Cinque grandi opere di El Greco

Particolare della Veduta di Toledo, una delle opere più celebri di El Greco

Gli spagnoli ricordano il XVII secolo come il Siglo de oro. Un appellativo che può essere inteso in senso letterale e metaforico: fu infatti un periodo di grande splendore politico e culturale, e contemporaneamente il momento in cui l’economia iberica fu “dopata” dall’arrivo dei metalli preziosi americani. Fu un secolo in cui la Spagna fu al centro della scena europea, l’ultimo momento, forse, in cui la penisola iberica dettò in un certo senso la linea, prima di una lunga decadenza.

Creta, Venezia, Toledo

Dal punto di vista artistico, qui trovarono ospitalità alcuni tra i migliori pittori dell’epoca. E anche alcuni tra i più originali. Tra questi non è possibile non citare El Greco, forse l’artista più particolare del suo tempo.

Nato a Creta nel 1541 quando quest’isola era sotto il dominio di Venezia, studiò e si formò in loco. Prima dei trent’anni si trasferì nella città lagunare, dove ammirò il lavoro di Tiziano e Tintoretto. Poi visse per qualche tempo a Roma e infine arrivò in Spagna, a Toledo, dove poté sviluppare il proprio stile.

Uno stile che non ha eguali nei suoi contemporanei, e che gli costò non poche difficoltà. La sua arte, in quel primo Seicento manierista che si spostava verso il barocco, fu compresa solo fino a un certo punto.

La sua riscoperta è, anzi, piuttosto recente. Solo nel Novecento, forse anche per una sensibilità che ben si sposava con la sua arte, i suoi quadri divennero il centro di mostre e libri. Vediamo dunque cinque sue opere particolarmente importanti, cercando di dare anche una panoramica sull’evoluzione del suo modo di dipingere.

 

1. Adorazione dei Magi

Il periodo cretese

Cominciamo con un quadro che non è certo uno dei più celebri della produzione di El Greco. Si tratta della Adorazione dei Magi, opera che non deve essere confusa con la quasi omonima Adorazione dei pastori.

Il dipinto è infatti un lavoro giovanile, realizzato quando era ancora fortissima l’influenza della scuola cretese. Un’influenza non ancora mescolata con quelle del Rinascimento italiano, del manierismo e dell’arte spagnola del primo Seicento, che invece lo avrebbero segnato negli anni successivi.

Adorazione dei Magi, dipinto giovanile di El Greco

Nato col nome di Domínikos Theotokópoulos, El Greco si era infatti formato a Candia, in una città che era sì colonia veneziana, ma di profonda cultura greca. In quella sua terra d’origine rimase fino ai 26 anni, fino all’incirca allo stesso periodo in cui completò l’Adorazione dei Magi.

Il quadro, ancora incerto dal punto di vista prospettico e della delineazione delle figure, presenta alcuni elementi, però, che sarebbero diventati fondamentali nella sua pittura. Si notano ad esempio l’uso quasi espressionista dei colori e il paesaggio, inquieto anche se distante. L’opera è oggi conservata al Museo Benaki di Atene.

 

2. Spoliazione di Cristo

La prima commissione in Spagna

Come detto, Domínikos Theotokópoulos abbandono presto la Grecia e, dopo un passaggio in Italia, approdò infine in Spagna. A Toledo trovò l’ambiente ideale e le commissioni che gli servivano per sviluppare la propria arte.

Nel 1579, ormai professionalmente maturo, gli fu affidato l’incarico di dipingere un quadro per la sagrestia della cattedrale della città. Lui rispose realizzando la Spoliazione di Cristo, che è ancora oggi conservata in quella sala e che costituisce uno dei suoi primi capolavori.

La spoliazione di Cristo

Gli storici dell’arte ritengono che probabilmente questa sia la sua prima commissione spagnola, e che non ebbe però particolare successo. Nonostante la grande qualità della realizzazione, i committenti non furono infatti contenti dell’opera, che venne pagata a El Greco molto meno di quanto inizialmente pattuito.

Il soggetto – che raffigura il momento in cui Cristo viene spogliato prima di essere crocifisso – era quasi inedito, all’epoca, ma fu scelto dal pittore probabilmente perché il quadro sarebbe stato appeso nel luogo in cui i sacerdoti si spogliavano e indossavano i paramenti sacri.

Tra arte bizantina e rinascimentale

L’opera è importante perché qui vediamo la fusione tra la scuola greca e quella italiana. La selva di persone che si affollano attorno a Cristo tendono ad annullare lo spazio, a non dargli profondità, secondo uno schema compositivo che era tipico dell’arte bizantina.


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D’altra parte, i panneggi delle vesti e l’uso di colori così elaborati era tipico dell’arte italiana e veneziana del periodo. Inoltre, in alcune pose sono stati notati richiami all’opera di Raffaello, che El Greco aveva certamente studiato a Roma.

 

3. Sepoltura del conte di Orgaz

Tra morte terrena e aldilà celeste

Forse il capolavoro assoluto di El Greco è però la Sepoltura del conte di Orgaz, altro dipinto commissionato da una chiesa toledana. Il dipinto si trova infatti ancora oggi all’interno della Chiesa di Santo Tomé e fu realizzato per onorare la morte del conte di Orgaz, un nobile locale particolarmente devoto.

Una devozione tipica nella Spagna dell’epoca, in cui era ancora forte sia lo spirito della reconquista, sia la spinta alla colonizzazione e alla conversione (anche con la forza) delle popolazioni americane.

Sepoltura del conte di Orgaz. celebre capolavoro di El Greco

El Greco scelse di realizzare un dipinto estremamente ricco. Anche in questo caso, le figure che si affacciano sulla tela sono assai numerose e questo comporta un appiattimento prospettico. Il quadro è evidentemente diviso in due parti: sotto c’è la realtà terrena, sopra quella celeste.

Una divisione che emerge anche dai colori: sotto domina il nero del lutto e delle divise dei cavalieri, inframmezzato dall’oro delle vesti dei santi e del vescovo, mentre sopra la vacuità del cielo viene resa da toni tra l’azzurro e il grigio (anche se, pure qui, intervallati da qualche spruzzo di colore più vivace).

Omaggi e autoritratti

Molte sono le personalità riconoscibili. I due santi che depongono il corpo di Orgaz sono Santo Stefano e Sant’Agostino, mentre il bambino che sta al loro fianco è probabilmente il figlio dello stesso El Greco.

D’altronde, il pittore pare aver ritratto anche se stesso tra la folla. Infine, tra i beati del cielo si riconoscono San Pietro, la Madonna, San Giovanni Battista e perfino Filippo II, che all’epoca – il 1588 – era però ancora vivo.

 

4. Veduta di Toledo

Uno dei cieli più importanti della pittura moderna

Nei dipinti di epoca rinascimentale e barocca di origine spagnola e italiana è raro imbattersi in rappresentazioni paesaggistiche. Il Concilio di Trento, infatti, aveva sostanzialmente bocciato questo tipo di soggetto, invitando invece alla rappresentazione di santi e di episodi evangelici.

Così, quasi tutti i dipinti di questo genere del periodo hanno un’origine nordica, in terre dove si era diffuso il protestantesimo. Fa eccezione la Veduta di Toledo, uno dei due soli quadri a noi noti firmati da El Greco e dedicati al paesaggio.

Veduta di Toledo, quadro quasi espressionista di El Greco

Anche se il pittore cretese dipinse raramente immagini di vedute, lasciò comunque un segno indelebile sul genere. Basti pensare al fatto che questo dipinto, assieme alla Notte stellata di van Gogh, è considerato la più importante rappresentazione del cielo della storia dell’arte moderna.

Proprio nella scelta dei colori con cui adornare la parte alta della tela si notano infatti tutto il talento e l’originalità di El Greco. Mai nessuno prima di lui, e forse neppure dopo di lui, aveva osato rappresentare il cielo con quelle tonalità, con quella cupezza, anticipando correnti artistiche che avrebbero avuto successo nel Novecento.

Un paesaggio in parte inventato

Il paesaggio, quindi, in questo quadro conta solo fino a un certo punto. Tanto più che gli studi hanno dimostrato che è in parte inventato. Mentre sono riprodotti fedelmente il Castello di San Servando e il Palazzo dell’Alcazar, altri edifici sono probabilmente stati aggiunti da El Greco per equilibrare la composizione.


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Il dipinto, realizzato nel 1610 e quindi solo quattro anni prima della morte dell’artista, si trova oggi al Metropolitan Museum di New York.

 

5. Apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse

L’opera che ispirò Picasso

Concludiamo con un quadro che probabilmente El Greco non fece in tempo ad ultimare prima della morte. Si tratta di Apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse, anch’esso conservato al Metropolitan di New York.

Un quadro che ha avuto un’importanza fondamentale nella pittura del Novecento, visto che, a quanto pare, Picasso – grande ammiratore del pittore cretese – vi si ispirò per il suo Les Demoiselles d’Avignon.

L'apertura del quinto sigillo dell'Apocalisse, l'ultimo capolavoro di El Greco

La tela – nota anche come La visione di San Giovanni – era stata concepita per un altare laterale della chiesa di San Giovanni Battista di fuori le mura di Toledo.

Probabilmente doveva essere costituita anche da una parte alta che però è andata distrutta; nelle intenzioni di El Greco, forse, la parte bassa doveva rappresentare l’amor profano, con le anime dei dannati, mentre quella alta l’amore sacro.

Le caratteristiche della pittura di El Greco

Qui si notano ancora una volta, forse alla loro ennesima potenza, gli elementi caratteristici della pittura di El Greco. E cioè il gusto manieristico per i colori, anche se resi in un modo in un certo senso più “acido”; il tormento di alcune figure, dipinte per rivelarne la realtà interiore; il cielo e gli elementi naturali espressionisti.

Un talento che nell’ultima parte della sua vita – nonostante qualche noia con l’Inquisizione – diede una discreta agiatezza economica al pittore. Ma che non gli consentì di essere subito ricordato come un grande del suo tempo, visto che la riscoperta dell’artista è arrivata piuttosto tardi, all’inizio del Novecento. In parte anche grazie proprio a Picasso.

 

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