Cinque grandi quadri della pittura metafisica

Piazza d'Italia (1913) di Giorgio de Chirico, uno dei capolavori della pittura metafisica

Il primo Novecento, soprattutto dall’inizio fino agli anni ’20, è stata l’età delle avanguardie artistiche. Nuove scuole nascevano e proliferavano, sulla base di manifesti rivoluzionari, che proponevano un diverso approccio stilistico, metodologico e ideale all’arte, rigettando spesso completamente il passato.

Queste avanguardie avevano varie origini e portarono ad esiti spesso diversissimi, anche se non è difficile individuare dei motivi ricorrenti. Uno di questi è la città di Parigi, centro nevralgico dell’arte del periodo. Un altro è la presenza costante dei pittori di alcune ben precise nazionalità, che sembravano essere più pronte (o obbligate) a questa “rivoluzione artistica”. Tra queste, un ruolo rilevante bisogna darlo anche a quella italiana, che seppe contribuire in maniera decisiva allo sviluppo delle arti in quel periodo.

Dal futurismo alla metafisica

Certo, ci stiamo riferendo al futurismo, che fu sicuramente la principale avanguardia italiana, ma non solo ad esso. Anche, ad esempio, la pittura metafisica ebbe un ruolo fondamentale e spesso sottostimato. Creata dai fratelli Andrea (con lo pseudonimo di Alberto Savinio) e Giorgio de Chirico nei primi anni ’10, si sviluppò tra la Francia e l’Italia negli anni della Grande guerra, trovando terreno florido soprattutto a Ferrara.


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In realtà, come avanguardia in sé, ebbe vita piuttosto breve. Molti dei pittori che aderirono alle idee di de Chirico si orientarono già negli anni ’20 verso altri lidi, e lo stesso pittore sperimentò negli anni nuove forme. Ma quella pur breve stagione fu di notevole influenza ad esempio per il surrealismo, che sarebbe nato di lì a poco, riprendendo alcuni dei temi cari all’avanguardia italiana. Ripercorriamo dunque i dettami di questa corrente tramite cinque opere fondamentali di cinque diversi autori italiani.

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Giorgio de Chirico – Piazza d’Italia

L’inquietudine della classicità

Piazza d'Italia (1913) di Giorgio de Chirico, uno dei capolavori della pittura metafisicaCome detto, Giorgio de Chirico fu il primo e per certi versi il più grande pittore metafisico. Per rappresentarlo in questa cinquina avremmo potuto utilizzare varie opere, da L’enigma di un pomeriggio d’autunno, che è considerato il primo vero quadro metafisico, a Le muse inquietanti, forse il suo lavoro più celebre. Abbiamo però scelto Piazza d’Italia, del 1913, che è una sorta di riassunto di tutte le dottrine metafisiche.

L’opera fu realizzata a Parigi, dove de Chirico rimase fino all’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, ed è oggi conservata a Toronto, in Canada, presso l’Art Gallery of Ontario. La scena, immobile e più morta che viva, è quella di una tipica ma irriconoscibile piazza del belpaese, come spesso de Chirico ne rappresentò in quegli anni.

C’è un equilibrio decisamente rinascimentale, riconoscibile nelle proporzioni degli edifici e nell’eleganza delle architetture, come anche nella statua classica al centro della scena. C’è, però, anche la tipica distorsione dovuta dalla presenza di vari punti di fuga non coincidenti, da un clima di morte, contrassegnato anche dal colore del cielo.

Immobili nel tempo

Poco importa che sullo sfondo si veda un treno che emette la sua bella nuvola di fumo, o che sulla sinistra – cosa rara nelle opere di de Chirico – siano presenti due uomini che si stringono la mano. L’idea non è quella di cose vive, in movimento, che mutano nel tempo, ma di immagini immobili, statue quasi, eterne e imperturbabili.

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Carlo Carrà – La musa metafisica

La conversione nell’ospedale di Ferrara

"La musa metafisica" di Carlo CarràCome abbiamo detto, la metafisica fu la seconda espressione della voglia di novità dei giovani pittori italiani. Qualche anno prima era infatti già nato il futurismo, promosso da Filippo Tommaso Marinetti, a cui avevano aderito vari artisti, come Umberto Boccioni e Giacomo Balla. Uno dei primi a incarnarne lo spirito fu anche il piemontese Carlo Carrà, autore di quadri decisivi per lo sviluppo della corrente come La stazione di Milano e I funerali dell’anarchico Galli. Proprio l’esperienza futurista, col suo mito della guerra, lo spinse a caldeggiare l’interventismo e ad arruolarsi volontario. Lo scontro con la dura realtà del conflitto, però, lo portò a meditare profondamente sulle sue scelte.


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Nel 1917 venne infatti ricoverato in un ospedale di Ferrara, nelle retrovie rispetto a dove si combatteva, per un problema nervoso. Come per molti altri che combattevano accanto a lui, la guerra gli era risultata insopportabile e ben diversa da come se l’aspettava. I mesi nell’ospedale ferrarese non furono però inutili: lì conobbe Giorgio de Chirico e Filippo De Pisis, che lo convinsero ad approcciarsi alla pittura metafisica.

La Prima guerra mondiale e l’irredentismo

L’adesione a questa nuova corrente durò solo qualche anno, ma produsse alcune delle opere migliori di Carrà, come La musa metafisica, in cui compare un manichino simile a quelli utilizzati da de Chirico, assieme però ad elementi diversi. Da notare la cartina geografica che mostra l’Istria di fianco al tricolore: Carrà – amico tra l’altro anche di Cesare Battisti – era infatti un irredentista ed era convinto della necessità di far tornare italiane Trento, Trieste, l’Istria e la Dalmazia. Un obiettivo che la guerra permise di raggiungere solo in parte.

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Giorgio Morandi – Grande natura morta

La breve adesione alla pittura metafisica

"Grande natura morta" di Giorgio MorandiMolto diverse sono, all’interno di questa cinquina, la figura e la personalità del nostro terzo pittore, Giorgio Morandi. Mentre de Chirico e gli altri si formavano nell’ambiente parigino e incameravano le esperienze artistiche di varie metropoli europee ed italiane, Morandi è infatti rimasto per tutta la vita legato alla sua città d’origine, Bologna. Pur informandosi e, almeno all’inizio, facendosi influenzare dalle grandi avanguardie, il pittore e incisore emiliano si legò per tutta la sua vita a una poetica delle cose semplici, come semplice e parca era la sua vita.

La sua adesione alla pittura metafisica durò pochissimo, lo spazio di pochi mesi, attorno alla fine della Prima guerra mondiale. Morandi era allora un pittore non ancora trentenne, che stava cercando quella strada che invece poi, dagli anni ’20, ne avrebbe contraddistinto tutta l’opera successiva. Infatti nella sua pittura metafisica già si intravede qualcosa dello stile che verrà. Come, ad esempio, in questo Grande natura morta del 1918, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera, a Milano.

Campiture, manichino, bottiglia

L’opera infatti mette in scena i vari elementi classici della corrente: le campiture uniformi di colore, il manichino, le figure geometriche semplici, l’atmosfera trasognata ed inquietante. C’è, però, anche qualcosa in più. Morandi non rappresenta una piazza o l’interno di una stanza, con oggetti più o meno classici, ma una bottiglia, una cilindrica, un parallelepipedo. Proprio la bottiglia, bianca e completamente anonima, sembra anticipare i quadri in cui Morandi rappresenterà ciottoli, appunto bottiglie, con tinte molto simili ma in un’ottica diversa, realistica e più personale. Ma quella sarà un’altra stagione.

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Mario Sironi – Periferie

Il dopoguerra e il fascismo

"Periferie" di Mario SironiSpostiamoci un po’ più avanti con gli anni, entrando nel decennio successivo. Un decennio in cui la pittura metafisica cominciò ad evolvere, o ad essere approcciata da artisti che prima la facevano propria e poi la portavano verso altri lidi. Questo fu più o meno il percorso intrapreso anche da Mario Sironi, pittore sardo di nascita ma romano d’adozione. Formatosi all’interno delle atmosfere divisioniste, aderì, soprattutto grazie all’influenza dell’amico Umberto Boccioni, al futurismo, firmandone vari manifesti.

La sua adesione allo stile inaugurato da de Chirico è databile subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, a cui prese parte fino alla fine. Periferie è il suo quadro più famoso ed emblematico del periodo, in cui si percepisce certo l’influenza dei predecessori ma si avverte anche un sentimento nuovo, un’inquietudine che non è più enigmatica, ma che ha radici ben chiare. Non a caso il paesaggio non è più quello di una piazza rinascimentale, ma la moderna periferia urbana, sempre priva di esseri umani ma molto più concreta e attuale. D’altronde, il 1922, cioè l’anno in cui l’opera fu composta, è quello della presa del potere del fascismo, partito a cui Sironi aveva aderito già dal 1919.

Novecento Italiano

Poco dopo l’artista sarebbe stato uno dei principali promotori di un nuovo movimento, Novecento Italiano, che prendeva avvio proprio dall’estetica di de Chirico ma si orientava verso un più preciso recupero della classicità. Anche questa avanguardia, almeno nella sua forma del dipinto su tela, sarebbe stata presto superata negli anni ’30, a seguito della decisione di Sironi di dipingere sempre più murali, che gli permettevano di creare opere monumentali, dirette al popolo e spesso inneggianti all’ideologia fascista (anche se lontane dai toni della propaganda).

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Filippo De Pisis – Le cipolle di Socrate

Più poesia che metafisica

"Le cipolle di Socrate" di Filippo De PisisConcludiamo con un pittore decisamente più giovane (era nato nel 1896), ma che conobbe e fece in un certo senso da collante tra tutti i più grandi esponenti della pittura metafisica. Filippo De Pisis era infatti ferrarese e proprio nella sua città natale, in occasione dell’entrata in guerra dell’Italia e dell’allestimento, lì, dell’ospedale militare, ebbe modo di conoscere de Chirico, suo fratello Savinio e Carrà, che avevano tra gli 8 e i 15 anni più di lui.

La gioventù però non fermò De Pisis nel suo percorso pittorico, anche se effettivamente le sue opere metafisiche più mature arrivarono relativamente tardi, quando il movimento era in parte sorpassato. D’altro canto, il pittore ferrarese aderì più con le idee che con le effettive opere pittoriche, perché nei suoi quadri l’influenza di Carrà e de Chirico viene mitigata parecchio dagli interessi personali e da una visione molto originale del mondo. In primo luogo, i soggetti raramente sono ritratti nelle piazze cittadine o nei paesaggi urbani, ma più spesso si tratta di marine, di nature morte, di scorci paesaggistici.

Le marine

Ma poi – e in Le cipolle di Socrate lo si nota bene – l’inquietudine cede qui il passo a una sorta di assurdità poetica. Il tratto è volutamente vago, distantissimo dalla precisione di de Chirico. La classicità è richiamata dalla statua e nella figura di Socrate, ma è una classicità che ha perso il suo equilibrio formale, e serve piuttosto ad evocare un’atmosfera, confermata dalla spiaggia d’intorno. È, insomma, quasi più poesia che metafisica, avviandosi verso una strada che De Pisis avrebbe sempre più fatto propria negli anni successivi.

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