
Un romanzo, anche un romanzo fortunato, ha in genere vita piuttosto breve. Viene venduto e letto per qualche anno, se è scritto bene viene citato in qualche testo scolastico e se ha successo ottiene una trasposizione cinematografica. E poi, presto o tardi, cade nel dimenticatoio, diventa un prodotto di un’epoca passata che si guarda più con l’occhio dello storico che non dell’appassionato.
Ci sono dei casi, però, in cui uno scritto riesce a travalicare i propri confini ed entrare nella tradizione, venendo ripreso in decine di opere derivate, sia legate alla cultura alta che a quella popolare. Nell’Ottocento, in particolare, questo destino è toccato a vari romanzi gotici, a storie di paura che, coi loro personaggi, sono riuscite ad entrare nell’immaginario collettivo e a diventare immortali. Vediamone cinque.
Indice
Il vampiro
John Polidori, Lord Byron e il tenebroso nobile che succhia il sangue dalle fanciulle
Il 1816 fu un anno memorabile, in negativo, per la storia europea e mondiale. Quello fu infatti il cosiddetto anno senza estate, molto più grave dell’estate solo un tantino piovosa che viviamo di tanto in tanto. Nell’aprile dell’anno prima infatti era eruttato il vulcano Tambora, in Indonesia. La polvere diffusa nell’atmosfera, assieme ad altre circostanze, fece abbassare notevolmente le temperature, provocando carestia, morte di bestiame e la prima diffusione del colera.
La cosa non lasciò indenni neppure gli aristocratici e i letterati. Nell’estate di quell’anno, infatti, un gruppo di intellettuali britannici recatosi a Ginevra – a Villa Diodati – per una sorta di vacanza fu costretto a passare tutta la stagione al chiuso a causa delle piogge incessanti. Si trattava di Lord Byron, della sua amante Claire Clairmont, della di lei sorellastra Mary Wollstonecraft Godwin e del suo futuro marito Percy Bysshe Shelley, oltre che del dottor John Polidori, medico e segretario di Byron.
Una sfida nata dalla noia
Annoiati, i cinque si misero a leggere storie di fantasmi in francese che erano disponibili in casa. Poco dopo, Byron lanciò una sfida: mettersi tutti a scrivere un racconto gotico e premiare poi il più bello. Mentre le produzioni di Byron e Shelley – che erano i due letterati del gruppo – furono poco significative, quello che scrissero Mary Shelley e John Polidori rimase nella storia della letteratura.
Partiamo dal secondo. Figlio di un politico italiano che era stato a sua volta segretario di Vittorio Alfieri e di una governante britannica, Polidori era nato a Londra nel 1795. Subito si era dimostrato uno studente prodigio, laureandosi in medicina già a 19 anni ed entrando poco dopo a servizio di Byron, di sette anni più vecchio di lui.
In quei giorni a Ginevra, partendo da un frammento di Byron stesso, Polidori scrisse il racconto Il vampiro. Riprendendo alcuni temi folcloristici, creò così la figura del moderno vampiro delle storie dell’orrore, cioè un aristocratico tenebroso e affascinante che seduce le belle e giovani ragazze e poi le uccide dissanguandole.
Un mostro modellato su un poeta
La storia, che si dipana tra Londra, Roma e la Grecia, ha per protagonisti il giovane e ingenuo Aubrey e Lord Ruthven, il vampiro, che Polidori modellò in gran parte sulla figura di Byron stesso. Da lui prese infatti il fascino sul mondo femminile, ma anche le peregrinazioni in giro per l’Europa.
Il medico scrittore però non fu fortunato. La storia all’inizio venne erroneamente pubblicata con la firma di Byron. Quando fu ristabilito che Polidori ne era il vero autore, questo comportò un divieto per il dottore di intraprendere la carriera ecclesiastica, che stava cercando di abbracciare dopo aver lasciato Byron. Provò di nuovo a scrivere – questa volta un poema, The Fall of the Angels – ma cadde in depressione e morì, forse suicida, nel 1821.
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Frankenstein
Lo scienziato, la sua creatura, la paura e Mary Shelley
Come detto, a Villa Diodati nell’estate del 1816, era presente anche Mary Wollstonecraft Godwin. Cioè la figlia di Mary Wollstonecraft e William Godwin, nonché futura moglie di Percy Shelley. Cioè la donna che sarebbe diventata celebre nell’ambiente letterario col nome da sposata di Mary Shelley.
Anche lei partecipò alla piccola gara indetta da Byron, elaborando il nucleo di quello che sarebbe poi, su incoraggiamento del marito, divenuto uno dei romanzi fondamentali di tutta la letteratura gotica, Frankenstein.
Una storia romantica
La storia, prettamente romantica, si proponeva come una riflessione sui limiti della scienza e sulla sua sfida lanciata alla natura. Una riflessione fortemente influenzata dal marito, sul quale venne modellato il personaggio principale del romanzo. Il libro, sviluppato tramite una forma epistolare e brani di diario, veniva narrato dal giovane Robert Walton, un ricco esploratore che compiva un viaggio tra i ghiacci del Polo.
Qui si imbatteva prima in una figura mostruosa e poi nel sedicente dottor Victor Frankenstein di Ginevra, che gli raccontava la sua vita. Studente modello, in seguito alla morte della madre aveva iniziato ad interessarsi alla filosofia naturale e soprattutto ai cadaveri, sperando di trovare un modo per ridare vita ai morti.
Pedinato dalla creatura
Per questo, in Germania era riuscito ad assemblare una creatura e a darle la vita, ma questa si era rivelata d’aspetto fisico mostruoso. L’esperienza aveva provocato la fuga del dottore e l’abbandono del mostro, che però aveva tenuto per sé il diario del medico.
Era partita così una caccia in giro per l’Europa, con Victor che si scopriva costantemente pedinato dalla sua creatura. Il mostro infatti non mancava di uccidere tutte le persone che venivano a contatto con lui, non per cattiveria ma semplicemente per il fatto che tutti reagivano con disgusto alla sua vista. D’altronde il mostro, possente fisicamente quanto emarginato, non riusciva ad integrarsi. Alla fine il dottore decideva di sbarazzarsi dell’uomo artificiale inseguendolo tra i ghiacci del Polo, ma non riuscendo nell’impresa moriva egli stesso, solo per venire poi pianto dal mostro stesso.
L’opinione ondivaga della critica
Il romanzo, pubblicato anonimamente nel 1818, fu inizialmente stroncato dai critici ma vendette molto bene. Alla sua seconda edizione, però, il nome dell’autrice fu rivelato e, complice il successo, la critica cambiò radicalmente opinione. Tutti elogiarono il testo e il fatto che fosse stato scritto da una donna in così giovane età (la Shelley era nata infatti nel 1797).
Da allora il mostro di Frankenstein – spesso, erroneamente, ribattezzato direttamente Frankenstein – è stato presentato in decine di film. Ma anche in adattamenti musicali, show televisivi, fumetti e videogiochi, diventando uno dei mostri più celebri della cultura occidentale.
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La leggenda di Sleepy Hollow
Washington Irving e la storia di Ichabod Crane
Come noterete proseguendo nella lettura della nostra cinquina, quasi tutti i personaggi che abbiamo citato appartengono alla letteratura inglese, che più di tutte nel corso dell’Ottocento si è avvicinata allo stile gotico. E più di tutte ha fornito materiale, nel secolo successivo, per il cinema e la TV, che hanno contribuito a cementare nell’immaginario certe figure e certi drammi.
Ciononostante, qualche esperimento fruttuoso nell’ambito gotico venne effettuato anche in altri paesi. Basti citare Il fantasma dell’opera del francese Gaston Leroux (che comunque fu scritto nel primo ‘900) e La leggenda di Sleepy Hollow dell’americano Washington Irving.
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Parliamo, in particolare, di quest’ultima opera. Pubblicata nel 1819, in contemporanea coi due racconti di cui abbiamo già parlato, la novella fu scritta da Irving mentre si trovava a Birmingham, in Inghilterra, ma fu ambientata una cinquantina d’anni prima in una colonia olandese nell’attuale stato di New York.
Protagonista ne era Ichabod Crane, un maestro di scuola elementare del Connecticut che si innamorava della giovane Kathrina Van Tassel. Su di lei aveva però messo gli occhi anche un certo Abraham “Brom Brones” Van Brunt, un forzuto olandese che non mancava di deridere il mingherlino e timoroso Ichabod.
Inseguito da un fantasma
Dopo una festa, il maestro, tornando verso casa, prima perdeva la sella del suo cavallo e poi si ritrovava inseguito da un leggendario fantasma della zona. Lo spettro era quello di un cavaliere dell’Assia che era stato decapitato da un colpo di cannone durante la Guerra di Indipendenza e che da allora vagava per i territori alla ricerca della sua testa. In un crescendo di paura Ichabod si sentiva alla fine colpito dalla testa del cavaliere.
I soccorritori, la mattina dopo, trovavano solo il cappello del maestro e una zucca, mentre di Crane non c’era più traccia. La novella si concludeva con il racconto di un conoscente che, tempo dopo, diceva di aver incontrato Ichabod a New York, ricco e felice. Il tutto lasciava intuire che l’attacco del cavaliere senza testa fosse solo uno scherzo di cattivo gusto giocato al maestro da Brom Brones e dalla sua banda.
Anche in questo caso, grazie soprattutto al fatto di essere una delle poche storie gotiche tradizionali americane (Edgar Allan Poe a parte), il racconto ha avuto una grande fortuna anche in altri mezzi espressivi. Vari sono i film che raccontano e attualizzano la storia, tra cui si segnalano il disneyano Le avventure di Ichabod e Mr. Toad del 1949 e Il mistero di Sleepy Hollow diretto da Tim Burton nel 1999. E il soggetto è stato recentemente ripreso pure in una fortunata serie televisiva.
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Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde
I meandri della psiche umana secondo Robert Louis Stevenson
Ritorniamo in Inghilterra, ma stavolta spostandoci verso la fine del secolo, con Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, celebre romanzo di Robert Louis Stevenson pubblicato nel 1886. Il passaggio di una cinquantina di anni rispetto ai libri con cui abbiamo aperto il nostro elenco ovviamente influenzò anche la natura del nuovo romanzo.
Se prima, infatti, le storie erano tutte contrassegnate da un alone romantico – che rivalutava fortemente il fascino della storia passata e si fondava sul perenne e titanico scontro tra l’uomo e la natura –, ora iniziava a diventare centrale il tema positivistico degli effetti della scienza sull’uomo. Un tema già affrontato da Mary Shelley ma che qui diveniva ancora più espressivo e drammatico perché investiva anche la psiche umana. Il romanzo infatti può essere letto come un’anticipazione di quell’indagine psicanalitica che Freud avrebbe fatto emergere di lì a pochi anni.
Sprigionare la parte più animalesca di sé
La storia è quella del dottor Jekyll, uno stimato scienziato che riesce a creare un composto che, una volta bevuto, sprigiona la parte più sepolta della sua stessa psiche. Così la parte più animalesca e crudele di lui prende possesso del corpo del dottore – portandolo anche a modificarsi fisicamente, ringiovanendo ma insieme ingobbendosi e diventando più minaccioso – e si dà a una serie di malefatte. Almeno fino a quando una nuova assunzione del liquido non gli permette di ritornare ad essere la persona rispettabile di sempre.
Quando agisce in preda alla sua parte malvagia, però, l’uomo finisce per destare le attenzioni di una serie di amici e in particolare dell’avvocato Utterson. Questi è insospettito anche dal fatto che il testamento di Jekyll lasci tutti i suoi averi, in caso di morte o di scomparsa, a un essere così ripugnante come Hyde.
L’impossibilità di salvarlo
Tramite una serie di indagini – e la morte di alune persone importanti, tra cui il comune amico Lanyon – Utterson arriva alla fine ad apprendere il misterioso segreto di Jekyll. Non riesce però a salvarlo dal suicidio a cui egli stesso si era condannato, ormai incapace di reprimere la propria parte malvagia.
Il romanzo ha avuto, com’è noto, un enorme successo, dovuto al suo sapiente dosaggio di giallo, thriller ed horror. Ma era interessante soprattutto per la sua analisi – in anticipo sui tempi – dei meandri oscuri della psiche umana. E del dissidio (ben descritto in quegli stessi anni anche da Oscar Wilde) tra morale vittoriana e aggressività sepolta.
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Dracula
Vampiri e cacciatori nel romanzo di Bram Stoker
Concludiamo, infine, con Dracula, forse la più famosa tra le storie di paura, scritta da Bram Stoker e pubblicata in Gran Bretagna nel 1897. Il romanzo riprende la storia del vampiro già delineata da John Polidori ottant’anni prima, consegnando al mito gli ultimi ma importanti dettagli sulla figura del terribile succhiasangue.
Il romanzo dell’irlandese Stoker infatti collega l’immagine del vampiro per la prima volta a quella del Conte Dracula, un personaggio ispirato a Vlad III Dracula detto l’impalatore, principe di Valacchia nel XV secolo. L’uomo, d’altronde, si prestava benissimo all’accostamento, visto che era noto in Romania come un sovrano forte ma crudele. Il suo stesso nome era un patronimico che significava “figlio del drago” e derivava dal fatto che il padre era stato membro di quell’Ordine del Drago che difendeva il cristianesimo, ma poteva essere tradotto anche come “figlio del demonio”.
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Il libro è narrato ancora una volta attraverso lettere e brani di diario di vari protagonisti della storia. Partiva col viaggio in Transilvania del giovane Jonathan Harker, un avvocato incaricato di mettersi in contatto con un nobile locale, il Conte Dracula appunto, intenzionato all’acquisto di una abitazione a Londra. Ospite del conte, il giovane iniziava pian piano a sospettare che le dicerie della popolazione locale nei confronti del conte non fossero del tutto infondate, fino a quando non si vedeva minacciato in prima persona dall’anziano ospite.
Dalla Transilvania all’Inghilterra
Con un salto temporale ci si spostava quindi in Inghilterra, dove la vita di una serie di amici di Jonathan – la fidanzata Mina, la sua amica Lucy, e i suoi tre spasimanti, cioè il dottor John Seward, il texano Quincey P. Morris e il nobile Arthur Holmwood – veniva sconquassata dall’arrivo proprio di Dracula. Un uomo che non si mostrava mai in maniera chiara ma la cui presenza era drammaticamente evidente.
Per questo Seward chiamava in Gran Bretagna il suo vecchio maestro, l’olandese Van Helsing. L’uomo si dimostrava molto esperto sull’argomento e iniziava a piantare paletti di legno sul cuore delle vittime del vampiro, per evitare che esse stesse si trasformassero in altri vampiri e mettessero a repentaglio la vita nei villaggi d’intorno.
La caccia al conte Dracula
Recuperato poi anche Jonathan, che si era salvato ma era a Budapest, il composito gruppo di amici si metteva a dare la caccia al conte. Lo inseguiva così prima su suolo inglese e poi su quello bulgaro, anche perché nel frattempo Lucy moriva e Mina veniva vampirizzata.
Dopo una lunga caccia all’uomo, Van Helsing e compagni riuscivano finalmente a ridurre in polvere il mostro, salvando Mina ma non Quincey Morris. Questi infatti moriva nell’impresa, ma – a parziale compensazione – il suo nome veniva dato, tempo dopo, al figlio di Mina stessa e Jonathan.
Se insomma il racconto di Polidori era stato il primo (assieme a una novella di Goethe) a riprendere la storia popolare del vampiro e ad inserirla nel filone della letteratura gotica, il romanzo di Stoker fu quello che delineò definitivamente il mito. Legandolo alle tradizioni dell’Europa Orientale e alle sanguinose lotte tra cristiani e musulmani, e creando anche la figura del cacciatore di vampiri.
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