
Se vi piacciono il cinema e i cowboy, sapete bene che esistono film western americani e film western italiani, film girati negli anni ’40 e ’50 e altri invece che arrivano dagli anni ’60 e ’70.
Il cinema di questo tipo può essere infatti diviso in due filoni principali: quello classico hollywoodiano e quello realizzato in Italia. E quest’ultimo, seppur arrivato dopo, non ha nulla da invidiare al primo.
Infatti il cinema classico delle grandi carovane e delle lotte contro gli indiani è stato senza dubbio quello di John Ford e John Wayne. Ad aver però rinnovato il genere e ad averlo in un certo senso fatto entrare nell’età moderna sono stati alcuni registi italiani, su tutti Sergio Leone.
Fu proprio quest’ultimo il padre dello spaghetti western, un genere che ebbe un notevole successo per una quindicina d’anni, ma i cui influssi si sentono ancora oggi. Basti pensare a un regista come Quentin Tarantino, che ha più volte reso omaggio a Leone e ai suoi colleghi.
I grandi di quel periodo sono molti, sia in cabina di regia che nel ruolo di attori. Bisogna citare ad esempio almeno Duccio Tessari, Sergio Corbucci, Enzo G. Castellani e Enzo Barboni tra i primi, e Clint Eastwood, Gian Maria Volonté, Lee Van Cleef, Eli Wallach, Henry Fonda, Bud Spencer, Terence Hill, Franco Nero e Giuliano Gemma tra i secondi.
Ma quali sono stati i film più importanti di quella breve ma intensa stagione, che si dipanò tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’70? Abbiamo scelto cinque pellicole, probabilmente le più famose e belle. Eccole.
Indice
1. Per un pugno di dollari
Il genere western è uno dei più antichi del cinema. Nacque ancora all’epoca del muto, anzi per la verità nei primissimi anni della storia di questo mezzo di comunicazione, quando ancora ogni ripresa era in un certo senso sperimentale.
Non a caso il film d’esordio del genere è considerato The Great Train Robbery, pellicola del 1903 che ebbe un grandissimo successo all’epoca. Il film d’esordio del genere spaghetti western, però, uscì molti anni più tardi, per la precisione nel 1964.
Si trattava di Per un pugno di dollari, firmato da Sergio Leone che lo girò ispirandosi a un film giapponese di Akira Kurosawa, La sfida del samurai. Non si trattava in realtà del primo western europeo, ma fu sicuramente il primo a riscuotere un grandissimo successo e a rilanciare un genere che sembrava ormai destinato al declino.
Il suo valore, però, non sta solo nel successo al botteghino. La pellicola di Leone, anzi, riuscì a creare una nuova mitologia dell’ovest, chiaramente ispirata a quella americana ma anche innovativa, maggiormente al passo coi tempi. Inoltre, Per un pugno di dollari mostrava un’estetica completamente nuova che avrebbe rapidamente fatto scuola.
Grandi professionisti all’opera
Come detto, il soggetto si ispirava a Kurosawa e fu steso dello stesso Sergio Leone. Alla sceneggiatura il regista romano, che era appena al suo secondo lungometraggio, fu affiancato però da due specialisti.
Il primo era Fernando Di Leo, poi a sua volta regista perlopiù di film polizieschi. Il secondo era invece Duccio Tessari, che sarebbe diventato a sua volta un grande regista di spaghetti western, soprattutto impegnandosi nella saga di Ringo.
I professionisti al lavoro su questo film erano però molti, e anche se allora non erano ancora molto famosi, erano tutti destinati a una carriera straordinaria.
Nel ruolo del protagonista ad esempio c’era Clint Eastwood, all’epoca poco più che ventenne e sostanzialmente sconosciuto sia negli Stati Uniti che in Europa. Accanto a lui nel film c’era però un altro attore destinato a una grande futuro come Gian Maria Volonté.
Ennio Morricone
Infine bisogna citare almeno un altro grande talento del nostro cinema: Ennio Morricone. Anch’egli all’epoca era relativamente giovane, poco più che trentenne. Aveva però già qualche esperienza nel campo delle colonne sonore visto che aveva lavorato con Luciano Salce, con Camillo Mastrocinque e con una giovane Lina Wertmüller.

Fu però questo il film che diede la svolta alla sua carriera, visto che gli fece vincere il suo primo Nastro d’argento e gli diede una fama internazionale.
D’altronde, come in tutti i film western di Sergio Leone, la colonna sonora aveva un ruolo di primaria importanza nello svolgimento della trama e nella creazione della tensione.
In questo senso è memorabile in particolare il celebre brano fischiato che ebbe anche un certo successo sul mercato discografico. Questo pezzo venne eseguito dal maestro Alessandro Alessandroni, polistrumentista e direttore d’orchestra italiana.
Un pistolero solitario
La trama era tutto sommato abbastanza scarna. In una cittadina al confine tra Stati Uniti e Messico arrivava, all’inizio della pellicola, un pistolero solitario chiamato Joe.
In breve l’uomo si inseriva nella lotta fra le due famiglie più importanti della zona, decidendo di vendersi letteralmente per un pugno di dollari a entrambi i contendenti, in modo da fare il doppio gioco. L’obiettivo vero, però, era quello di portare le famiglie a scontrarsi definitivamente tra loro.
In questa lotta, di cui non riveliamo l’evoluzione, Joe si dava da fare non solo con la pistola ma anche con sguardi micidiali e con parole al fulmicotone.
Celeberrima in questo senso una frase che è rimasta nella storia del cinema: «Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto».
Un successo duraturo
Quel film, forte del suo insperato successo, aprì quella che sarebbe divenuta la cosiddetta Trilogia del dollaro di cui avremo modo di parlare nei prossimi punti. È stato inoltre fortemente apprezzato negli anni successivi anche se in realtà all’inizio le critiche furono contrastanti.
A stupire i giornalisti dell’epoca fu infatti, soprattutto, l’eccesso di violenza, a cui non si era ancora del tutto abituati.
Col passare del tempo però il consenso legato a questa pellicola è divenuto unanime. D’altra parte, oggi il film è stato citato ed ha ormai influenzato numerose altre pellicole.
Tra queste bisogna citare Mad Max, Ritorno al futuro parte II e III, in cui viene ripresa la scena della piastra di metallo sotto al poncho, e Kill Bill volume 2 di Quentin Tarantino, da sempre grande fan di Sergio Leone.
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2. Per qualche dollaro in più
Il successo di Per un pugno di dollari portò, già l’anno dopo, cioè nel 1965, Sergio Leone di nuovo dietro la macchina da presa. Il titolo del secondo capitolo di quella che sarebbe divenuta poi la Trilogia del dollaro fu Per qualche dollaro in più.
Per scrivere la sceneggiatura di questo film Sergio Leone, che stavolta non si ispirò a nessun antecedente, chiamò Luciano Vincenzoni e Fulvio Morsella. Il primo divenne responsabile della sceneggiatura vera e propria e il secondo della stesura del soggetto.
Per quanto riguarda il cast vennero confermati, seppure in ruoli ovviamente diversi, Clint Eastwood e Gian Maria Volonté. A loro si aggiunsero questa volta Lee Van Cleef ed altri attori secondari, tra cui vale la pena di citare Klaus Kinski.
Il film, girato prevalentemente in Spagna, si rivelò di nuovo un grandissimo successo, non solo in Italia ma anche all’estero. Venne infatti distribuito in mezzo mondo immediatamente dopo la pubblicazione italiana.
I delinquenti e i cacciatori di taglie
La trama riprendeva alcuni elementi del predecessore, ma li condiva con aspetti anche nuovi e diversi. Ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico, seguiva infatti le vicende di una banda di delinquenti capitanata dal truce El Indio, interpretato da Volonté.
I membri di questa banda, da poco evasi di prigione, pianificavano un colpo alla banca di El Paso. Trovavano però sulla loro strada un paio di misteriosi cacciatori di taglie, protagonisti positivi, seppur in maniera strana e obliqua, della pellicola.
Questi due uomini erano da un lato Il Monco, interpretato magistralmente da Clint Eastwood, e dall’altro il colonnello Mortimer, con la faccia invece di Lee Van Cleef.
I due pistoleri
Il primo era, come sempre nei personaggi interpretati da Eastwood per Sergio Leone, tanto misterioso quanto abile con la pistola. Il soprannome derivava dal fatto che l’uomo aveva l’abitudine di usare solo la mano sinistra per fare qualsiasi cosa, in modo da tenersi libera la destra per sparare.
Il secondo, invece, con il procedere del film si rivelava sempre meno un semplice cacciatori di taglie, e sempre più invece un uomo dalla grande preparazione militare. Soprattutto, ci si rendeva conto che era animato da una motivazione personale dietro alla caccia all’Indio.
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Anche lui però era altrettanto abile con la pistola. Anzi, i due cacciatori di taglie si confrontavano ben presto nel tentativo di escludersi l’uno con l’altro dalla caccia.
Il piano d’azione
Infine, i due uomini decidevano però di operare insieme, elaborando un piano comune. Questo prevedeva che il Monco si infiltrasse nella banda dei delinquenti, in modo da carpire maggiori informazioni sulla rapina di El Paso.
Alla fine, tra vari colpi di scena e rovesciamenti, si arrivava al confronto finale decisivo, che nei film di Sergio Leone non manca mai. Non era però il Monco, cioè il personaggio di Eastwood, ad essere al centro della scena in questo caso, quanto piuttosto il colonnello, che poteva così regolare i conti
Memorabile comunque è la costruzione di tutto il finale, con il Monco che rimane col fucile nella mano destra e un carillon che suona nella sinistra, aspettando che la fine della musica dia il via al duello finale.
Un duello che basa la sua forza sulla suspense e sull’uso sapiente delle inquadrature, oltre che sulla saggia scelta dell’accompagnamento musicale. D’altra parte, pure in questo film la colonna sonora fu affidata ad Ennio Morricone, che con la solita maestria seppe potenziare molte delle scene chiave della pellicola.
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3. Il buono, il brutto, il cattivo
Abbiamo già parlato più volte della Trilogia del dollaro, il trittico di film diretti da Sergio Leone tra il 1964 e il 1966 che diede vita al genere del western all’italiana.
Fu una trilogia in realtà molto importante anche al di fuori dei confini del western. Rinnovò infatti anche il panorama del cinema popolare italiano, dandogli una dimensione internazionale e lasciando un segno pure sulle tecniche registiche.
È anche per questo motivo che finora abbiamo presentato solo film di Leone e, ve lo diciamo subito, non abbiamo intenzione di smettere tanto presto. In questa lista infatti 4 film su 5 sono firmati dal grande regista romano.
Una scelta di certo un po’ particolare, che finisce per penalizzare tutti gli altri grandi cineasti che diedero il loro contributo a questo genere. In tutta onestà, però, tagliare uno dei quattro film che abbiamo scelto sarebbe stato ingiusto nei confronti di veri propri capolavori.
L’ultimo atto della trilogia del dollaro
Per questo motivo, non possiamo fare altro ora che concludere la prima parte di questa lista con Il buono, il brutto, il cattivo. Il film fu diretto nel 1966 da Sergio Leone a partire da un soggetto scritto assieme a Luciano Vincenzoni. Alla sceneggiatura, invece, collaborarono anche Age & Scarpelli e Sergio Donati, oltre allo stesso Vincenzoni.
Questo è anzi, forse, il più bel film western mai prodotto in Italia, visto che porta a compimento vari elementi che Leone aveva sparso nelle prime pellicole, però potenziandoli. È un film infatti in cui c’è ancora un protagonista senza nome, in questo caso chiamato Il Biondo, e in cui però convivono bruttezza e bellezza, violenza e nobiltà, sporcizia e onore.
Inoltre è una pellicola in cui gli elementi stilistici si fanno ancora più forti. Questo fu possibile anche grazie ad una magica fotografia firmata da Tonino Delli Colli e ovviamente, come al solito, ad una colonna sonora memorabile creata da Ennio Morricone.
Infine, prima di presentarne la trama, permetteteci una parola sul cast. Qui, come in parte già anticipato nella pellicola precedente, i protagonisti non sono più due ma tre, posti però finalmente sullo stesso piano.
Si registrano infatti i ritorni di Clint Eastwood, ancora il vero e proprio primo attore e quasi l’alter ego di Leone, e Lee Van Cleef, impegnato nel ruolo di Sentenza. A loro due si aggiunge però anche Eli Wallach in una interpretazione memorabile. Un’interpretazione che ancora oggi viene ricordata come una delle più incisive di tutto il cinema western.
Durante la Guerra di Secessione
La trama è ambientata durante la Guerra di secessione americana, per la precisione nel 1862. Inizialmente facciamo una conoscenza di due dei tre protagonisti, cioè il bello e il brutto. Il primo si presenta come un cacciatore di taglie che dà la caccia proprio al secondo, catturandolo e consegnandolo alla giustizia.
Nel momento però in cui quest’ultimo viene messo a morte per impiccagione, il bello ritorno in scena, liberandolo e scappando con lui, forte della ricompensa già intascata.
In breve infatti capiamo che tra i due c’è un accordo che li porta in giro per gli Stati Uniti a fingere una cattura per intascare – e poi dividere tra loro – la taglia.
In tutto questo piano, che comunque si conclude con il biondo che abbandona il compare nel deserto, si inserisce un terzo uomo, un sicario di nome Sentenza, che altri non è che il cattivo del titolo.
Verso il cimitero
In breve infatti prima Tuco, il brutto del film, e poi il Biondo vengono a sapere di un tesoro nascosto sotto una tomba in un lontano cimitero.
Decidono entrambi di recarcisi, costringendosi di volta in volta l’uno con l’altro. Finiscono però per incrociare spesso la loro strada con gli eserciti nordista e sudista in lotta tra loro e soprattutto con Sentenza, che conosce la storia del tesoro e mira a farlo proprio.
Tra catture, interrogatori, torture, colpi di scena, fughe e sparatorie, i tre si ritrovano infine proprio nel cimitero in questione, con il Biondo che conosce, lui solo, la tomba in cui scavare, ma con gli altri che lo sfidano.
Si tiene così il celeberrimo triello finale, che ha un posto d’onore nella storia del cinema non solo italiano. Lì Sergio Leone, grazie al sapiente uso anche della musica, crea un’atmosfera magica e tesa, che molti registi moderni hanno in varie occasioni cercato di emulare.
Il triello
Anche quel triello, come molti dei duelli finali nei film dello spaghetti western, finisce in maniera in parte inaspettata, con un inatteso trionfo non tanto del bene quanto almeno dell’onore e di un particolare senso dell’onestà. Non manca però neppure una buona dose di ironia, che in questo film è mescolata benissimo con la tensione, con la paura e soprattutto con l’azione.
Proprio questa particolare commistione tra generi, dovuta in parte anche al talento comico di Wallach, divise in realtà in principio i critici. Mentre il pubblico lo rendeva campione di incassi, le riviste si divisero tra chi esaltava il talento e il montaggio di Leone e chi invece considerava ancora film di questo genere come pellicole di serie B.
Il tempo però ha dato ragione al film, tanto che questo titolo è ormai considerato pressoché unanimemente uno dei migliori film della storia del cinema mondiale.
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4. C’era una volta il West
Avete presente quando, da bambini, si mangiano molte caramelle di fila e la mamma ci dice di smettere, altrimenti ci viene il mal di pancia? Di solito si risponde sempre nel medesimo modo: con la frase «Giuro che è l’ultima». Una frase che andrebbe benissimo anche per il quarto punto della nostra lista.
C’era una volta il West è infatti l’ultimo film – lo giuriamo – che inseriamo in questa nostra lista ad essere stato diretto da Sergio Leone. E però vale assolutamente la pena di menzionarlo.
Anche in questo caso, in realtà, il film diede origine ad una trilogia, però ben più dipanata nel tempo. Una trilogia che metteva al centro proprio il tempo.
Dopo C’era una volta il West Leone avrebbe infatti diretto, a stretto giro, anche Giù la testa, il secondo capitolo di questa seconda fase. Il terzo e ultimo film, C’era una volta in America, sarebbe invece uscito molto tempo dopo, non senza varie difficoltà produttive.
Dopo Il buono, il brutto, il cattivo, Leone avrebbe voluto dirigere proprio quest’ultimo film, affascinato dalla storia autobiografica che Harry Grey aveva raccontato nel libro Mano armata. Hollywood però premeva perché il regista italiano lavorasse ancora sul western, il genere che l’aveva reso grande.
Henry Fonda, Dario Argento, Bernardo Bertolucci
Leone era deciso a tenere duro sulla propria idea, anche perché riteneva di aver già detto tutto quello che aveva da dire sull’epopea del west. A fargli cambiare idea fu la Paramount, che gli offrì di lavorare con quello che era il suo attore preferito, Henry Fonda.
Furono però anche i nomi di due giovani esperti di cinema a fargli cambiare idea. Nei mesi precedenti aveva infatti conosciuto Dario Argento – che all’epoca lavorava come critico cinematografico a Paese Sera – e Bernardo Bertolucci, che aveva già diretto un paio di film che però erano andati male al botteghino.
Leone decise di usare le forze fresche di questi due giovani, mettendo da parte gli sceneggiatori tradizionali, attratto anche dal loro modo di vedere il cinema, più simile a quello del regista romano. Celebre, in questo senso, il resoconto che Bertolucci fece del primo incontro col maestro [1].
Il giovane regista era infatti andato a vedere Il buono, il brutto, il cattivo in un cinema romano, nel suo primo giorno di proiezione. Proprio in sala si imbatté fortuitamente in Leone e Argento, che erano lì per controllare la resa del film. I tre si riconobbero e si presentarono.
Il giorno dopo Leone chiamò Bertolucci a casa, chiedendogli cosa gli era piaciuto del film. Quest’ultimo rispose, inaspettatamente, che la cosa che l’aveva più colpito era il fatto che solo lui – assieme a John Ford – aveva il coraggio di riprendere i cavalli dal didietro, mostrandone “il culo”. Questo conquistò Leone.
Il cast
Al di là di questi nuovi collaboratori, il film si avvalse di una troupe ormai affermata e affiatata. Alle musiche c’era l’immancabile Ennio Morricone, alla fotografia Tonino Delli Colli. In più si aggiunse una selva di grandi attori, sia italiani che americani.
Nel cast figuravano infatti il già citato Henry Fonda, Charles Bronson, Jason Robards, Claudia Cardinale, Gabriele Ferzetti e Paolo Stoppa. Proprio l’ingaggio di Fonda, però, fu il più difficoltoso, perché la star americana non era convinta di interpretare il ruolo del “cattivo”.
La storia infatti segue perlopiù le vicende di Frank, un sicario che agisce per conto del ricco Morton, che ha messo gli occhi su una proprietà terriera molto importante per la costruzione di una futura ferrovia. Frank uccide il proprietario e i suoi figli, prima però di rendersi conto che esiste anche una moglie in grado di ereditare tutto.
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Inoltre, a mettere il bastone tra le ruote dei malviventi compaiono due uomini. Il primo è il bandito Cheyenne, su cui Frank cerca di far ricadere la colpa degli omicidi. Il secondo è un misterioso pistolero senza nome, soprannominato Armonica.
L’immancabile duello
Dopo vari colpi di scena e rovesciamenti, Armonica e Frank giungono finalmente a scontrarsi l’uno contro l’altro e a regolare i conti. Così, tramite un flashback, si viene anche a sapere il motivo dell’avversione del pistolero senza nome per il killer.
Alla base di tutto c’è infatti un omicidio realizzato da Frank in gioventù, quando costrinse un bambino a tenere sulle spalle il fratello appeso a un cappio, in modo che quando il piccolo si fosse spostato, il congiunto sarebbe morto impiccato.
Quel piccolo era infatti proprio Armonica, che dopo la morte del fratello giurò di vendicarsi del terribile killer senza cuore. Arrivando, infine, a portare a termine la sua missione.
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5. Lo chiamavano Trinità…
Concludiamo infine con un film che non è uscito dalla mente di Sergio Leone ma che in realtà potrebbe anche non rientrare completamente nel genere di cui abbiamo deciso di parlare oggi. Lo chiamavano Trinità…, infatti, è uno spaghetti western solo fino a un certo punto.
Ne rappresenta, anzi, in un certo senso l’epilogo, visto che l’epica western inizia qui a cedere il passo alla comicità.
La pellicola, uscita del 1970, è non a caso, per molti critici, il canto del cigno di un genere che sarebbe sopravvissuto ancora per molti anni, ma che iniziava già a mostrare i segni della decadenza, di un calo di idee. E che, soprattutto, iniziava lasciare spazio a derivazioni nuove e a nuovi stilemi.
Non è un caso che alcuni abbiano coniato, per questa pellicola, l’etichetta di fagioli western, per accomunarla ma insieme differenziarla da quelle degli anni ’60.
E.B. Clucher, alias Enzo Barboni
Regista e sceneggiatore della pellicola fu E.B. Clucher, sinonimo dietro a cui si nascondeva, in realtà, Enzo Barboni, regista romano appena alla sua seconda pellicola, nonostante avesse lavorato a lungo come direttore della fotografia. Proprio in questo ruolo si era avvicinato al genere western dopo un inizio al fianco di Sergio Corbucci e della commedia all’italiana.
Aveva infatti curato, tra gli altri, la fotografia di Django, di Little Rita nel West e di Preparati la bara!, questi due ultimi con Terence Hill nel cast.

Quando ebbe l’opportunità di dirigere un film suo si mise dunque al lavoro per scrivere il copione di una pellicola che unisse in un certo senso i due generi in cui si era formato. Il genere cioè della comicità e quello dell’avventura western.
Ne venne fuori, appunto, questo film, in cui c’è di nuovo un pistolero senza nome al centro della scena, ma il cui personaggio è ben distante da quello dell’eroe spietato e senza paura interpretato da Clint Eastwood.
Un pistolero pigro e suo fratello
Trinità è infatti un cowboy fuori dagli schemi. Pur essendo bravissimo con la pistola – tanto da meritare l’appellativo di “mano destra del diavolo” – è particolarmente pigro.
Questa sua particolare caratteristica si vede fin dal modo in cui cavalca, o meglio non cavalca. Infatti per la maggior parte del tempo si fa trainare dal suo cavallo mentre sta disteso su una slitta, in una posa che è decisamente anti-epica.
Ma non è lui l’unico protagonista del film. Se all’inizio Trinità si muove da solo confrontandosi con vari cacciatori di taglie e delinquenti, ben presto si riunisce al fratello, un omone di grande stazza soprannominato ironicamente Bambino.
Quest’ultimo è un delinquente che vive di espedienti e di furti, ma quando si incontra col protagonista annuncia di essere diventato sceriffo e di essere intento a difendere un gruppo di mormoni. I religiosi sono infatti minacciati dalle prepotenze di un ricco uomo d’affari.
La forza di Bud Spencer e Terence Hill
In realtà la situazione è più complessa di quello che sembra a prima vista, ma i due si troveranno comunque invischiati in una faccenda difficile, da cui usciranno solo con grande astuzia e abilità. Un’abilità per la verità non solo nell’uso delle armi, ma anche delle mani.
Il tutto verrà condotto con una forte dose di ironia, con l’intendo di creare continuamente una parodia degli stilemi del western classico e italiano.
Il punto di forza della pellicola, che fu un clamoroso successo sia in Italia che all’estero, è però da ricercare anche nei due protagonisti. Nei ruoli di Trinità e di Bambino furono scelti rispettivamente Terence Hill e Bud Spencer, qui per la prima volta insieme, spalla a spalla, nei ruoli di protagonisti di una pellicola.
La coppia impressionò subito per l’affiatamento e per il modo in cui i due personaggi da loro interpretati si completavano magicamente. E i produttori, ovviamente, cercarono subito di ricostruirla.
I seguiti, anche fuori dal west
Un anno dopo, infatti, uscì un seguito intitolato …continuavano a chiamarlo Trinità, sempre per la regia di Barboni. Subito dopo però i due cominciarono a recitare in pellicole anche ambientate in epoca moderna, seppur sempre contraddistinte da un uso sapiente delle scazzottate e della comicità.
Gli anni ’70, in questo senso, furono costellata da una serie di ottimi successi, come …più forte ragazzi! del 1972, …altrimenti ci arrabbiamo! del 1974 e I due superpiedi quasi piatti del 1977, quest’ultimo di nuovo diretto da Barboni.

Al genere western Terence Hill dedicò comunque qualche altra pellicola, visto che tra l’altro ci aveva lavorato già prima di dare vita al personaggio di Trinità. Forse il film più interessante in questo senso è Il mio nome è Nessuno, uscito nel 1973 e prodotto da Sergio Leone, anche se la regia e la sceneggiatura furono affidate ad altri.
In questa pellicola recitava anche Henry Fonda mentre la musica fu di nuovo affidata ad Ennio Morricone. Il risultato, anche al botteghino, fu ancora una volta piuttosto lusinghiero.
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Note e approfondimenti
[1] In quest’intervista di qualche anno fa ne trovate una versione, ma Bertolucci ha raccontato più volte l’episodio. ↑