Cinque grandi film sulla guerra del Vietnam

Tom Berenger in una scena di

Hollywood finisce sempre, prima o poi, per fare i conti con la storia americana. E lo fa, in genere, ad ondate. Per fare un esempio, nessuno si è ancora occupato con dedizione e costanza degli anni ’80 e della politica americana di quel periodo. O, per citare un caso che abbiamo già studiato in un nostro articolo, il cinema mainstream ha finora affrontato con riluttanza le guerre degli anni Duemila contro Afghanistan e Iraq.

Tra la fine degli anni ’70 e la fine degli ’80, però, al centro dell’attenzione delle case di produzione finì un’altra guerra, terminata non da molto e con esiti catastrofici: quella del Vietnam. Il tema, per la verità, si era cominciato ad affrontarlo già negli anni ’60. Prima ci avevano provato i francesi, con risultati anche positivi, in 317º battaglione d’assalto, un film che raccontava però l’esperienza dell’esercito transalpino. Poi ci si era messo addirittura John Wayne, che col suo Berretti verdi aveva fornito un ritratto alquanto guerrafondaio del conflitto.


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Il primo film che provò a cambiare le cose fu, probabilmente, Il cacciatore, di cui parleremo ampiamente. Un film che raccontava gli orrori della guerra, lo stress a cui i combattenti erano stati sottoposti, l’inutilità di quell’impresa. Da lì in poi, per qualche anno, fu un flusso continuo di pellicole. Solo per citarne alcune che sono rimaste fuori dalla nostra cinquina, basti ricordare Hamburger Hill – Collina 937, Good Morning, Vietnam, Nato il quattro luglio, Vittime di guerra o, più indirettamente e in maniera tutta sua, la saga di Rambo.

Quali sono stati, però, i film più rappresentativi di questa ondata (che, tra l’altro, ora è decisamente esaurita)? Quali quelli che meritano di essere rivisti e recuperati oggi, anche da quei giovani che vogliano farsi un’idea della questione? Ecco le nostre scelte.

 

Il cacciatore

Il difficile reinserimento dei reduci

Come accennato in apertura, il primo film a cambiare letteralmente le carte in tavola – e ad entrare per questo nella storia dei film di guerra – fu Il cacciatore di Michael Cimino. Uscita nel 1978 e premiata con cinque Oscar (tra cui quello per il miglior film e la miglior regia), la pellicola raccontava la vita di alcuni combattenti prima, durante e dopo il servizio nell’esercito. I protagonisti erano tre amici appartenenti a una comunità di immigrati russi della Pennsylvania, appassionati di caccia al cervo. Quando partivano per il Vietnam finivano per essere catturati dai vietcong, che li costringevano al terribile gioco della roulette russa. Alla fine riuscivano a salvarsi, ma non a reinserirsi nella vita civile.

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Il film vedeva la partecipazione di un cast di attori allora molto giovani e non ancora affermati, ma destinati a un clamoroso successo. Il protagonista era Robert De Niro, alla sua seconda nomination come miglior attore protagonista dopo Taxi Driver. Attorno a lui gravitavano Meryl Streep, al suo secondo film, Christopher Walken – premiato come miglior attore non protagonista agli Oscar – e John Savage. Infine, una menzione la merita anche John Cazale, caratterista tra i più stimati dell’epoca (lo ricorderete nei primi due capitoli de Il padrino) e allora fidanzato della Streep, che morì per cancro ai polmoni poco prima della fine delle riprese.

 

Apocalypse Now

Un Cuore di tenebra aggiornato da Francis Ford Coppola

Gli scompensi emotivi e psicologici della guerra sono al centro anche di Apocalypse Now, capolavoro di Francis Ford Coppola che uscì pochi mesi dopo Il cacciatore, nel 1979. Un film che, nonostante fosse ambientato appena pochi anni prima della sua uscita, si ispirava in realtà a un libro di inizio secolo, Cuore di tenebra di Joseph Conrad. La storia era infatti una sorta di attualizzazione del racconto dello scrittore inglese. Nel 1969 il capitano Willard viene incaricato di inoltrarsi nella giungla cambogiana per recuperare il colonnello Kurtz, membro dei Berretti verdi che ha disertato e che ha costruito un suo esercito personale. Il viaggio gli permette di addentrarsi negli orrori di quella guerra e nell’assurdità a cui si adeguano i suoi combattenti.

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Vero e proprio capolavoro della storia del cinema sia per l’importanza della trama che per la potenza delle scene, il film si avvalse del lavoro di alcuni tra i più grandi professionisti dell’epoca. Oltre a Coppola, che con questo film confermò ed esaltò le qualità già mostrate con la saga de Il padrino, lavorarono alla pellicola Vittorio Storaro e Walter Murch, entrambi premiati con l’Oscar, rispettivamente per la fotografia e il sonoro. Anche il cast, comunque, era di prim’ordine: accanto a Martin Sheen figuravano Robert Duvall, Marlon Brando, Dennis Hopper ed altri grandi attori. Celeberrime, infine, alcune scene, come l’attacco sulle note della Cavalcata delle Valchirie di Wagner e i passaggi accompagnati da The End dei Doors.

 

Platoon

Oliver Stone e la sua esperienza in Vietnam

Tra tutti i registi che si sono occupati della guerra del Vietnam, quello più coinvolto a livello personale è stato Oliver Stone. Il regista newyorkese, infatti, ad appena vent’anni d’età si arruolò volontario per il conflitto, passando più di un anno al fronte e venendo ferito due volte in combattimento. Quest’esperienza, che lo segnò non poco, gli tornò utile per alcuni dei suoi primi film, come il corto Last Year in Viet Nam, il secondo lungometraggio Salvador (anche se ambientato in un’altra zona di guerra) e soprattutto Platoon, il film che pose Stone all’attenzione mondiale. Lanciato nel 1986, il soggetto – fortemente autobiografico – racconta l’esperienza al fronte del volontario Chris Taylor, interpretato da Charlie Sheen (figlio di quel Martin che era stato protagonista di Apocalypse Now).


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Arruolatosi, un po’ romanticamente, perché non ritiene giusto che siano sempre i poveri ad andare in guerra, Taylor viene subito iniziato agli orrori del conflitto. In particolare, si trova coinvolto in una strage ordinata dal suo sergente, che poi finirà per rendersi responsabile della morte anche di un altro soldato intenzionato a denunciarlo. Questo porta Chris a comprendere che la guerra non è in realtà contro i vietcong, ma contro la parte oscura della stessa America, contro il lato malvagio di sé. Nel cast figuravano vari giovani destinati a una fulgida carriera: oltre a Sheen, si segnalano infatti Willem Dafoe, Forest Whitaker e Johnny Depp, mentre ottima fu l’interpretazione anche del più maturo Tom Berenger.

 

Full Metal Jacket

L’addestramento e la guerra dei marine

Come detto, attorno alla metà degli anni ’80 il tema ritornò ad essere di grande attualità, almeno al cinema. Il regista che forse chiuse definitivamente il cerchio, realizzando l’ultimo capolavoro sul Vietnam, fu Stanley Kubrick. Full Metal Jacket uscì infatti nel 1987, ispirato al romanzo Nato per uccidere, scritto dall’ex marine Gustav Hasford. La pellicola è divisa in due parti tra loro molto diverse, ma ugualmente emblematiche. La prima segue l’addestramento di un gruppo di coscritti in partenza per il Vietnam. Sottoposti alle angherie del sergente istruttore Hartman, le reclute si trasformano in armi da guerra, ricevendone però degli scompensi non indifferenti. A farne le spese è il soldato soprannominato “Palla di lardo”, che finisce per uccidere lo stesso Hartman e per suicidarsi.

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La seconda parte della pellicola si dipana in Vietnam, seguendo le disavventure di Joker, una delle reclute della prima parte. Reporter dell’esercito, mal digerisce la censura a cui le notizie sono sottoposte e chiede di essere trasferito sul campo di battaglia. Qui però partecipa ad alcune azioni che lo sconvolgono, mentre delle truppe ormai segnate dall’esperienza della guerra si muovono cantando la Marcia di Topolino. Oltre alla consueta perfezione stilistica tipica dei film di Kubrick, qui si segnalano anche le straordinarie interpretazioni di R. Lee Ermey (il sergente) e Vincent D’Onofrio (Palla di lardo), oltre ai giovani Matthew Modine e Adam Baldwin.

 

We Were Soldiers

Scavare nelle vite dei soldati

Concludiamo l’elenco con We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo, film del 2002 diretto da Randall Wallace e interpretato da Mel Gibson. Un film che non ha la potenza visiva e visionaria di quelli che abbiamo citato finora, ma che ha indubbiamente una serie di meriti. Il primo dei quali è che, nonostante si presenti come un apologo delle forze armate statunitensi, non esalta la guerra, né dipinge i nemici come dei criminali assetati di sangue, ma rende omaggio sia ai soldati a stelle e strisce che a quelli vietnamiti, diventando quindi una sorta di elegia del combattente.

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Più che la politica e il pacifismo, qui conta mostrare le vite dei protagonisti, il loro senso dell’onore, i loro sacrifici e i loro lutti. In questo è emblematica la figura del tenente colonnello Hal Moore, interpretato da Gibson: prima istruttore e poi condottiero delle truppe, rimane fedele alla promessa fatta alla partenza di essere il primo a scendere in battaglia e l’ultimo a ritirarsi, e di non lasciare nessuno indietro. La storia, quindi, si tinge di epica, riuscendo comunque a descrivere in maniera realistica il caos degli scontri e, in fondo, l’inutilità della battaglia. Grande spazio, infine, è lasciato anche alle famiglie dei combattenti. Da sottolineare, in questo senso, anche le buone performance di Madeleine Stowe e Keri Russell, mentre tra i soldati spiccano pure Greg Kinnear e Sam Elliott.

 

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