Cinque grandi esponenti dell’espressionismo tedesco

Sole tropicale, uno dei paesaggi più celebri di Emil Nolde

Tutta la storia dell’arte dalla fine dell’Ottocento in poi può essere vista come un tentativo di trovare nuove strade per la pittura: la comparsa sulla scena della fotografia e del cinema, cioè delle forme di rappresentazione oggettiva della realtà, spogliarono la pittura di quello che fino ad allora era stato uno dei suoi principali compiti, spingendola ad intraprendere altre strade.

La realtà, secondo un percorso che era partito già da vari decenni, andava così trasfigurata dall’occhio umano, non solo in base alla percezione che di essa se ne aveva ma anche al proprio modo di essere e sentire: e nascevano un po’ in tutta Europa proprio in quegli anni nuove avanguardie, che rappresentavano il mondo in maniera sempre più stralunata e allucinata. Basti pensare al dadaismo, al futurismo, all’astrattismo, o, qualche decennio prima, al percorso artistico di Vincent Van Gogh.

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Proprio Van Gogh è considerato uno dei precursori dell’espressionismo, una delle più importanti tra queste avanguardie, che si è sviluppato in varie parti d’Europa ed abbracciando diverse arti, dalla pittura all’architettura; è però soprattutto in Germania che questa corrente ha dato vita ad alcune delle opere più interessanti. Vediamo quali sono stati i migliori esponenti di questo stile.

 

Ernst Ludwig Kirchner

Il padre tormentato dell’espressionismo

Il padre dell’espressionismo tedesco fu probabilmente il pittore e incisore Ernst Ludwig Kirchner, nato in Baviera nel 1880 ma approdato a Dresda – che sarebbe divenuta rapidamente la capitale del movimento – nel 1901 per studiarvi architettura. Qui conobbe altri tre futuri maestri di questo stile, Heckel, Schmidt-Rottluff e Bleyl (e di almeno uno di loro parleremo anche più avanti in queste righe), e con loro diede vita al gruppo Die Brücke (il ponte), nucleo dal quale si sarebbe originata tutta la corrente.

Fortemente influenzato dai Fauves, da Gauguin e Van Gogh, intraprese un percorso di ricerca che lo portò presto lontano da Dresda, cercando nuovi stimoli a Berlino e a Monaco, ed entrando qui in contatto con altre avanguardie come quella del Blaue Reiter, il cubismo e l’art nouveau.

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Nel frattempo la sua pittura si fece più cupa, più angosciosa; i ritratti in cui dominavano i colori forti cedettero rapidamente il passo a panoramiche cittadine, scene deformate, forme irregolari e accenni all’attualità. Sciolto il movimento del Die Brücke nel 1913, si arruolò volontario allo scoppio della Prima guerra mondiale, ma già nel 1915 fu vittima di un grave esaurimento nervoso, da cui non si riprese mai completamente.

Ritiratosi in Svizzera nel dopoguerra, incontrò un crescente successo professionale ma fu anche vittima di lunghi periodi di depressione; a peggiorare la situazione ci fu anche l’avvento del nazismo in Germania, che fece sì che molte sue opere venissero incluse nell’elenco dell’arte degenerata, dando un grande colpo psicologico all’artista. Ormai spossato, Kirchner si suicidò a Davos, in Svizzera, nel 1938, a 58 anni.

 

Emil Nolde

Il nazista proibito dai nazisti

Più vecchio, e protagonista di una vita più lunga, fu Emil Nolde, nome d’arte di Emil Hansen, nato proprio a Nolde – un paesino nel nord della Germania, vicino al confine con la Danimarca – nel 1867. Dopo una gioventù passata lavorando come intagliatore e illustratore, si avvicinò ad età già matura al Die Brücke, dopo essersi appassionato alla pittura di Gauguin e Munch.

Anche qui nel corso degli anni si evidenziò un aumento della drammaticità delle sue opere: il carattere descrittivo nei suoi quadri si andò progressivamente perdendo, con un aumento dei toni misticheggianti, mentre nel contempo sperimentava nuove tecniche come l’utilizzo degli acquerelli, dei disegni, delle incisioni.

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Nel periodo in cui alcuni esponenti del movimento si gettarono entusiasticamente nella Prima guerra mondiale – salvo poi tornarne distrutti –, Nolde, più maturo, intraprese un lungo viaggio che lo portò fino in Nuova Guinea, viaggio che lo influenzò molto, convincendolo ad esasperare l’aspetto primitivo della sua pittura e ad introdurvi qualche elemento esotico.

L’avvento al potere di Hitler, però, lo travolse: nonostante fosse iscritto al Partito Nazionalsocialista da tempi non sospetti, i suoi quadri furono introdotti in quelli “degenerati” e a lui fu proibito di dipingere, cosa che non mancò di colpirlo duramente. Fu riscoperto dopo la fine della Seconda guerra mondiale e morì nel 1956.

 

Erich Heckel

L’angoscia e la ricerca della natura

Membro fondatore del Die Brücke fu anche Erich Heckel, anch’egli pittore e incisore nato in Sassonia nel 1883. Studente a Dresda e appassionato lettore di Nietzsche e Dostoevskij, e quindi ben consapevole degli approdi filosofici del nichilismo, aderì ai dettami del movimento portando nei suoi quadri colori contrastanti e pennellate vigorose.

Fortemente influenzato da Munch e dai post-impressionisti, lasciò presto Dresda per trasferirsi a Berlino, cercando nella capitale tedesca nuovi stimoli; in questo periodo, in realtà, i suoi quadri si incupirono, concentrandosi soprattutto sulla rappresentazione della malattia. In lui, d’altro canto, la modernità è sempre rappresentata come una realtà angosciante e tragica; un’impressione che uscì rafforzata dalla partecipazione alla Prima guerra mondiale come assistente sanitario.

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Nel dopoguerra iniziò a dipingere con maggior insistenza dei paesaggi naturalistici, ispirati soprattutto dalla sua permanenza nei dintorni del lago di Costanza – dove avrebbe anche passato gli anni della vecchiaia – e nella Foresta Nera. L’avvento del nazismo, però, fece arrivare anche per lui la proibizione di dipingere e di esporre in Germania, in quanto artista degenerato.

Passata anche la Seconda guerra mondiale, però, fu riscoperto e celebrato dalla Germania Ovest, che ne fece uno dei propri artisti di punta: insegnò fino alla pensione, nel 1955, a Karlsruhe, per poi ritirarsi a Radolfzell, dove morì nel 1970.

 

Franz Marc

Il cofondatore del Der Blaue Reiter

Forse meno noto al grande pubblico ma non meno importante fu Franz Marc, pittore bavarese, classe 1880, che arrivò all’espressionismo non attraverso l’esperienza del gruppo di Dresda ma partendo dall’altro grande focolaio del movimento, il gruppo Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) fondato proprio a Monaco dallo stesso Marc e da Vasilij Kandinskij.

Figlio di un pittore, educato ad un rigido calvinismo che per qualche tempo lo spinse anche a pensarsi come futuro pastore, iniziò l’università iscrivendosi a filosofia, abbandonando però presto questi studi per entrare nell’Accademia di Belle Arti della sua città natale. Nei primi anni del nuovo secolo soggiornò in due occasioni a Parigi, dove ebbe modo di scoprire l’arte di Van Gogh, che lo influenzò notevolmente.

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Conosciuto e divenuto amico del collega August Macke, negli anni ’10 si avvicinò anche all’avanguardia berlinese, esponendo alla galleria Der Sturm nell’ambito del “Primo salone autunnale tedesco”. In quegli anni, appena trentenne, era considerato una delle più promettenti nuove leve della pittura tedesca, anche per la sua capacità di confrontarsi con diversi movimenti – come anche il futurismo, il cubismo o la pittura di Klee – e di assorbirne almeno in parte gli stimoli.

Lo scoppio della Grande Guerra, però, lo portò – come molti intellettuali della sua generazione – ad arruolarsi volontario e a partire per il fronte. Nel 1916 fu però purtroppo uno dei moltissimi soldati a cadere durante la tragica battaglia di Verdun, a soli 36 anni.

 

Otto Dix

Dall’espressionismo alla Nuova oggettività

Concludiamo la nostra panoramica con Otto Dix, il più giovane tra i pittori che abbiamo scelto, nato in Turingia nel 1891 e passato durante la sua carriera attraverso una grande messe di fermenti artistici che si scontravano e influenzavano a vicenda nella Germania e nell’Europa in quegli anni. Figlio di un operaio, ebbe i primi contatti con l’espressionismo quando si trasferì a Dresda per studiare alla Scuola d’Arti Decorative nel 1910.

Oltre agli artisti del Die Brücke, che abbiamo già ampiamente citato, suscitò grande emozione in lui la visita ad una mostra che la città dedicò a Van Gogh nel 1912, pittore che proprio in quegli anni – complice il successo proprio dell’espressionismo – cominciava ad essere scoperto. Giovane com’era, la sua produzione nell’anteguerra fu però piuttosto contenuta e d’altronde proprio il primo conflitto mondiale segnò un deciso spartiacque nella sua vita. Arruolatosi come volontario, prestò servizio come sottufficiale sia sul fronte occidentale che su quello orientale, rimanendo ferito più volte e portando a casa varie decorazioni.

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La tragica esperienza della guerra lo convinse ad abbracciare gli ideali del pacifismo e anche ad aderire ad un nuovo movimento artistico che si sviluppò durante gli anni della Repubblica di Weimar: la Nuova oggettività, in cui – anche in polemica con l’espressionismo, del quale però si manteneva la forte componente emotiva – si cercava di rappresentare in maniera più realistica la realtà, soprattutto per denunciare gli orrori della guerra.

Ovviamente anche lui fu perseguitato dai nazisti, che gli tolsero l’incarico di docente all’Accademia di Dresda e lo costrinsero a dedicarsi unicamente alla pittura di paesaggio. Richiamato nell’esercito allo scoppio della Seconda guerra mondiale, fu catturato dai francesi e rilasciato nel 1946. Dopo quell’esperienza tornò a dedicarsi ancora al tema della guerra, ma anche ad allegorie religiose. Morì nel 1969.

 

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