Cinque giocatori di rugby da ammirare (e perché)

Alla scoperta dei più grandi giocatori di rugby

Una città, Rugby, uno studente, William Webb Ellis, e una partita di calcio. Era il 1823 e quello studente, dopo aver preso la palla in mano, iniziò a correre verso la porta e la depositò per terra. Fu come un’illuminazione o forse solo una leggenda: da tutto ciò, si dice, nacque il rugby.

Tutt’oggi, il trofeo destinato ai campioni del mondo di questa disciplina è intitolato proprio alla memoria di Ellis.

Duecento anni di uno sport, quindi, in continua evoluzione e in piena diffusione, anni in cui si è passati da un regolamento che proibiva il professionismo ad uno che in pratica lo incentiva. Una svolta arrivata solo di recente, nel 1995, successivamente ai mondiali.

Facile vedere il rugby come una ressa fra giganti. Le regole sembrano indecifrabili, ma basta andare appena sotto la superficie delle apparenze per scoprire una perla di bellezza unica, una danza quando la palla passa di mano in mano, una lotta quando ci si lancia contro il muro avversario e si deve far di tutto per proteggere l’ovale e darla ai compagni.

Strategia e supporto, sudore, sofferenza e rispetto. Il rugby è democratico, concede spazio a tutti: piloni, mediani di apertura, seconde linee ed estremi sono rispettivamente il supporto fisico nelle mischie, il cervello e la velocità, l’altezza per salire al cielo nelle touche e il coraggio per fermare in extremis l’attacco avversario.

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Proprio in onore della bellezza di questo sport, oggi ci soffermiamo su cinque persone, cinque giocatori di rugby che l’hanno interpretato ai massimi livelli. Cinque campioni da ammirare per motivi differenti.

È difficile fare una graduatoria, impossibile paragonarli, ma li abbiamo scelti per alcuni motivi che speriamo condividerete. Si tratta di Jonah Lomu, François Pienaar, David Campese, Mario Battaglini (Maci), Sergio Parisse.

 

1. Jonah Lomu

Centodiciannove chilogrammi in movimento, una montagna di muscoli capaci di correre i cento metri in poco più di dieci secondi. Lomu è stato secondo molti il rugbista più forte di tutti i tempi, un talento raro e inimitabile.

La sua breve vita però non è sempre stata facile. L’infanzia la trascorre lontano dai suoi genitori, a Tonga per la precisione. Rientra ad Auckland ancora bambino, ma crescendo si scontra con la dura realtà delle risse di strada.

Jonah Lomu nel 2001 (foto di Fabián Gastiarena via Flickr)
Jonah Lomu nel 2001 (foto di Fabián Gastiarena via Flickr)

Vive a limite, è seduto sul bordo di un dirupo, ma lo sport, e nello specifico il rugby, lo salva. Lomu d’altronde è stato uno dei più giovani giocatori ad esordire nella prima squadra degli All Blacks, la squadra più forte e titolata del pianeta.

La sua tecnica insieme alla sua rapidità, nonostante la mole impressionante, hanno fatto di questo atleta una ala praticamente inarrestabile. Il suo impatto mediatico ha facilitato l’ascesa e la fama a livello mondiale del rugby.

Immaginate ora Lomu scendere in campo ed esibirsi in una danza tribale Maori, la spettacolare Haka [1]. Le parole di questo rito di guerra riecheggiano in tutto lo stadio, i passi pesanti avvicinandosi all’avversario fanno tremare la terra sotto i piedi. Si dice che gli All Blacks vincano gran parte delle loro partite grazie a questa cerimonia.

La potenza e la poesia

Vedere Lomu in azione è puro spettacolo, la sua meta nella Coppa del mondo del 1995 contro l’Inghilterra è un misto di poesia e magia, impressionante, al limite dell’umano. In otto secondi fa esplodere tutta la rabbia di un’adolescenza disastrosa, una adolescenza dalla quale è appena uscito: ha solo venti anni ed è già una leggenda di questo sport.

Lomu è il rugby come Pelè è il calcio, un’icona mondiale che chiunque dovrebbe conoscere. Purtroppo però la vita è stata veramente ingenerosa con lui. A soli ventiquattro anni deve fermarsi per subire un trapianto di reni a causa di una patologia molto grave.

Dopo il calvario della malattia prova a tornare in campo, ma non è più l’uragano nero di un tempo. Morirà a soli quarant’anni a causa di una trombosi polmonare, probabile conseguenza della sua patologia.

Alcuni libri parlano di questo campione. Mi piace segnalare L’uragano nero: Jonah Lomu, vita morte e mete di un All Black, un bel libro che, partendo dalle sue origine difficili, ripercorre le sue imprese.

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2. François Pienaar

Si dice che nel rugby il capitano venga selezionato direttamente dagli stessi giocatori. Non ci sono imposizioni dall’alto, il capitano nel rugby è il coach in campo. Ognuno ha estremo rispetto per lui: il capitano quindi è la guida della squadra.

François Pienaar è il capitano degli Springboks, la selezione del Sud Africa, in quei famosissimi mondiali del 1995. Gli stessi mondiali in cui un giovanissimo Lomu mostrava al mondo tutto il suo valore.

François Pienaar – bianco fra i bianchi in un paese flagellato dall’apartheid – diventa in pratica il capitano di una nazione, prima ancora che di una selezione di rugby. La storia d’altra parte è ben raccontata nel bel film di Clint Eastwood Invictus.

Mandela trova in Pienaar la chiave di volta per riunire bianchi e neri in un paese profondamente diviso dal razzismo. Utilizza uno sport praticato da bianchi per far capire ai suoi fratelli neri che è tempo di deporre le “armi”. Pienaar si presta fedelmente a questa strategia e in questo gesto risiede tutta la sua magnificenza.

La finale con la Nuova Zelanda

Quell’anno la Nuova Zelanda è forse la squadra più forte di sempre. Di Lomu abbiamo appena scritto. Gli All Blacks annientano i fortissimi inglesi e si guadagnano la finale, una finale che probabilmente rimarrà come la più emozionante e combattuta di sempre, nonostante le poche mete.

Quel 24 giugno 1995, all’Ellis Park di Johannesburg, c’è qualcosa che va oltre la comprensione umana, un’energia cosmica che rende invincibili gli Springboks. Che in effetti si aggiudicano la coppa.

Pienaar e Mandela in una celebre foto oggi esposta al Museo dell’Apartheid di Johannesburg (foto di Nagarjun Kandukuru via Flickr)

Pienaar è il catalizzatore di questa energia, è colui che ha permesso tutto questo. Il capitano è riuscito a tenere unito un gruppo di rugbisti, è riuscito a realizzare un sogno, ha unito un popolo da sempre diviso.

Nelson Mandela disse: «È stato con François Pienaar che il rugby è diventato l’orgoglio di un intero Paese» [2].

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3. David Campese

Un altro rugbista, un altro primo della classe. David Campese fu infatti sicuramente il più grande dei Wallabies, la fortissima selezione australiana.

Campese è il secondo miglior realizzatore di tutti i tempi con sessantaquattro mete in nazionale. Dotato di una velocità e una progressione impressionante, aveva anche una visione di gioco che l’ha reso un giocatore bellissimo da vedere e concreto.

Campione del mondo nel 1991 è stato il pioniere del professionismo rugbistico. Il suo passo dell’oca, apprezzabile in alcuni video disponibili in rete, lo caratterizzava e lo rendeva praticamente unico nel suo genere, difficilissimo da placcare. Era dotato di una capacità di eludere la difesa avversaria paragonabile a quella di pochi altri.

La sua visione di gioco e lo spirito di squadra completavano il quadro di un grande giocatore, capace di far vincere tre scudetti di fila al Petrarca Rugby, una delle società più titolate in Italia.

Tra l’Italia e l’Australia

Campese giocava dodici mesi all’anno – grazie alla differenza dei calendari tra i due emisferi – in Australia quando il campionato italiano era fermo e in Italia quando quello australiano riposava.

David Campese nel 1988 con la maglia del Petrarca Padova
David Campese nel 1988 con la maglia del Petrarca Padova

È considerato il giocatore simbolo della nazionale australiana. Nonostante nel rugby non ci sia l’usanza di indicare i leader del team, contrariamente a quanto avviene col calcio (come con “l’Argentina di Maradona”, ad esempio), quella forse fu realmente l’Australia di Campese.

Questo appellativo però non vuole sminuire questo atleta ed etichettarlo come egoista e solitario. Svariati sono i video di repertorio in cui Campese sfrutta una vulnerabilità della difesa, ma poi passa la palla ad un compagno a lato, meglio piazzato di lui, regalando di fatto una meta alla squadra.

Il rugby più di ogni altro sport è uno sport di squadra e gli individualismi non pagano mai. Campese non faceva assolutamente eccezione a questa regola, ma, si sa, il carisma è tutt’altra storia e chi lo ha non può non affascinare gli altri.

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4. Mario Battaglini (Maci)

Ora ci spostiamo in un’altra era, in un tempo lontanissimo. Risaliamo al 1936 per l’esordio nel rugby di Maci, all’anagrafe Mario Battaglini, un colosso di centocinque chilogrammi in movimento con una forza pari a quella di maciste. “Maci”, per l’appunto.

Mario Battaglini, uno dei più grandi giocatori di rugby italiani, nel 1952Battaglini nacque a Rovigo il 20 ottobre del 1919 in un’epoca in cui il professionismo nel rugby era solo un’idea da amanti di fantascienza. Le mete segnate, a quel tempo, non ti davano cinque punti ma solo uno. E un infortunio, che oggi guarirebbe in poche settimane, poteva mettere fine ad una carriera e ai sogni di gloria di chiunque.

Il rugby di Battaglini era pura passione. Per vivere si doveva lavorare duro e il tempo per giocare era quello rimanente. Rovigo era la sua città, la sua amata Rovigo con cui vinse tre dei cinque scudetti conquistati in Italia (gli altri due arrivarono a Milano con l’Amatori, squadra gloriosa e plurititolata).

Guerra, dopoguerra e mito

L’esordio in nazionale arrivò nel 1940, ma c’era la guerra e nessuno poteva essere dispensato. Fu precettato per la campagna di Russia nel 1941, tornò vivo due anni dopo.

La leggenda di Maci, il libro di Marco Pastonesi su Mario BattagliniDopo la pace venne chiamato a giocare in Francia. Considerato l’anno, il 1946, non si può non immaginare quanto fosse forte questo atleta. Farsi pubblicità era difficile: le uniche vetrine erano le competizioni internazionali. E lui fu tra i primi rugbisti italiani a giocare all’estero.

Maci era dotato di una forza fuori dal comune: il suo calcio piazzato era una sentenza a prescindere dalla distanza dai pali, il suo carisma era indiscusso. E dagli anni ’50 in poi divenne giocatore e allenatore in campo.

Battaglini, d’altronde, è stato un pioniere del rugby in Italia, un campione che pochi conoscono. Una perla raccontata tra l’altro con passione nel bel libro di Marco Pastoresi La leggenda di Maci. Vita, morte e miracoli di Battaglini, il maciste del rugby, che vale la pena recuperare.

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5. Sergio Parisse

Un altro capitano, il nostro capitano: Sergio Parisse è il capitano della nazionale italiana, argentino di nascita ma italiano nel cuore.

È considerato uno dei migliori giocatori al mondo in attività ed è ritenuto il miglior giocatore italiano di sempre. Gioca in Francia ed è stato uno degli artefici della storica vittoria per 20 a 18 contro il Sud Africa lo scorso 19 novembre 2016.

Sergio Parisse nello spot realizzato da D-Max nel 2014 per il 6 Nazioni
Sergio Parisse nello spot realizzato da D-Max nel 2014 per il 6 Nazioni

Imparagonabile ai precedenti per svariati motivi, Parisse però si merita di entrare in questa graduatoria perché è il simbolo di questa Italia che vuole stare con le migliori del mondo. La strada è ancora lunga e forse il gap da colmare con le altre grandi del pianeta è ancora enorme, ma il percorso è intrapreso.

Il simbolo dell’Italia del rugby di oggi

La storia di questo sport ci vede ancora svantaggiati e gli investimenti che vengono fatti nel rugby non sono ancora ad un livello tale da poter fare di più.

Leggi anche: Le cinque squadre nazionali di rugby più forti del mondo (attualmente)

Parisse in tutto questo è però il simbolo del fatto che ci si può emozionare anche perdendo. Dotato di una tecnica sopraffina, è un placcatore instancabile, ed è uno dei migliori interpreti dell’off-load, lo spettacolare passaggio fatto poco prima di toccare terra a seguito di un placcaggio subito.

Una tecnica efficacissima perché da un’accelerazione al gioco in un momento in cui, invece, ci si aspetterebbe una piccola pausa per la formazione di una ruck, l’ammucchiata che si forma a terra dopo un placcaggio.

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Ecco cinque giocatori di rugby da ammirare: vota il tuo preferito.

 

Note e approfondimenti

[1] Qui ne potete vedere un esempio.
[2] Potete leggere un bel riepilogo di quanto avvenne durante quella Coppa del mondo qui.

 

Segnala altri giocatori di rugby da ammirare nei commenti.

L’età la si deduce dal nick, per il resto posso dirvi che sono figlio, padre, marito e zio; mi manca di essere nonno, ma per quello c’è ancora tempo; nonna forse non lo sarò mai. Attualmente mi definisco un viaggiatore a riposo: ho visitato quasi tutti i continenti, mi mancano l’Australia e l’America del Sud. Con quattro viaggi si può dire di aver visto quasi tutto il globo. Libri, fotografie e palle ovali sono le mie passioni, anche se ho sempre giocato a calcio e sono tifoso... del Borgorosso football club. Quasi dimenticavo, mi piace scrivere, un’altra passione che mi ha portato qui. Il tempo a disposizione è sempre pochissimo, quindi cerco ogni pretesto che mi “costringa” a dedicarmi alla scrittura.

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