Cinque grandi fotografi americani contemporanei

Alla scoperta dei più grandi fotografi americani contemporanei

Gli Stati Uniti sono in un certo senso la patria della fotografia. Questo mezzo espressivo, infatti, ha cominciato la sua ascesa proprio nel momento in cui decollava anche la potenza statunitense. E così, sia artisticamente che economicamente, gli USA hanno sempre dato moltissimo a questa forma d’arte. Lì si pubblicavano le riviste più importanti del settore, lì andavano a lavorare i più intriganti innovatori europei. E quindi non è strano trovare dei grandissimi nomi quando si elencano i fotografi americani contemporanei.

Il ruolo degli Stati Uniti

Soprattutto nel dopoguerra, infatti, l’America ha dato un contributo fondamentale a quest’arte. Lì lavorano ancora oggi i fotografi più bravi del mondo, quelli più influenti. E perfino quando sorge un nuovo talento, un fotografo emergente in Francia, in Germania o in Italia, una tappa fondamentale del suo percorso è trasferirsi almeno per un certo periodo negli Stati Uniti, dove ci sono i grandi maestri e le grandi occasioni.

Per questo abbiamo deciso di ricapitolare la situazione. E individuare i più importanti fotografi americani contemporanei. Con una precisazione, però: abbiamo inteso “contemporanei” non come sinonimo di “viventi“. Anche perché, purtroppo, alcuni maestri hanno una certa età. Vorremmo, invece, che la nostra selezione durasse nel tempo, andando al di là dei fatti della vita. Pertanto, il criterio che abbiamo usato è stato quello di selezionare fotografi vivi o scomparsi da poco. Eccoli.

 

Irving Penn

Dalla moda ai ritratti

Irving Penn sulla copertina del catalogo di una sua mostra
Irving Penn sulla copertina del catalogo di una sua mostra

Cominciamo da uno dei maestri della fotografia americana del ‘900, Irving Penn. Nato nel 1917 in New Jersey, era il fratello maggiore di Arthur, che probabilmente conoscete come regista. Sue sono infatti pellicole celeberrime come Anna dei miracoli, Gangster Story e Il piccolo grande uomo.

Irving si formò come disegnatore pubblicitario, con l’intento di trovare la sua strada nell’illustrazione o nella pittura. Dopo aver tentato per qualche anno quella strada, decise di lasciar perdere e iniziò a lavorare per Vogue. Negli anni ’50 cominciò così a prendere confidenza con la macchina fotografica e a sfornare i primi scatti importanti. Finì sempre più spesso sulla copertina della rivista, e varie agenzie pubblicitarie cominciarono a chiedere la sua collaborazione.

Gli anni ’60

Negli anni ’60 cercò di spostarsi anche al di fuori dell’ambito della fotografia di moda. Intraprese lunghi viaggi, tornando a casa con reportage etnografici di grande valore. Allo stesso tempo, fece ritratti ai grandi dell’arte e della musica, sempre all’insegna di una profonda semplicità, volta a catturare il carattere dei soggetti. Per questo si vede nel suo lavoro anche un certo gusto classico, in contrasto con certe tendenze dell’avanguardia del periodo.

Riuscì però a creare grandi scatti anche inquadrando i resti di cibo trovati per strada o realizzando reportage di viaggio più tradizionali. Dagli anni ’70 i musei hanno cominciato ad ospitare mostre sul suo lavoro, partendo dal MoMA di New York (ma tra i primi ci fu anche la Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino). Dopo una lunga vita, Penn è morto nel 2009 a Manhattan.

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Mary Ellen Mark

Le proteste e i diseredati

Mary Ellen Mark in una immagine del 2011 (foto di John Ramspott via Flickr)
Mary Ellen Mark in una immagine del 2011 (foto di John Ramspott via Flickr)

L’altra fotografa purtroppo venuta a mancare di recente nella nostra lista è Mary Ellen Mark. Nata a Philadelphia nel 1940, è infatti scomparsa nel maggio 2015 a causa della sindrome mielodisplasica. Negli anni aveva conseguito una serie impressionante di riconoscimenti, gli ultimi giunti anche pochi mesi prima della dipartita.

Appassionata fin dalla più tenera età di fotografia, si laureò in pittura e storia dell’arte. Subito dopo cominciò a seguire master in fotogiornalismo, fino ad agguantare la possibilità di passare un anno all’estero per perfezionarsi. La meta era la Turchia, ma approfittò del viaggio in Europa per visitare molti paesi, tra cui anche l’Italia, e affinare la sua tecnica.

Le proteste contro la guerra

Rientrata negli Stati Uniti, si stabilì a New York. In quegli anni nella città americana cominciavano a scendere in strada i primi contestatori, che spesso protestavano contro la Guerra del Vietnam. La Mark cominciò a immortalare queste manifestazioni, divenendo in un certo senso la fotografa ufficiale del fenomeno. La sensibilità con cui riusciva a ritrarre quelle scene colpì i responsabili delle riviste americane, che le diedero ampio spazio.

New York e il cinema

Si occupò anche dei lati più nascosti di New York, fotografando senzatetto, prostitute e drogati. Uno di questi progetti – Streets of the Lost – trovò ospitalità sulla rivista Life e le diede fama internazionale. Pubblicò anche su Rolling Stone, Vanity Fair, The New Yorker e decine di altre.

Lavorò a lungo anche come fotografa di scena in numerosi film, sia hollywoodiani che europei. Fu sul set di Apocalypse Now, del Satyricon di Fellini, del recente Australia di Baz Luhrmann e perfino di Alice’s Restaurant, film di Arthur Penn, fratello del già citato Irving. Tra i vari premi della sua carriera ci sono tre Robert F. Kennedy Journalism Awards e il premio alla carriera della George Eastman House.

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Annie Leibovitz

La fotografa delle star

Annie Leibovitz nel 2008 (foto di Robert Scoble via Flickr)
Annie Leibovitz nel 2008 (foto di Robert Scoble via Flickr)

Tra i più grandi fotografi americani contemporanei non c’è solo una donna, ma due. Una presenza che non è motivata da nostri tentativi di rispettare le pari opportunità, ma dal fatto che fin dall’inizio in America le donne hanno trovato nella fotografia la possibilità di emergere e di esprimersi. La relativa economicità dei mezzi ha insomma garantito una certa parità di genere nel settore.

La seconda donna, un po’ più giovane di Mary Ellen Mark e vivente, è Annie Leibovitz. Nata nel Connecticut nel 1949, iniziò a lavorare giovanissima a Rolling Stone, rivista nata da poco ma che si sarebbe presto ritagliata un posto di primo piano nel panorama americano. Per il mensile dedicato al rock’n’roll realizzò centinaia di servizi fotografici, curandone spesso anche le copertine.


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Lì poté affinare il proprio stile, diventando un’abile ritrattista. La tecnica della Leibovitz infatti prevede una forte collaborazione tra il fotografo e il soggetto, che ha bisogno di tempo e di confidenza, che lei seppe raggiungere con rockstar che non sempre erano facili da gestire. Fu in questo molto influenzata da un altro grande fotografo americano, Richard Avedon, specializzato nella moda.

Le sue fotografie cominciarono presto ad essere usate anche per le copertine di dischi, visto il nome che si era fatta nell’ambiente. È sua, ad esempio, la celebre cover di Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen. E a dare un ulteriore slancio alla sua carriera ci pensarono anche alcuni fatti fortuiti. Tra tutti, il più tragico fu quello della morte di John Lennon. Lei fu infatti l’ultima a fotografarlo vivo, per un servizio molto suggestivo per Rolling Stone realizzato la mattina del giorno in cui fu ucciso.

La carriera dopo Rolling Stone

Nel 1983 lasciò la rivista che le aveva dato fama per diventare una free-lance, aperta a diverse collaborazioni. Da lì in poi lavorò a varie campagne pubblicitarie e anche per riviste di moda, pur continuando a realizzare ritratti. Tra i suoi scatti più celebri vanno annoverati quelli a Demi Moore (due volte, con l’attrice in entrambi i casi nuda, e una volta incinta), ad Angelina Jolie, a Leonardo DiCaprio, a Meryl Streep, a Keira Knightley e Scarlett Johansson, a Rihanna e a Lady Gaga.

Le mostre e i premi

Negli anni ’80 e ’90, inoltre, le sono state dedicate mostre nei più importanti musei mondiali. È stata ad esempio la prima donna ad essere ospitata alla National Portrait Gallery di Washington, nel 1991. E le sono stati assegnati numerosi premi, come la Royal Photographic Society’s Centenary Medal and Honorary Fellowship nel 2009 e il Premio Principe delle Asturie nel 2013.

Dal punto di vista personale, è stata legata per vari anni alla scrittrice Susan Sontag, più anziana di lei e venuta a mancare nel 2004. Ha tre figlie: la prima avuta nel 2001, quando aveva già 52 anni; le altre due, due gemelle, tramite madre surrogata.

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Steve McCurry

Forse il più noto dei grandi fotografi americani contemporanei

Steve McCurry, forse il più famoso tra i fotografi americani contemporanei (foto di John Ramspott via Flickr)
Steve McCurry, forse il più famoso tra i fotografi americani contemporanei (foto di John Ramspott via Flickr)

Abbiamo parlato di ritrattisti e di fotogiornalisti. Il campo della fotografia, però, è ampio, e composto da persone con interessi anche molto diversi. Da sempre, un genere che ha avuto particolare rilievo è stato quello del reportage dai confini del mondo. Riviste come Life su questo genere hanno costruito per anni la loro fortuna. Perché in un’epoca molto meno globalizzata di questa, la fotografia era l’unico mezzo per scoprire mondi ignoti.

Il maestro in questo settore, almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti, è sicuramente Steve McCurry. Nato attorno a Philadelphia nel 1950, ha studiato fotografia e cinema alla Penn State University, anche se si è laureato in teatro. Si è poi fatto le ossa lavorando per alcuni quotidiani locali, fino a quando non ha deciso di darsi all’attività free-lance.


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In questa veste si è spostato in Estremo Oriente, puntando all’inizio sull’India. Visto che era la fine degli anni ’70 e che in Afghanistan stava scoppiando una guerra di grande interesse internazionale, si travestì con abiti locali, attraversò il Pakistan e si diresse proprio verso quel paese. Riuscì così a diventare il primo fotografo occidentale in grado di ritrarre gli eventi legati allo scontro tra i ribelli locali e l’Armata Rossa. Questo diede il primo slancio alla sua carriera.

Rimase poi in zona per documentare altri conflitti. Seguì ad esempio la guerra tra Iran e Iraq, scoppiata immediatamente dopo. Ma poi anche la guerra civile in Libano, la Guerra del Golfo ed altri conflitti asiatici. La sua conoscenza di quel mondo e delle sue tradizioni gli consentì, però, di non ritrarre solo battaglie, ma anche persone normali, piegate dalle sofferenze. È infatti in questo contesto che nacque il suo scatto più celebre, Ragazza afgana.

Ragazza afgana

Quella foto fu una delle immagini che cambiano un’intera carriera, e in un certo senso anche la storia di una rivista. McCurry la scattò nel 1985 in un campo profughi pieno di giovani afgani rifugiatisi in Pakistan. Col tempo, il fotografo americano aveva imparato come far mettere a proprio agio i modelli, aiutandoli quasi a dimenticare che davanti a loro ci fosse una macchina fotografica. E l’impresa gli riuscì con un soggetto difficile, sia per le sofferenze dei profughi, sia per la naturale ritrosia delle donne del luogo.

L’immagine fu pubblicata su una copertina dello storico National Geographic Magazine, diventando subito un’icona di quel conflitto. Ancora oggi, è considerata la foto più riconoscibile della storia secolare della rivista e viene riprodotta in centinaia di modi.

Sharbat Gula

Forte di questo successo, nel 2002 McCurry è tornato in Afganistan per ritrovare la ragazza, di cui non si sapeva neppure il nome. L’ha individuata in Sharbat Gula, una donna ormai cresciuta e per la verità molto diversa dalla bambina ritratta quasi vent’anni prima. Una donna che però aveva conservato quell’enigmatico sguardo di ghiaccio.

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David LaChapelle

Fotografia kitsch-pop

David LaChapelle fotografato nel 2011 a Praga (foto di Gampe via Wikimedia Commons)
David LaChapelle fotografato nel 2011 a Praga (foto di Gampe via Wikimedia Commons)

Concludiamo col più giovane fotografo della nostra lista, David LaChapelle. Un artista che ha iniziato a farsi conoscere negli anni ’90 per il suo stile aggressivo, spesso ironico, caricaturale e surreale. Uno stile che gli ha aperto le porte prima della moda e della pubblicità, ma di recente anche dei più prestigiosi musei.

Nato in Connecticut nel 1963, è cresciuto in North Carolina, dove la sua famiglia si trasferì quand’era piccolo. Studiò arte prima vicino a casa e poi a New York, ma ebbe comunque una giovinezza piuttosto irrequieta. Come ha raccontato lui stesso, da ragazzino subì anche atti di bullismo per le sue preferenze sessuali.

Appena arrivato a New York riuscì a conoscere Andy Warhol e ad entrare nel suo entourage. Questo fu l’incontro che gli cambiò letteralmente la vita. Cominciò a lavorare per la prestigiosa rivista Interview, mentre contemporaneamente conosceva i nomi più importanti della scena artistica newyorkese. Divenne così amico di Keith Haring, Jean-Michel Basquiat e di altri innovatori che bazzicavano la Grande Mela nei primi anni ’80.

Uno stile provocatorio

Proprio questi incontri lo aiutarono a definire meglio un proprio stile personale. Uno stile che è abbastanza appariscente, giocato sui colori forti, su pose e scene iper-realistiche, su un’energia primitiva e rude. E soprattutto su idee estreme, che vogliono sconvolgere la mente dell’osservatore.

Questo suo stile venne presto sfruttato anche dalla pubblicità. Celebre, in questo senso, la campagna che realizzò a metà anni ’90 per Diesel, il marchio di moda italiano. In quel caso, ricreò una scena ambientata nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, per celebrare la vittoria, ma mise al centro dell’inquadratura due marinai che si baciavano sulla bocca. Al classico bacio di V-J Day in Times Square oppose insomma un bacio gay, generando un certo scandalo.

Le influenze artistiche

Negli anni Duemila sono poi arrivate le personali nei musei. E anche, via via, una fotografia sempre più riconoscibile, ma legata anche ad alcune precise influenze storiche. Lo stesso LaChapelle ha infatti affermato di avere molti “debiti artistici”, in primo luogo verso il suo maestro Andy Warhol, ma anche verso Salvador Dalí, Jeff Koons, Michelangelo e Cindy Sherman, altra grande fotografa americana.

Negli ultimi anni è passato da parziali ritiri a entusiasmanti ritorni sulla scena. E gli estimatori e i critici si sono fatti più agguerriti, com’è normale quando si sceglie uno stile provocatorio. Così la sua fotografia è stata definita sovversiva, ma anche surrealista e “kitsch-pop“. D’altronde, non è un caso che LaChapelle venga spesso definito il Fellini della fotografia, per rendere omaggio alla sua sterminata (e irrefrenabile) fantasia.

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