una storia di spionaggio, ma è tutto ciò che accade nel mezzo a renderlo unico. Il protagonista, nel tentativo di salvarsi la vita, scappa a bordo di un treno. Si imbatte in un uomo che conosce la storia di un suo antenato, il quale si era ritirato in solitudine per adempiere, apparentemente, a due compiti: comporre un libro e un labirinto. Dopo la sua morte, la famiglia cercò invano questo labirinto, e non trovò alcun senso in tutto ciò che l’uomo aveva lasciato scritto.

Il protagonista e narratore, grazie a questo incontro fortuito, capisce finalmente gli intenti del suo antenato. Nello stesso tempo, è costretto a compiere un’azione apparentemente insensata per portare a termine il suo lavoro di spia. La trama può sembrare confusionaria, l’unico modo per capire davvero ciò di cui parla questo racconto è leggerlo. Con la frase qui riportata, e con il seguito del racconto, si viene a contatto con una concezione del tempo che ribalta qualsiasi credenza riguardo a passato, presente e futuro.

Poi riflettei che ogni cosa, a ognuno, accade precisamente, precisamente ora. Secoli e secoli, e solo nel presente accadono i fatti; innumerevoli uomini nell’aria, sulla terra e sul mare, e tutto ciò che realmente accade, accade a me…

 

Forse sappiamo che siamo immortali

Da Funes, o della memoria

Funes è un ragazzo che, a causa di un incidente, acquista una straordinaria capacità di percezione, che gli permette di individuare ogni più piccolo dettaglio di ciò che lo circonda e di non dimenticare mai niente. Il narratore racconta i suoi brevi incontri con questo strano personaggio, incentrando il testo sul tema della memoria. Quando essa diventa assoluta e infallibile, come quella di Funes, conduce a un inevitabile cambiamento, che coinvolge tanto il modo in cui si vede il mondo quanto quello in cui si comunica ciò che si vede.

Funes, infatti, è incapace di dimenticare, ma anche di concepire idee generali. Per lui è assurdo che la parola cane sia usata per indicare lo stesso animale a due ore diverse, perché col passare del tempo ogni essere vivente cambia, e lui è in grado di vedere anche il più piccolo cambiamento. Il racconto, e la citazione che ne è stata tratta, si configura come una resa non infelice di fronte alla incommensurabile vastità dell’universo: sappiamo di non poter fare o vedere tutto, ma siamo consapevoli che, superando la nostra individualità, tutto sia alla fine conoscibile.

Il fatto è che viviamo ritardando tutto il ritardabile; forse sappiamo tutti profondamente che siamo immortali e che, presto o tardi, ogni uomo farà tutte le cose e saprà tutto.

 

Morì centinaia di volte

Da Il miracolo segreto

In Germania, il nazismo è al potere: Hladík, ebreo, viene arrestato e condannato a morte. Il pensiero di venire fucilato lo terrorizza, ma ciò che lo angustia di più è il fatto di non poter portare a termine quella che doveva essere la sua opera teatrale migliore, intitolata I nemici. Mentre i giorni passano in attesa di quello fissato per l’esecuzione, Hladík immagina tutti i possibili modi in cui potrebbe avvenire la sua morte. Preso dalla disperazione, decide di chiedere a Dio del tempo in più, per poter finire la sua opera. La mattina del 29 marzo, viene condotto davanti al plotone d’esecuzione; quando i militari stanno per sparare, si accorge che tutti sono immobili, e lui stesso è come paralizzato. È ancora in grado di formulare pensieri però: si rende conto che il suo desiderio è stato esaudito. Nella sua mente, gli viene concesso un anno per completare I nemici, mentre nel mondo esterno tutto quel tempo è ridotto a pochi istanti. Finito il tempo che gli è stato concesso, Hladík viene ucciso.


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Tempo e immaginazione sono i punti cardinali di questo racconto, che, come in ogni opera di Borges, mette in dubbio il concetto stesso di esistenza. La concezione lineare di temporalità perde ogni valore, ma ciò che assume una grande importanza è il potere attribuito alla creazione artistica: essa è, infatti, l’unica cosa attraverso la quale può essere giudicato un uomo. Per questo motivo a Hladík viene concesso del tempo in più, per poter mostrare al mondo ciò che è, grazie alla sua opera.

Prima del giorno fissato da Julius Rothe, morì centinaia di morti, in cortili le cui forme e i cui angoli esaurivano la geometria, mitragliato da soldati variabili, in numero cangiante, che a volte lo finivano da lontano, altre da molto vicino.

 

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