Cinque importanti fasi della storia del Portogallo

Ci sono paesi di cui conosciamo la storia praticamente a menadito. Per questioni di alleanze, influenze politiche e ruolo di preminenza nella storia europea, tutti i nostri studenti studiano le vicende della Francia, della Gran Bretagna, della Germania e dell’Austria. Altri paesi, invece, compaiono nei nostri libri solo per brevi periodi, quando entrano prepotentemente nella storia, e poi spariscono.

Questo è anche il caso del Portogallo, paese di cui viene ben descritta la lunga fase in cui fu protagonista delle esplorazioni geografiche, ma poco altro. Eppure la storia di questo paese è interessante e frastagliata. Abbiamo isolato i cinque periodi forse più rappresentativi, dalla sua unità ai giorni nostri.


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1. L’indipendenza nel 1143

La nascita dello stato portoghese

Nell’età antica il Portogallo non era un’entità separata, ma costituiva un tutt’uno con l’attuale Spagna. I germi di una prima differenza che si sarebbe poi evoluta fino all’indipendenza si possono individuare dopo la conquista araba.

Nell’ottavo secolo, infatti, le popolazioni nordafricane si spostarono, tramite lo stretto di Gibilterra, nella penisola, cacciando senza troppe difficoltà gli eredi dei visigoti. Dopo più di un secolo, nell’868, il conte Vimara Peres riuscì però a riconquistare un territorio relativamente ampio, che chiamò Contea Portucale.

Alfonso I, primo re del Portogallo

Non era ancora uno stato autonomo, ma le basi del futuro regno erano gettate. Già nel 1065 arrivò la prima indipendenza formale, che però durò solo sette anni, visto che già nel 1072 la contea ritornò sotto il controllo del Regno di Castiglia.

I nobili e il clero delle città principali della zona continuavano a chiedere l’indipendenza, e i conti a proclamarla, senza però riuscire a dare seguito alle parole.

L’impresa di Alfonso I e l’aiuto del papa

L’impresa riuscì, infine, al futuro Alfonso I. Discendente dei Borgogna, il conte era nato a Guimarães nel 1109. Già nel 1128, in seguito alla Battaglia di São Mamede, si proclamò principe del Portogallo e undici anni dopo re.

Certo, non bastavano i proclami. A dare una mano all’aspirate sovrano ci pensò la Santa Sede, che perorò la causa portoghese e aiutò lo stato a nascere ufficialmente in seguito alla Conferenza di Zamora. La prima capitale fu la stessa Guimarães, sostituita poi da Coimbra. Lisbona divenne il centro del paese solo a partire dal 1255.

 

2. L’età delle scoperte

Da Enrico il Navigatore a Vasco da Gama

Alla metà del ‘200 il Portogallo aveva già dei confini molto simili a quelli attuali. Fu però solo tra il ‘400 e il ‘500 che divenne una delle principali potenze non solo a livello europeo, ma addirittura mondiale. I motivi per cui il Portogallo si gettò verso l’Oceano furono molti.

Uno, di grande rilievo, fu il fatto che i vicini regni di Castiglia e di Aragona spesso si ponevano con ostilità nei confronti dei lusitani, impedendo loro di commerciare col resto d’Europa. E visto che il Portogallo si trovava – allora come oggi – in un certo senso con le spalle al muro, l’unico modo per sopravvivere consisteva nel mettersi a navigare.

Le grandi navigazioni dei portoghesi

Il paese iniziò a commerciare così con l’Inghilterra e le Fiandre. La storia della cacciata dei mori aveva però alimentato nel paese il mito della conquista e i re spingevano quindi per colonizzare nuove terre.

Infine, un ultimo fattore rilevante fu l’immigrazione nel paese di alcuni matematici arabi, che fondarono delle scuole che avrebbero aiutato notevolmente i calcoli dei navigatori. La prima grande guida verso questa nuova politica fu Enrico il Navigatore, quintogenito di re Giovanni I.


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Non divenne mai sovrano, ma nel ruolo di infante di Portogallo guidò vari progetti e spedizioni, convincendo padre e fratelli dell’utilità delle imprese.

Tra l’Africa e il Sudamerica

Enrico esplorò per primo la rotta lungo le coste dell’Africa, tornandosene con i primi gruppi di schiavi e dando il via a un triste commercio che però sarebbe stato molto lucroso per le casse dello stato.

Vennero colonizzate anche le isole delle Azzorre e di Madera, che fornivano zucchero e vino, mentre i portoghesi fondavano o conquistavano vari porti lungo la costa africana. Altri progressi furono compiuti fino a quando, nel 1488, il navigatore Bartolomeo Diaz non doppiò il Capo di Buona Speranza, aprendo la via verso le Indie.

L'originale del Trattato di Tordesillas

Pochi anni dopo Cristoforo Colombo scoprì l’America e presto anche i portoghesi seguirono gli spagnoli nel viaggio verso ovest.

Per evitare scontri, con la supervisione di papa Alessandro VI le due superpotenze firmarono nel 1494 un trattato, chiamato di Tordesillas, con cui si spartivano le nuove terre. Sostanzialmente, al Portogallo toccava quello che sarebbe divenuto il Brasile. Inoltre, pochissimi anni dopo Vasco da Gama riuscì a completare il viaggio in India, portando a compimento gli sforzi che i portoghesi avevano fatto per vari decenni.

Verso la fine

La grande estensione dei domini portoghesi, però, aveva in sé già i germi della rovina. Il paese era piccolo e gli abitanti dell’epoca erano appena due milioni. Riuscire a mettere delle guarnigioni a controllare i vari porti che i portoghesi avevano fondato lungo la via per le Indie poteva essere molto difficoltoso.

Inoltre, la rotta trovata da Vasco da Gama era incredibilmente lunga e poco redditizia. Per il momento, però, l’entusiasmo fu maggiore del pessimismo, e nuovi esploratori portoghesi riuscirono ad arrivare perfino in Giappone.

Pochi anni dopo fu proprio un portoghese – Ferdinando Magellano – a tentare la prima circumnavigazione del globo, anche se finanziato dagli spagnoli.

 

3. Il declino dell’Impero

Sotto il dominio spagnolo

Il dominio portoghese dei mari era destinato a non durare. Il colpo più forte arrivò per questioni dinastiche. Nel 1578 il re Sebastiano morì infatti in battaglia (anche se il suo corpo non fu mai trovato, cosa che alimentò le teorie complottiste e gli aspiranti impostori).

Non avendo figli, fu nominato re suo zio, il cardinale Enrico, che però morì dopo pochi mesi. A questo punto l’erede di diritto diventava, per gli incroci e le parentele tipiche delle case regnanti, il sovrano di Spagna Filippo II.

Filippo II di Spagna ritratto da Tiziano

La sua salita sul trono portoghese fu osteggiata dalla nobiltà locale, che si mise in cerca di figli illegittimi discendenti di re Manuele I, ma di fatto il figlio di Carlo V invase il paese e si prese la corona nel 1580.

Per sessant’anni il Portogallo mantenne la propria autonomia formale, ma non poté varare politiche autonome. Questo minò, e di molto, gli affari. La Spagna dell’epoca era infatti una superpotenza, ma anche uno stato che si era inimicato tutta Europa.

Le navi e le colonie portoghesi venivano così costantemente attaccate dalle navi sia inglesi che olandesi, perdendo uomini, denaro e influenza politica.

Il ritorno all’indipendenza

Inoltre, mentre Filippo II aveva saputo col tempo lavorarsi la nobiltà locale, i suoi eredi avevano reso il Portogallo una mera provincia, assoggettata al Regno di Castiglia. La rivolta, complice anche il dissanguamento delle finanze statali, era inevitabile.

Nel 1640 il Duca di Braganza, un discendente del solito Manuele I, fu posto sul trono col nome di Giovanni IV, cosa che diede il via a una nuova Guerra d’Indipendenza. Nonostante gli spagnoli fossero ormai stati cacciati, questo conflitto durò fino al 1688, generando altra instabilità. Alla fine di quella guerra, la potenza portoghese era ormai tramontata.

 

4. La dittatura di Salazar

Dall’instabilità al fascismo

Il Portogallo, dopo un periodo di appannamento internazionale, ritornò al centro dell’attenzione europea nel Novecento. Il motivo di questa svolta è ricollegabile a una serie di eventi che non coinvolsero solo il paese iberico, ma tutta l’Europa, e che avrebbero trovato il loro massimo punto di conflittualità nella Seconda guerra mondiale.

Nel 1910, infatti, il Portogallo cambiò regime. Approfittando di un’aria nuova che si respirava in varie parti del vecchio continente, i repubblicani portoghesi riuscirono ad organizzare un colpo di stato e a prendere il potere. Il re, Manuele II, venne deposto e fu fondata la Repubblica.

António de Oliveira Salazar, dittatore portoghese

Una Repubblica che però ebbe una vita assai difficile. I rivoluzionari, infatti, si scagliarono con grande veemenza contro la chiesa cattolica e il suo potere, attirandosi l’ostilità sempre più forte dei settori conservatori. Inoltre diedero il via a una serie di omicidi politici che resero sempre più fragile il nuovo regime.

Così, dopo l’alternarsi di ben 45 governi in 16 anni e un altro paio di brevi colpi di stato, nel 1926 la Prima Repubblica cadde. António de Oliveira Salazar, un economista cattolico, prese rapidamente il potere e fondò uno “Stato Nuovo”, formalmente ancora repubblicano ma, di fatto, identificabile come una dittatura fascista.

Sul modello dell’Italia

Il Portogallo, insomma, si allineava alla strada intrapresa dall’Italia e che presto sarebbe stata seguita anche da Germania e Spagna. Il nuovo regime imitò spudoratamente la politica di Mussolini, introducendo il corporativismo, abolendo la libertà di stampa, i sindacati e i partiti, creando una polizia segreta e reprimendo ogni dissidenza.

A differenze del regime italiano, qui un peso particolare veniva comunque volutamente lasciato alla chiesa cattolica, alla cui dottrina economica Salazar si ispirava.

Durante la Seconda guerra mondiale il dittatore scelse di non entrare nel conflitto, nonostante la vicinanza ideologica con le potenze dell’Asse. Fu una scelta lungimirante.

La sua neutralità, unita anche a una certa collaborazione con gli angloamericani, gli avrebbe consentito dopo la guerra di rimanere al suo posto e di poter anzi contare sull’appoggio della NATO (di cui fu membro fondatore) in varie questioni di politica estera, soprattutto per le questioni coloniali. Salazar morì per cause naturali nel 1970, lasciando un regime ancora saldamente al potere.

 

5. La Terza Repubblica

La Rivoluzione dei garofani

L’ultimo grande momento della storia portoghese è piuttosto recente. Come detto, Salazar morì nel 1970, ma il suo regime gli sopravvisse. Il suo posto, d’altronde, era già stato preso da un paio d’anni da Marcelo Caetano, che non ripristinò le libertà come molti si aspettavano, né aprì a libere elezioni.

A complicare le cose c’erano varie guerre in atto. In Angola, in Mozambico e in Guinea vari movimenti popolari avevano dato il via alla rivolta contro i colonialisti e il regime faticava a controllare la situazione. Inoltre la comunità internazionale non vedeva di buon occhio l’uso della forza da parte dei portoghesi.

Murales che festeggia la Rivoluzione dei garofani (foto di Henrique Matos via Wikipedia)
Murales che festeggia la Rivoluzione dei garofani (foto di Henrique Matos via Wikipedia)

Furono proprio le forze armate, spossate da molti anni di guerra, a ribellarsi al regime. Gli ufficiali subalterni – di estrazione più popolare e di idee vicine alla sinistra – formarono il cosiddetto Movimento dei Capitani.


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Il progetto era quello di prendere rapidamente il potere, anche se l’instabilità portò al sovrapporsi di più tentativi di colpi di stato.

Il 25 aprile 1974 i militari diedero il via al piano definitivo, trovando subito l’appoggio della popolazione. Venne chiamata Rivoluzione dei garofani perché, secondo la leggenda, una fioraia quel giorno regalò garofani ai soldati, che li infilarono nelle canne dei fucili.

La riconquista della democrazia

Preso il potere, i militari sciolsero tutte le organizzazioni fasciste e ripristinarono le libertà democratiche. Dopo aver dato l’indipendenza alle colonie ed aver resistito ad alcuni tentativi reazionari di riprendere il potere, il nuovo regime riuscì ad indire le elezioni per la Costituente nel 1975.

Nonostante una prima vittoria delle forze di sinistra, non era chiara però la direzione che avrebbe preso lo Stato. La Costituzione che venne approvata impostava una democrazia pluripartitica, anche se parlava esplicitamente di un passaggio a un’economia socialista.

Alle prime elezioni politiche trionfarono proprio i socialisti, ma con gli anni la spinta della rivoluzione – complice anche la crisi del comunismo a livello planetario – andò esaurendosi. I riferimenti comunisti vennero così pian piano cancellati dalla carta per permettere l’ingresso del Portogallo nella CEE, che arrivò nel 1986.

 

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