Cinque grandi profeti biblici

I profeti secondo il Perugino

Ogni grande religione ha i suoi profeti, personaggi sospesi tra la storia e la leggenda che hanno rivelato il messaggio divino, facendo da tramite tra il nostro mondo e quello celeste. Di solito, anzi, di fianco a un profeta principale se ne annidano una serie di altri secondari o minori, che anticipano la venuta del grande maestro o ne delineano meglio il messaggio, adattandolo ai nuovi tempi.

Visto che spesso di questi uomini – che, oltre a trasmettere la voce di Dio, sanno anche anticipare il futuro e predire le sventure – sappiamo bene il nome ma conosciamo poco della vita, scopriamo oggi la biografia di cinque grandi profeti biblici.

 

1. Mosè

L’uomo che condusse gli ebrei fuori dall’Egitto

Abbiamo detto in apertura che ogni grande religione, in un certo senso, può identificarsi col suo profeta più grande: l’Islam è la religione di Maometto, il cristianesimo quella di Cristo (che è allo stesso tempo molto di più di un semplice profeta), l’ebraismo la religione di Mosè.

Nell’Antico Testamento la figura di Mosè è infatti, senza ombra di dubbio, quella principale. Le vicende della sua vita vengono narrate nell’Esodo: figlio di ebrei in Egitto, per sfuggire alla persecuzione del faraone fu abbandonato nelle acque, finendo per venire salvato proprio dalla figlia dello stesso faraone; allevato a corte, dovette scappare dopo aver ucciso una guardia, rifugiandosi nel deserto.


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Qui conobbe la figlia di un sacerdote e si sposò, ma nei pressi del monte Oreb sentì la chiamata di Dio, che gli disse di tornare in Egitto a salvare il suo popolo.

Il Sinai e le tavole della legge

Presentatosi davanti al faraone, all’inizio non fu ascoltato ma l’arrivo delle dieci piaghe mandate da Dio convinse il regnante a cedere: lasciò partire gli ebrei ma tentò poi di catturarli nuovamente, non riuscendoci solo per il miracolo della divisione delle acque operato da Mosè.

Dopo tre mesi gli ebrei arrivarono al monte Sinai e qui Mosè ricevette le tavole della legge, che presentò al popolo subito dopo averlo rimproverato per essersi messo ad adorare un vitello d’oro.

Charlton Heston nei panni di Mosè

Dopo quarant’anni di marcia nel deserto, gli ebrei giunsero infine nei pressi della Terra promessa, ma Mosè morì prima di potervi entrare. Oltre all’Esodo, che racconta quanto abbiamo scritto fino all’annuncio dei dieci comandamenti, Mosè compare anche nel Levitico (dove spiega rituali e cerimonie), nel Libro dei Numeri (dove descrive il viaggio nel deserto) e nel Deuteronomio, che si conclude proprio con la morte del profeta.

Tutti questi libri fanno parte del Pentateuco (o Torah, come viene chiamata dagli ebrei), la raccolta dei primi cinque libri della Bibbia, spesso ricordati anche come Libri di Mosè proprio per il ruolo decisivo del loro protagonista.

 

2. Elia

Il profeta del fuoco e nemico dei falsi dei

Sempre legate al monte Oreb sono anche le vicende di uno dei più grandi profeti ebraici vissuti dopo Mosè, Elia. Molto vaghi sono i contorni storici della sua vicenda umana, anche se vari eventi sono descritti nel dettaglio all’interno dei due Libri dei Re.

A lui si attribuiscono molti miracoli che poi vennero anche in parte ripresi nel Vangelo, come quando resuscitò la figlia di una vedova; la sua potenza come profeta però era dimostrata, nel racconto biblico, soprattutto dallo scontro che ebbe con i profeti di una religione “rivale”, quella del dio Baal: Elia li sfidò sul monte Carmelo e, dopo averli sconfitti, realizzò il prodigio di appiccare il fuoco su una pira di legna verde e bagnata semplicemente con la preghiera.

Il profeta Elia

Infine, scatenò l’ira divina uccidendo e scannando ben quattrocentocinquanta di questi sacerdoti che adoravano Baal, divinità fenicia (il suo nome significava in origine Signore) che nella tradizione ebraica era diventata sinonimo di falso dio e di idolatria.

Proprio dopo questi accadimenti Elia si rifugiò sull’Oreb, dove riuscì a parlare con Dio e dove fu alimentato direttamente da un angelo. La sua grande confidenza col Divino Creatore fece sì che, secondo la tradizione, egli stesso non morì mai, ma fu assunto al cielo ancora vivo, in corpo e spirito, tramite un carro e dei cavalli di fuoco.

Non è per caso, quindi, che alcuni ebrei attendano ancora il ritorno sulla Terra di Elia, e non è un caso che quando lo stesso Gesù Cristo iniziò a predicare e pose ai suoi apostoli la celebre domanda «La gente chi dice che io sia?», tra le varie risposte gli venne detto proprio il nome del profeta.

 

3. Isaia

Il visionario che influenzò la politica d’Israele

Nonostante di Isaia si conosca una data di nascita più o meno sicura – il 765 a.C. –, le informazioni sulla sua vita sono quasi del tutto assenti. Nei profeti tradizionali, come abbiamo visto, vita e profezia si confondono, e anzi le azioni compiute o subite si trasformano in messaggio per i fedeli.

In Isaia, invece, prevale un aspetto visionario, tanto è vero che nel libro biblico che porta il suo nome (e che probabilmente fu scritto da lui solo per i primi 39 capitoli) pochissimi sono i dati biografici mentre molti di più sono gli aspetti che potremmo definire poetici del suo messaggio.

Il profeta Isaia rappresentato da Michelangelo

La sua predicazione cominciò con una visione avvenuta a circa 25 anni nel Tempio di Gerusalemme, visione in cui il Signore lo intimava di annunciare la rovina di Israele.

Il profeta si trovava a vivere infatti in un periodo di grandi tensioni sociali, in cui una certa prosperità nel paese aveva reso meno forti i dettami morali ma nel contempo il nemico assiro si affacciava sempre più minaccioso ai confini.

No alle alleanze

Isaia, che probabilmente era di estrazione aristocratica, rispose alla chiamata professando la necessità di un ritorno all’antica purezza e osteggiando qualsiasi alleanza militare con altri popoli vicini, spiegando che la fiducia in Dio avrebbe difeso il popolo eletto da ogni nemico.

E poté farlo addirittura dalla corte di Gerusalemme, sulla quale aveva una certa influenza, cosa che ne fece forse uno dei più importanti profeti in grado di esercitare un potere sostanzialmente politico.

Come spesso accade, questa influenza politica però ad un certo punto si esaurì: secondo la tradizione ebraica, in parte ripresa da alcuni Vangeli apocrifi, con la salita al trono di Manasse – re peraltro criticato in altri passi della Bibbia per avere introdotto il culto di dei cananei nel Tempio di Gerusalemme – la sua fortuna finì e Isaia fu prima arrestato e poi ucciso, probabilmente segato in due.

 

4. Geremia

Il modello del tipico profeta di sventure

Poetico quasi quanto Isaia nel suo modo di scrivere, ma – a differenza del suo illustre predecessore – completamente incapace di incidere sulla politica nazionale, Geremia fu un altro grande profeta del popolo ebraico, emblematico nella sua figura di messaggero incompreso.

Vissuto a cavallo tra il VII e il VI secolo a.C., Geremia fu autore del libro che porta il suo nome e del Libro delle lamentazioni, che ci forniscono particolari molto vivaci – e ritenuti piuttosto attendibili anche dagli studiosi – della sua vita e del suo tempo.

Geremia

Umile sacerdote del villaggio di Anatoth, ricevette la chiamata di Dio attorno ai 24 anni, Dio che da un lato lo obbligava a non sposarsi nonostante lui fosse innamorato di una certa Giuditta e dall’altro gli intimava di profetizzare grandi sciagure sul popolo d’Israele, che invece stava in quella fase storica vivendo un periodo di prosperità.

Geremia, che accettò a malincuore le richieste di Dio, divenne in breve tempo una sorta di uccello del malaugurio per il popolo ebraico: più la situazione sembrava andare bene, più infatti Geremia annunciava sventure, calamità, invasioni straniere, motivate dal fatto che la vecchia e santa alleanza con Yahweh era stata tradita e l’unico Dio era stato spesso messo in rivalità con altre divinità provenienti dai paesi limitrofi, soprattutto da quelle fenice come abbiamo avuto già modo di vedere.

Le mille persecuzioni

Il messaggio di Geremia diventò così fastidioso che molti tentarono addirittura di ucciderlo, ritenendolo un disfattista che minava il morale della nazione, e anzi le persecuzioni nei confronti del profeta diventarono più forti quando, paradossalmente, una qualche minaccia si affacciò davvero all’orizzonte.

All’inizio del VI secolo, infatti, il re babilonese Nabucodonosor II varò una politica espansionista che poteva interessare anche la Giudea, ma pure a quel punto pochi vollero dare ascolto a Geremia.

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Quando gli ebrei furono sconfitti e deportati come schiavi a Babilonia, Geremia fu lasciato vivo a predicare tra le rovine di una Gerusalemme ormai distrutta. Il profeta non si diede comunque per vinto, né penso che il suo compito fosse concluso; per questo alcuni suoi denigratori lo rapirono e lo portarono in Egitto dove, secondo la tradizione, fu lapidato dai suoi stessi connazionali che non ne potevano più dei suoi rimproveri.

 

5. Daniele

Dalla fossa dei leoni ad annunciatore di Cristo

Concludiamo il nostro percorso all’interno dell’Antico Testamento con Daniele, un profeta che abbiamo scelto all’interno di una schiera interessante e nutrita di visionari interpreti del volere divino essenzialmente per due motivi: da un lato per le sue caratteristiche personali che lo distanziano da molti altri “colleghi”, caratteristiche e conseguenti annunci che, come vedremo, hanno interessato molto anche il cristianesimo; dall’altro, per le dispute storiche di cui si è involontariamente reso protagonista.

Partiamo da quest’ultimo punto: i più recenti studi dei biblisti hanno infatti dimostrato che il Libro di Daniele, la fonte dalla quale si ricostruisce tutta la vicenda del profeta, non è stato scritto nel V secolo a.C., cioè quando Daniele sarebbe vissuto, ma nel II, in epoca ellenistica, e andrebbe quindi letto come un libro più apocalittico (genere che proprio in quell’epoca fiorì) che profetico e frutto di una serie di tradizioni che si rifanno forse ad alcune figure mitiche o leggendarie.

Il profeta Daniele

Che le cose stiano proprio così o che gli storici debbano ancora indagare meglio, poco importa, visto che la figura di Daniele è interessante a prescindere.

Deportato ancora molto giovane a Babilonia come esito di quell’invasione che abbiamo appena descritto parlando di Geremia, il profeta da un lato stupì i babilonesi per la sua intelligenza, finendo per essere messo a servizio diretto di Nabucodonosor, dall’altro si rifiutò sempre categoricamente di adorare le divinità locali e rinunciare alla sua religione monoteista.

Alla corte di Nabucodonosor

In terra straniera fece fortuna grazie alla sua capacità di interpretare i sogni di Nabucodonosor, e la sua fama non diminuì neppure quando la città fu invasa da altre popolazioni, tanto è vero che finì pure a servizio del re persiano (forse Ciro II).

Proprio per questa sua influenza sulle varie corti, subì le trame dei suoi nemici, che per ben due volte riuscirono a farlo cacciare nella fosse dei leoni, anche se inutilmente: in entrambi i casi (ma potrebbe essere anche il medesimo caso narrato due volte e con accezioni diverse) il profeta infatti si salvò grazie all’intervento divino, che impedì alle bestie di attaccarlo.

Particolarmente importanti, come anticipato, sono per i cristiani anche due passi del suo Libro: il primo è quello in cui si parla del Figlio dell’Uomo, titolo che poi Gesù avrebbe fatto proprio; il secondo è la profezia delle 70 settimane (il «70 volte 7» citato ancora una volta pure nei Vangeli) secondo la quale, una volta ritornato dalla cattività babilonese, il popolo ebraico avrebbe dovuto espiare le proprie colpe per 70 settimane prima dell’avvento del Messia.

E, secondo una vecchia interpretazione cattolica ripresa anche di recente, se quelle 70 settimane non fossero state composte da giorni, ma da anni, si arriverebbe a 490 anni dopo il ritorno da Babilonia, periodo piuttosto vicino alla effettiva nascita di Cristo.

 

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