Cinque importanti introduzioni di Italo Calvino

Italo Calvino da giovane

Un paio di giorni fa si sono festeggiati, su numerosi giornali e blog, i novant’anni dalla nascita di Italo Calvino, uno degli scrittori più importanti del nostro Novecento, capace di attraversare varie stagioni letterarie – dal neorealismo al fantastico fino anche all’avanguardia – e lasciando in ognuna un segno indelebile.

Anche noi volevamo in qualche modo ricordarlo, ma una cinquina dei suoi migliori libri ci sembrava ingiusta: da un lato avrebbe lasciato fuori tanti volumi importanti, dall’altro rischiava di raccontare cose già note a tutti e quindi di divenire scontata. E allora ci è venuto in mente che Calvino non fu solo un grande scrittore, ma anche un ottimo saggista e un consulente editoriale di prim’ordine per Einaudi e non solo. Perché non rivedere, dunque, cinque importanti introduzioni con cui Calvino presentò libri non scritti in prima persona?


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Introduzione a Fiabe italiane

Le favole come spiegazione generale della vita

Le Fiabe italiane curate da Italo CalvinoTutta la produzione di Calvino, almeno da un certo punto in poi, può essere letta come un’indagine sul mondo delle fiabe, dei loro stilemi narrativi e della loro struttura.

A confermare questa interpretazione è anche l’ampio lavoro critico che Calvino svolse sulle fiabe popolari e in particolare su quelle italiane, lavoro condensato nel 1956 nella raccolta Fiabe italiane pubblicata da Einaudi.

Nel volume, Calvino riprendeva e traduceva in italiano duecento favole delle varie regioni italiane, ponendo un’introduzione che è ancora oggi letta e studiata sia per la sua analisi letteraria che per la poetica di Calvino. Vi si legge, tra le altre cose, anche questo passo:

[…] io credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto: la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè d’essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste.

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Introduzione a Anabasi

Dalla Grecia alla Seconda guerra mondiale

L'Anabasi di SenofonteOltre che esperto di letteratura popolare e dialettale, Calvino fu un fine studioso dei classici, tant’è vero che si devono a lui vari inviti al recupero di quei libri «che non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire».

Tra questi, particolarmente efficace è la sua lettura dell’Anabasi di Senofonte, classica opera storiografica dell’antica Grecia che racconta della marcia dell’esercito dei Diecimila mercenari dalla Ionia fino a Cunassa, nell’attuale Iran, per combattere contro l’esercito persiano di Artaserse II, per poi battere in ritirata verso Trebisonda e il mar Nero, guidato, alla fine, proprio dallo stesso Senofonte, promosso generale.

Nel suo scritto introduttivo, Calvino proponeva un parallelismo interessante:

Come scrittore di azione Senofonte è esemplare; se lo confrontiamo con l’autore contemporaneo che più gli corrisponde – il colonnello Lawrence – vediamo come la maestria dell’inglese consiste nel sospendere come sottinteso all’esattezza tutta fatti della prosa un alone di meraviglia estetica ed etica attorno alle vicende e alle immagini; nel greco no, l’esattezza e la secchezza non sottintendono nulla: le dure verità del soldato non vogliono esser altro che le dure verità del soldato.
C’è sì un pathos dell’Anabasi: è l’ansia del ritorno, lo sgomento del paese straniero, lo sforzo di non disperdersi perché ancora finché sono insieme essi portano in qualche modo con sé la patria. Questa lotta per il ritorno di un esercito condotto alla sconfitta in una guerra non sua e abbandonato a se stesso, questo combattere ormai solo per aprirsi una via di scampo contro ex alleati, ed ex nemici, tutto questo avvicina l’Anabasi a un filone di nostre letture recenti: i libri di memorie sulla ritirata di Russia degli alpini italiani. Non è una scoperta di oggi: nel 1953 Elio Vittorini, presentando quello che doveva restare nel genere un libro esemplare, Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern lo definiva piccola anabasi dialettale. E difatti, i capitoli di ritirata nella neve dell’Anabasi […] sono ricchi di episodi che potrebbero essere scambiati di peso con quelli del Sergente.

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Nota del traduttore a I fiori blu

Una sfida e un’amicizia

I fiori blu di Queneau tradotti da CalvinoTra il 1967 e il 1980 Calvino visse con la famiglia a Parigi, città dove tra l’altro cinque anni prima aveva conosciuto sua moglie, Chichita Singer; tra gli intellettuali che qui frequentò, una posizione di rilievo merita Raymond Queneau, di vent’anni più vecchio e del quale in Italia era già stato importato qualcosa (ma non tutto: gli Esercizi di stile verranno tradotti da Umberto Eco solo nel 1983).

Giusto nel 1965, Queneau aveva dato alle stampe, presso Gallimard, I fiori blu, romanzo complesso sia a livello interpretativo che di linguaggio, che racconta in chiave spesso onirica il rapporto tra l’uomo e la storia.


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E nel 1967, confrontandosi spesso con lo stesso autore francese, Calvino fa pubblicare da Einaudi la sua traduzione che, come afferma nella nota finale, è quasi una ricreazione dell’opera:

Appena presi a leggere il romanzo, pensai subito: «È intraducibile!» e il piacere continuo della lettura non poteva separarsi dalla preoccupazione editoriale, di prevedere cosa avrebbe reso questo testo in una traduzione dove non solo i giochi di parole sarebbero stati necessariamente elusi o appiattiti e il tessuto di intenzioni allusioni ammicchi si sarebbe infeltrito, ma anche il piglio ora scoppiettante ora svagato si sarebbe intorpidito… È un problema che si ripropone negli stessi termini per ogni libro di Queneau, ma questa volta sentii subito che in qualche modo il libro cercava di coinvolgermi nei suoi problemi, mi tirava per il lembo della giacca, mi chiedeva di non abbandonarlo alla sua sorte, e nello stesso tempo mi lanciava una sfida, mi provocava a un duello tutto finte e colpi di sorpresa. Fu cosi che mi decisi a provare. Il problema era di rendere il meglio possibile le singole trovate, ma farlo con leggerezza, senza che si sentisse lo sforzo, senza creare intoppi, perché in Queneau anche le cose più calcolate hanno l’aria d’esser buttate lì sbadatamente. Insomma, bisognava arrivare alla disinvoltura d’un testo che sembrasse scritto direttamente in italiano, e non c’è niente che richieda tanta attenzione e tanto studio quanto rendere un effetto di spontaneità.

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Introduzione a Candido

Questione di ritmo

Il Candido di Voltaire, con una delle più famose introduzioni di Italo CalvinoNonostante si sia spesso occupato di questioni che lambivano il terreno della filosofia, toccando l’estetica, la semiotica, l’etica, Italo Calvino è sempre rimasto a mio parere un autore prefilosofico o afilosofico, nel senso che ha sempre preferito una dimensione evocativa e immaginifica alla riflessione pura e semplice che caratterizza la disciplina di Platone e Aristotele.

E tutto questo emerge in maniera ancora più netta nella sua introduzione al Candido di Voltaire, con una serie di riflessioni che si ritrovano anche nel volume Perché leggere i classici, dove ciò che conta non è, appunto, il contenuto filosofico, ma il ritmo comico della narrazione:

«Personaggi filiformi, animati da una guizzante mobilità, si allungano, si contorcono in una sarabanda di leggerezza graffiante»: così Paul Klee nel 1911 illustrava Candide di Voltaire, dando forma visuale – e quasi dire musicale – all’allegria energetica che questo libro – al di là del fitto involucro di riferimenti a un’epoca e a una cultura – continua a comunicare al lettore del nostro secolo.
Nel Candide oggi non è il “racconto filosofico” che più ci incanta, non è la satira, non è il prender forma d’una morale e d’una visione del mondo: è il ritmo. Con velocità e leggerezza, un susseguirsi di disgrazie supplizi massacri corre sulla pagina, rimbalza di capitolo in capitolo, si ramifica e moltiplica senza provocare nell’emotività del lettore altro effetto che d’una vitalità esilarante e primordiale.

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Introduzione a Teoria dei quattro movimenti

Il socialismo utopistico e l’illusione dei libri

Teoria dei quattro movimenti di Charles FourierCharles Fourier fu un socialista francese di discreto seguito nella prima metà dell’Ottocento; le sue dottrine, che lo fanno annoverare nella schiera dei socialisti utopisti, prevedevano la nascita di comunità (falangi) composte da 1800 persone basate sull’uguaglianza, sulla rotazione nei posti di lavoro e nella comunanza di partner e bambini, il tutto unito a forme di incentivazione della meritocrazia e a un complesso sistema di retribuzione basato anche su azioni e rendite.

Dopo anni di oblio, Fourier è stato com’è comprensibile riscoperto nel ’68, sia per i suoi discorsi sulla sessualità (fu il primo a parlare di “sessualità femminile”), sia per la sua utopia libertaria; e nel 1971 Calvino ne curò una raccolta di scritti, Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso, oggi fuori catalogo ma ancora recuperabile in biblioteca o in qualche mercatino dell’usato.

Una raccolta interessante anche per l’introduzione dello stesso Calvino:

Si direbbe che Fourier sia stato spinto a mescolare nelle sue pagine organizzazione sociale e copulazioni astrali per impedire che la sua parola fosse intesa in senso normativo. Ogni volta che il suo discorso sente la minaccia di venir preso alla lettera, ecco che dalle sue istruzioni pratiche per la falange si passa ai geroglifici vegetali e animali o alle dislocazioni dei biniversi o dei triniversi, e il lettore è obbligato a ricordarsi che quello che ha di fronte è un testo scritto, la cui efficacia non risiede nella sua illusione di trasparenza.

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1 COMMENTO

  1. E’ molto carina (e la scrivo perchè l’ho appena scoperta) quella riportata nella prefazione de “Il sentiero dei nidi di ragno”, che cito da Wikipedia (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Una_questione_privata_(Fenoglio)) perchè non ho letto (ancora?) nè quel romanzo nè “Una questione privata”, ma trovo che uno scrittore che scriva una cosa del tipo “E’ al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione, non al mio” sia di un’umiltà stupefacente.

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