Cinque grandi chef della cucina molecolare

I migliori chef della cucina molecolare

Secondo alcuni, la cucina molecolare è stata l’ultima grande rivoluzione nel campo della gastronomia, un settore che di rivoluzioni ne ha viste tante ma che di tante altre rivoluzioni pare aver sempre bisogno. Un cambiamento radicale non tanto – o non solo – nei piatti proposti, quanto nel modo stesso di intendere il lavoro dietro ai fornelli, che ha avuto una grande eco mediatica nei primi anni Duemila, divenendo smaccatamente di moda per qualche tempo.

Ora l’onda mediatica pare essere passata, ma allo stesso tempo alcuni principi di quell’idea sono stati introdotti – anche se spesso in maniera mediata e filtrata – nei menù anche di quei cuochi che inizialmente non avevano aderito alla nuova tendenza.

Ma quali sono stati i principali autori, teorici e pratici, di questa nuova corrente? E quali sono state le idee che hanno promosso con maggior forza e gli esperimenti più riusciti?


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Ecco una veloce summa che parte, com’è doveroso, dalla Spagna, dall’Inghilterra e dalla Francia, patrie di questo tipo di cucina, e poi si sposta però velocemente anche in Italia.

 

1. Ferran Adrià

La cucina decostruttivista a Barcellona

Due, a livello internazionale, sono considerati i “padri della cucina molecolare”, anche se entrambi rifiutano quest’etichetta ed entrambi, a ben guardare, non sono stati i primi a introdurre le teorie di cui parleremo in campo gastronomico: lo spagnolo Ferran Adrià e l’inglese Heston Blumenthal.

Il primo, in particolare, ha acquisito notevole fama nei paesi latini ed anche in Italia, diventando il cuoco-simbolo delle nuove tendenze che in realtà furono formalizzate per la prima volta dai fisici francesi Hervé This e Pierre-Gilles de Gennes e dagli studiosi statunitensi Nicholas Kurti e Harold McGee.

Ferran Adrià, considerato il padre della cucina molecolare

Nato nei dintorni di Barcellona nel 1962, Adrià ha avuto una formazione piuttosto particolare per uno chef così rinomato: da lavapiatti passò, dopo il servizio militare, a cuoco nell’allora sconosciuto ristorante El Bulli, divenendone dopo meno di due anni capo chef.

Fu qui che, soprattutto a partire dalla metà degli anni Novanta, cominciò a sperimentare nuove soluzioni, in parte lasciandosi influenzare dagli studi dei fisici francesi.

Un’esperienza da vivere

Da allora ha bruciato rapidamente le tappe, tanto che nei primi anni Duemila, in contemporanea col successo internazionale della cucina molecolare, riuscì a conquistare le tre stelle Michelin e a venire nominato più volte il migliore chef del mondo da varie riviste.

Rifiuta la definizione di “gastronomia molecolare”, preferendo quella di cuoco “decostruttivista”, perché a lui piace riproporre piatti tradizionali in una veste tutta nuova, giocando coi sapori, con le temperature, con gli espedienti della fisica e della chimica, in modo da dare, parole sue, non solo da mangiare, ma anche un’esperienza da vivere.

 

2. Heston Blumenthal

L’autodidatta che crea un’esperienza multisensoriale

È ancora più autodidatta di Adrià l’altro profeta della cucina molecolare, l’inglese Heston Blumenthal, nato nel 1966 a Londra da genitori di origini ebraiche.

Forse anche il suo approccio da neofita alla cucina, anzi, ne ha probabilmente favorito la ricerca di nuove soluzione, non essendo di fatto legato a nessuna reale tradizione.

Heston Blumenthal, uno dei più noti chef inglesi

Scoprì per la prima volta la grande cucina a 16 anni, durante una vacanza in Francia, scoprendo come la gastronomia potesse, legata ad altre arti e sensazioni, offrire un’esperienza multisensoriale ineguagliabile.

Provò così a 18 anni ad entrare in una cucina per imparare i trucchi del mestiere, ma vi rinunciò dopo appena una settimana, coltivando la passione di sera e lavorando, di giorno, presso vari impieghi.

I suoi piatti più famosi

Fu la scoperta dei libri di Harold McGee, il chimico americano che può essere considerato il precursore della gastronomia molecolare, a spingerlo a intraprendere con decisione la carriera di chef, lavorando però ad un menù completamente diverso da quelli a cui si era abituati in Inghilterra.

I principi cardine della sua filosofia sono stati espressi in numerosi libri e in trasmissioni TV che ha condotto nel corso degli anni, ma trovano la loro più completa trattazione in una sorta di manifesto che Blumenthal e McGee pubblicarono insieme, nel 2006, sull’Observer: lo Statement on the New Cookery si proponeva di fornire un approccio multisensoriale, che stimolasse il gusto, la vista, il tatto, l’olfatto e potesse sorprendere tutti questi sensi contemporaneamente.

Il suo ristorante più famoso è il The Fat Duck a Bray, nel Berkshire, che ha tre stelle Michelin ed è stato più volte premiato come il migliore di Gran Bretagna.

Tra i suoi piatti più famosi non si possono non citare le Triple Cooked Chips, patatine dalla scorza molto dura e dall’interno molto soffice ottenute grazie a una particolare tecnica di cottura, il bacon e gelato all’uovo e il porridge di lumaca.

 

3. Grant Achatz

Come sopravvivere al cancro e conquistare tre stelle Michelin

Di un’altra generazione rispetto ai due maestri è l’americano Grant Achatz, nato appena nel 1974 ma già da giovanissimo capace di conquistare importanti riconoscimenti culinari nel proprio paese, tanto da guadagnare già nel 2008 il titolo di miglior chef d’America.

La sua carriera e la sua formazione sono state, d’altra parte, di ottimo livello: cresciuto facendosi le ossa nel ristorante di famiglia in Michigan, ha studiato al Culinary Institute of America ad Hyde Park, passando poi quattro anni presso il French Laundry di Yountville, in California.

L'americano Grant Achatz

Nel 2001 si è quindi trasferito a Chicago, diventando prima capo chef del Trio, che ha portato a nuovi successi, e poi aprendo un ristorante tutto suo nel 2005, l’Alinea, che è stato nominato già l’anno successivo il miglior ristorante americano.

I problemi di salute

Ma non sempre le cose vanno nel verso giusto anche alle superstar dei fornelli: nel 2007, ad appena 33 anni, Achatz ha annunciato che gli erano stato diagnosticato un carcinoma alla bocca al quarto stadio, una cosa che – oltre a metterne a repentaglio la vita – ne avrebbe potuto minare sensibilmente le capacità sensoriali nel palato e nella lingua.

Tuttavia, già nel dicembre dello stesso anno il giovane chef poteva annunciare di essere finalmente libero dal cancro grazie a un protocollo aggressivo dell’Università di Chicago.


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A quel punto ha cominciato a pubblicare libri sia per descrivere le sue creazioni culinarie, sia per raccontare la sua battaglia contro la malattia. Nel 2011 il ristorante di Achatz ha quindi conquistato le tre stelle Michelin, diventando l’unico in tutta la zona di Chicago a raggiungere questo obiettivo.

 

4. Pierre Gagnaire

Il maestro della fusion

Più flessibile – o “liquida”, come si direbbe oggi – è l’appartenenza al movimento molecolare di Pierre Gagnaire, grande chef francese che nella sua vita ha attraversato diverse tendenze, cercando di imparare e farsi influenzare da tutte senza però limitarsi mai a nessuna.

Nato nella Loira nel 1950, il cuoco ha fin dall’inizio cercato di riprendere i dettami classici della cucina francese, provando a mescolarli a gusti arditi; non a caso, lo si ritiene anche uno dei maggiori esponenti della cucina fusion, all’insegna del suo motto che è “guardare al domani ma rispettosi dello ieri”.

Pierre Gagnaire

La sua carriera è partita da St. Etienne, dove per la prima volta ha ottenuto le tre stelle Michelin, ma poi si è espansa a Parigi – con un rinomato ristorante che porta il suo nome in rue Balzac –, a Londra (con lo Sketch, l’altro suo locale ad essere catalogato tra i primi 50 del mondo) ma, recentemente, anche a Las Vegas, con il ristorante Twist situato all’interno dell’hotel 5 stelle Mandarin Oriental.

Altri suoi ristoranti si possono trovare a Tokyo, Hong Kong, Dubai, Seoul, Saint-Tropez, Mosca e Berlino.

 

5. Ettore Bocchia

La versione italiana

Concludiamo con uno chef italiano, Ettore Bocchia, parmense classe 1965 che assieme allo studioso Davide Cassi è considerato il capofila della scena “molecolare” italiana, in quanto i due sono stati i primi ad introdurre nel nostro paese i dettami della rivoluzione scientifico-gastronomica.

Dopo un diploma all’Alberghiero di Salsomaggiore e varie esperienze formative all’estero, dal 1993 lavora presso il Grand Hotel di Villa Serbelloni a Bellagio, sul Lago di Como, dove è executive chef.

Ettore Bocchia

Proprio da questa posizione, nei primi anni Duemila, si è cominciato ad interessare di cucina molecolare e delle nuove tecniche impiegate dagli chef francesi, spagnoli e inglesi, specializzandosi in particolare nell’uso dell’azoto liquido.


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Nel 2002, appunto in collaborazione con Cassi – che insegna Fisica della Materia all’Università di Parma –, ha così dato vita al primo menù italiano di cucina molecolare, mentre negli anni successivi ha lavorato con Vincenzo Brandolini dell’Università di Ferrara scoprendo delle applicazioni inedite per l’inulina, un polimero presente in alcuni tuberi e nella cicoria.

Altre sue invenzioni piuttosto famose riguardano il gelato estemporaneo, la frittura negli zuccheri fusi e l’uso della lecitina di soia al posto dell’uovo nella preparazione della maionese e della pasta.

 

E voi, quale chef della cucina molecolare preferite?

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