Cinque giornalisti italiani uccisi in patria e in guerra

Peppino Impastato davanti alla sede di Radio Aut

Questo sito si occupa, generalmente, di cose belle: vi raccomandiamo dei film, delle canzoni, dei videogiochi, delle serie TV o dei fumetti che dovreste in qualche modo recuperare; vi raccontiamo le vite di grandi artisti e di grandi scienziati, i discorsi più importanti della politica e le bellezze del mondo della moda, ma a volte dobbiamo andare anche al di là dell’interpretazione più banale del nostro titolo.

Perché il mondo non è sempre così semplicemente bello come vorremmo; perché a volte la cosa più bella di un dato argomento è una cosa triste seppure significativa, dolorosa anche se grandiosa. È il caso, ad esempio, dell’articolo di oggi, in cui abbiamo pensato di presentarvi la vita di cinque (anche se in realtà sono sei, e poi capirete perché) giornalisti italiani che sono rimasti uccisi nell’espletamento del loro lavoro, sia in patria che all’estero, in territorio di guerra. Non sono cose belle ma sono cose importanti, testimonianze di cui ci sembrava giusto dare prima o dopo conto. Eccovele.

 

Peppino Impastato

Ucciso per una radio (troppo) libera

Peppino Impastato davanti alla sede di Radio AutLa storia di Peppino Impastato probabilmente la conoscete già molto bene, sia per il bel film che è stato dedicato alla sua vita – I cento passi, con la superba interpretazione di Luigi Lo Cascio –, sia perché anche noi ne abbiamo già parlato in passato, quando abbiamo avuto modo di presentare i migliori film che hanno affrontato il tema della mafia. Nato a Cinisi, in provincia di Palermo, nel 1948, Impastato apparteneva ad una famiglia con solide radici mafiose, ma fin dalla più tenera età rifiutò ogni coinvolgimento negli affari illeciti, rompendo quasi subito col padre e interessandosi invece alle lotte, anche sindacali, dei braccianti del posto. La sua lotta alla mafia fu sviluppata sicuramente con l’attivismo politico, ma soprattutto con l’attività di giornalista, tanto è vero che la sua voce fu una delle primissime – anche se confinata allora all’ambito puramente locale – a denunciare pubblicamente gli interessi delle cosche.

Già nel 1965, non ancora maggiorenne, aveva dato vita a un piccolo giornale intitolato L’idea socialista assieme ad alcuni amici che facevano riferimento alla sezione del PSIUP di Cinisi; il giornale, che era formato solo da alcuni fogli ciclostilati, fu subito sequestrato dai carabinieri perché non disponeva delle necessarie autorizzazioni e le pubblicazioni rimasero sospese per più di un anno. Quando riaprì, Impastato firmò un editoriale dal titolo “Mafia, una montagna di merda” che portò rapidamente alla chiusura, questa volta definitiva, della testata. Il tentativo giornalistico successivo è datato 1976: si tratta di Radio Aut, radio libera autofinanziata a Terrasini, a pochi chilometri da Cinisi, attraverso cui Impastato conduceva il programma Onda Pazza a Mafiopoli, in cui il giornalismo si mescolava alla satira, con bersaglio principale la mafia e soprattutto il boss Tano Badalamenti, che, come il film ci ricorda, abitava ad appena cento passi da casa sua. Questa esperienza gli fu fatale: Peppino Impastato venne infatti ucciso il 9 maggio 1978, su ordine proprio di Badalamenti.

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Giancarlo Siani

Assassinato dalla camorra a 26 anni

Giancarlo Siani, giornalista campano ucciso dalla camorraAnche di Giancarlo Siani abbiamo già parlato, perché pure a lui è stato dedicato un importante film di impegno civile, forse meno noto de I cento passi ma non per questo meno significativo o bello: Fortapàsc, diretto nel 2009 da Marco Risi e interpretato da un bravo Libero De Rienzo. Ma varie sono state le iniziative che negli ultimi anni hanno celebrato la memoria di questo giovane giornalista campano: già nel 2003 era uscito il film biografico E io ti seguo, mentre numerose sono ormai le scuole, le aule, i festival e le installazioni che, in Campania come in altre regioni italiane, lo ricordano.

Nato a Napoli nel 1959, Siani era un giovane collaboratore de Il Mattino, la più prestigiosa testata partenopea, per la quale in particolare svolgeva l’incarico di corrispondente da Torre Annunziata. Nei primi anni ’80 quest’attività, svolta sempre con grande passione e impegno, lo portò ad indagare sugli intrecci tra camorra e politica, intrecci che si indirizzavano sempre di più sui finanziamenti che lo Stato aveva erogato a seguito del terremoto dell’Irpinia del 1980: coi suoi articoli il giornalista smascherò gli interessi delle cosche e anche la guerra che le famiglie si facevano a colpi di tradimenti e delazioni ai carabinieri; in questo modo divenne un bersaglio e infatti fu freddato, nel settembre 1985, poco dopo aver compiuto 26 anni, mentre rincasava sulla sua particolarissima Citroën Méhari verde.

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Mauro Rostagno

Movimento studentesco, sinistra extraparlamentare e attività contro la mafia

Mauro RostagnoConcludiamo il trittico dei giornalisti uccisi dalla criminalità organizzata italiana con Mauro Rostagno, il cui percorso personale e politico fu assai lungo e complesso, ben più di quelli già presentati di Impastato e Siani, che erano ancora nel fiore degli anni quando rispettivamente la mafia e la camorra li uccisero. In primo luogo, Rostagno era infatti torinese di nascita, e in Sicilia ci arrivò solo in una seconda fase della sua vita e della sua attività pubblica; in secondo luogo, più che propriamente giornalista fu all’inizio un sociologo e un politico, o, meglio, uno dei leader più importanti del movimento di contestazione che dal 1968 prese piede in tutte le principali città italiane, portando alla fondazione di Lotta Continua e di vari gruppi della cosiddetta sinistra extraparlamentare.

Classe 1942, sposato giovanissimo, Rostagno passò qualche anno all’estero prima di ristabilirsi in Italia sul finire degli anni ’60: iscritto alla Facoltà di Sociologia di Trento, divenne assieme ai compagni Marco Boato e Renato Curcio il principale leader del movimento studentesco; nel 1969 fondò poi Lotta Continua assieme ad Adriano Sofri, Enrico Deaglio e altri e si trasferì per qualche tempo a Palermo, come assistente di sociologia alla locale Università. La fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 furono quindi anni di ricerca spirituale: fondò a Milano il centro culturale Macondo, spostandosi poi in India e divenendo seguace di Osho, fino a fondare, vicino a Trapani, la Comunità Saman, una comune ispirata agli insegnamenti acquisiti in Asia ma specializzata anche nel recupero dei tossicodipendenti. Fu solo in questa fase che passò ad un giornalismo d’inchiesta, conducendo sulla locale emittente televisiva Radio Tele Cine una trasmissione in cui denunciava le collusioni mafiose nella politica locale. Proprio per questo motivo, nel settembre 1988 venne ucciso mentre era alla guida della sua auto a poche centinaia di metri da Saman.

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Ilaria Alpi

La giornalista del TG3 morta in Somalia

Ilaria AlpiDopo aver presentato i giornalisti morti in Italia, spostiamoci, per concludere, a quelli che hanno purtroppo perso la vita in zone di guerra, tra l’altro non durante scontri armati tradizionali ma in agguati e rapimenti dovuti proprio alla loro attività di investigazione e testimonianza. La prima vittima di questa sua passione per la ricerca della verità è Ilaria Alpi, giornalista del TG3 che ha trovato la morte a Mogadiscio, in Somalia, nel 1994 assieme al suo operatore Miran Hrovatin in circostanze mai pienamente chiarite ma con molta probabilità legate a un’inchiesta che stava conducendo su un traffico internazionale di rifiuti tossici che vedeva coinvolti anche interessi economici europei.

Nata a Roma nel 1961, aveva iniziato giovanissima a lavorare come giornalista anche grazie alla sua conoscenza delle lingue e in particolare dell’arabo, che le aveva permesso prima di fare la corrispondente dal Cairo per alcuni quotidiani, e poi di entrare in Rai, accasandosi al TG3. Proprio il telegiornale della terza rete la inviò nei primi anni ’90 in Somalia per seguire la guerra civile che lì imperversava, in cui erano impiegati anche reparti dell’esercito italiano sotto l’egida delle Nazioni Unite: qui la Alpi si appoggiò a vari informatori, tra cui anche il sottufficiale del SISMI Vincenzo Li Causi, che trovò la morte proprio in Somalia, in un agguato, nel 1993. Oggi non sono ancora stati individuati con precisione i mandanti, e neppure del tutto le motivazioni, dell’agguato alla giornalista, ma molti premi (istituiti perlopiù dall’Ordine dei Giornalisti) e scuole italiane ne ricordano la memoria.

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Enzo Baldoni e Vittorio Arrigoni

Blogger in Medio Oriente

Enzo Baldoni e Vittorio Arrigoni, accomunati dalla voglia di raccontare e dal prezzo pagato per soddisfarlaConcludiamo con una duplice menzione, che in parte ci fa venire meno al nostro impegno di scegliere sempre e solo cinque elementi per le nostre liste, ma che ci sembrava doverosa, anche perché molte sono le caratteristiche che legano due giornalisti morti all’estero negli ultimi anni: stiamo parlando di Enzo Baldoni, ucciso nel 2004, e di Vittorio Arrigoni, assassinato nel 2011. Entrambi, infatti, non erano tanto giornalisti, quanto attivisti, curiosi, pacifisti, testimoni del loro tempo e della caldissima situazione mediorientale; entrambi, inoltre, non erano giornalisti professionisti, o almeno non nel senso più tradizionale del termine, visto che praticamente non avevano una testata di riferimento ma che diramavano i loro reportage perlopiù attraverso il web.

Enzo Baldoni era nato nel 1948 a Città di Castello e lavorava come pubblicitario. Proprio in questa veste aveva fondato una sua società, Le Balene Colpiscono Ancora, ed aveva ideato alcune delle campagne di maggior successo degli anni ’80 e ’90, anche per grossi clienti come Gillette e McDonald’s; parallelamente, però, si occupava di fumetti – traducendo le strisce di Doonesbury e di altre serie – e collaborava con varie riviste su questioni di politica estera. Si recò in Iraq allo scoppio della seconda guerra del Golfo e lì fu rapito e ucciso da un’organizzazione fondamentalista musulmana legata ad al-Qaida.

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Vittorio Arrigoni, invece, era nato in Brianza nel 1975 e fin da ragazzo si era attivato in varie organizzazioni non governative, lavorando sia nell’Europa dell’est (Croazia, Russia, Ucraina, Estonia e altri paesi), sia in Africa, per cause umanitarie e ambientalistiche. Dal 2002 operava tra Israele e Palestina e, soprattutto dopo vari problemi con l’esercito israeliano, a Gaza, principalmente come attivista umanitario e politico ma anche collaborando con testate italiane (Il manifesto, Radio 2, Radio Popolare) e soprattutto tenendo un seguito blog chiamato Guerrilla Radio. Nell’aprile del 2011 viene improvvisamente rapito da un gruppo jihadista di origine giordana e ucciso nel giro di poche ore.

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