Cinque importanti opere di Mascagni

Pietro Mascagni nell'età in cui le sue opere cominciavano a mietere successi

Ecco cinque importanti opere di Mascagni: vota la tua preferita.

 
A Pietro Mascagni sono dedicate vie e scuole di musica un po’ in tutta Italia. Pochi però, oggigiorno, sanno elencare anche solo i titoli delle sue opere più importanti. E i motivi di questa situazione un po’ paradossale sono molti. Il compositore livornese fu tanto amato in vita, anche a livello popolare, quanto dimenticato subito dopo la morte, osannato e subito dopo guardato con un certo sospetto.

Verismo, simbolismo, decadentismo, espressionismo

Questo cambio di prospettiva è in parte da imputare allo stesso Mascagni. Durante la sua carriera operistica, l’autore della Cavalleria rusticana abbracciò tendenze diverse, in modo in parte eclettico. Prima, grazie al successo della sua opera d’esordio, fu salutato come un compositore verista. Poi mostrò un’estetica decadente. Infine, le sue opere si fecero quasi espressioniste, abbracciando le varie tendenze dell’epoca.

Vissuto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, fece i conti anche con la storia e anche questo ha influito sull’oblio contemporaneo. Nonostante abbia preso la tessera fascista relativamente tardi, Mascagni fu infatti considerato un amico del regime, il più famoso tra i grandi operisti italiani ad aver aderito al fascismo e ad averne ricevuto, in cambio, onori e riconoscimenti. Anche per questo, quando morì appena dopo la fine della guerra, gli furono negati i funerali di stato e le celebrazioni furono condotte in tono minore.

Oggi, a più di 70 anni dalla sua dipartita, vale la pena però di fare il punto sull’attività di compositore di Mascagni. Individuando, nella sua produzione, cinque opere che ancora oggi meritano di sopravvivere al passare del tempo e ben rappresentano il suo stile e i suoi interessi. Eccole, a partire dal suo primo e più grande successo: Cavalleria rusticana.

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Cavalleria rusticana (1890)

Un esordio clamoroso

Non tutti sanno che a dare il la alla carriera di Pietro Mascagni fu un concorso indetto nel 1888. Il compositore toscano, che pure si era fatto in quegli anni conoscere negli ambienti milanesi, era allora considerato poco più che un giovane promettente, ma non aveva ancora avuto davvero un’occasione per mettersi in mostra. Destino, tra l’altro, comune ad altri grandi musicisti della sua generazione, come Giacomo Puccini, grande amico negli anni degli studi.

Il concorso era promosso dall’editore Edoardo Sonzogno, vero deus ex machina – assieme al rivale Giulio Ricordi – della scena musicale italiana di fine ‘800. Lui importava e traduceva gli spartiti che furoreggiavano in Francia (in particolare quelli di Bizet e Massenet), lui finanziava e faceva restaurare interi teatri. Lui, infine, pubblicava riviste popolari anche a grande tiratura (come il quotidiano Il Secolo, allora il più venduto d’Italia), che potevano sostenere i suoi investimenti in termini di pubblicità.

Anche per questo, il concorso di Sonzogno veniva rilanciato ogni anno e vi aveva partecipato qualche tempo prima, ma senza vincerlo, pure lo stesso Puccini. Il regolamento, riservato agli esordienti, prevedeva la realizzazione di un’opera in un atto unico. Mascagni, allora venticinquenne, venne a conoscenza del bando solo due mesi prima della scadenza, quando viveva in provincia di Foggia, dove aveva trovato lavoro come direttore della banda locale. Si rivolse allora a Giovanni Targioni-Tozzetti, coetaneo e concittadino, per la preparazione di un libretto da musicare.


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Targioni-Tozzetti, che insegnava letteratura all’Accademia Navale di Livorno, scelse di ispirarsi alla novella Cavalleria rusticana di Verga. Dopo un alacre lavoro condotto perlopiù per corrispondenza, l’opera fu completata e consegnata alla giuria nell’ultimo giorno utile. E venne selezionata tra le tre finaliste. Fu così rappresentata al Teatro Costanzi di Roma nel maggio 1890, venendo acclamata dal pubblico come la migliore tra le tre e conquistando la vittoria.

Da lì in poi l’opera ebbe un notevole successo anche in altre parti d’Italia e fece decollare la carriera di Mascagni. Più dal punto di vista del prestigio che da quello economico, in realtà. Giovanni Verga, che aveva rifiutato le offerte di Sonzogno per i diritti della sua novella, intentò infatti causa all’editore per plagio ottenendo il 25% degli introiti dell’opera. Mascagni si rifece però rapidamente con i lavori successivi e con la fama acquisita, grazie proprio a Cavalleria rusticana, anche a livello europeo.

L’intermezzo sinfonico

Dal punto di vista musicale, l’opera è celebre soprattutto per l’intermezzo sinfonico tra la VIII e la IX scena. Interamente basato sugli archi, ha avuto fin da subito un grande successo popolare, che non si è spento nel tempo. Basti pensare che oggi viene usato spesso per spot televisivi (Ferrero Rocher, Enel), in film e serie TV (celebre ne Il padrino – Parte III e Toro scatenato) e perfino in pezzi pop.

Infine, da notare che a teatro l’atto unico di Mascagni viene oggi quasi sempre rappresentato assieme a Pagliacci. Anche quest’ultima è un’opera breve dello stesso periodo (la prima è del 1892), ma non musicata da Mascagni. L’autore è infatti Ruggero Leoncavallo, che firmò anche il libretto. Quest’unione fu comunque approvata dallo stesso Mascagni e risulta particolarmente efficace vista la vicinanza stilistica tra i due lavori.

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L’amico Fritz (1891)

L’opera della conferma

Una moderna registrazione de L'amico Fritz di MascagniMentre Cavalleria rusticana suscitava entusiasmo in vari teatri italiani, Mascagni era già al lavoro per la sua seconda opera. Per realizzarla si affidò all’aiuto del librettista Nicola Daspuro, un agente teatrale e scrittore pugliese, terra che in quegli anni era diventata la patria adottiva di Mascagni. Nacque così L’amico Fritz, una commedia lirica in tre atti ispirata alla commedia omonima degli alsaziani Emile Erckmann e Alexandre Chatrian.

L’opera esordì nel 1891, un anno dopo il grande e inatteso successo di Mascagni, al Teatro Costanzi (oggi Teatro dell’Opera) di Roma. Quest’ultimo, d’altronde, era la base delle produzioni di Sonzogno, che aveva investito molto nel teatro romano con lo scopo di farlo rivaleggiare con la Scala di Milano. Tra i tanti brani che si rincorrono nei tre atti, merita una menzione il duetto “delle ciliegie” tra Fritz e Suzel (tenore e soprano) nel secondo atto, che già entusiasmò i primi ascoltatori.

I successi all’estero

L’opera ebbe un buon successo, che permise a Mascagni di rafforzare la sua fama a livello italiano ed internazionale. Già nel gennaio del 1892, a tre mesi dalla prima, approdava ad Amburgo, sotto la direzione di Gustav Mahler. Quattro mesi dopo veniva rappresentata a Londra, mentre nell’anno successivo varcò l’oceano e giunse fino in Australia. Viene oggi ancora rappresentata, anche se in maniera sporadica, in Italia e in qualche altro paese europeo (soprattutto in Germania).

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Iris (1898)

Il fascino del Giappone

Il manifesto di Iris di Pietro MascagniAi primi due successi seguirono, per Mascagni, anni di opere discretamente accolte dal pubblico, ma incapaci di ritornare al livello degli esordi. Il terzo lavoro importante, che merita di essere ricordato, arrivò infatti solo nel 1898, agli sgoccioli del secolo. Si trattava di Iris, un dramma in tre atti presentato ancora una volta al Teatro Costanzi di Roma. Un’opera che presentava vari elementi degni di nota.

In primo luogo, metteva da parte l’estetica verista, che aveva contraddistinto i primi lavori, e ne abbracciava una simbolista, più in linea col mutato gusto del pubblico e della letteratura del tempo. Inoltre, quello che stupiva maggiormente era l’ambientazione del dramma. Al centro non c’era infatti più l’Europa contemporanea, ma il Giappone, rappresentato come una terra di favola, esotica e sfuggente.


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Si trattava della prima significativa “fuga in Oriente” dell’opera italiana, che avrebbe ispirato – anche se con un successo e una qualità superiori – anche Puccini per la sua Madama Butterfly. L’idea di questa svolta è da imputare in particolare a Luigi Illica, l’autore del libretto, che aveva appena finito di realizzare proprio con Puccini La bohème.

Alla sua uscita, la rappresentazione venne duramente attaccata dalla critica, in parte anche per la carica di novità che portava nel panorama operistico. Fu però accolta con maggior interesse dal pubblico, sia a Roma che a Milano, dove venne diretta già nel 1899 anche da Arturo Toscanini. Tra i brani più celebri si segnala l’Inno del sole, coro iniziale che fu anche utilizzato come inno ufficiale delle Olimpiadi di Roma del 1960.

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Amica (1905)

Il ritorno al verismo

Il manifesto originale di Amica, opera di Pietro MascagniL’ultima grande opera realizzata prima della vecchiaia è a nostro modo di vedere Amica. Un’opera oggi pressoché dimenticata, anche se negli ultimi anni è stata ripresa in un paio d’occasioni, ed incisa su CD. Un’opera che ritornava parzialmente ai temi del verismo, visto che metteva in scena la storia di tre umili (due fratelli e una donna) che costituivano un classico – e tragico – triangolo amoroso.

L’opera in due atti venne composta da Mascagni per il mercato francese. Il libretto originale è infatti firmato da Paul de Choudens, che scelse di usare lo pseudonimo di Paul Bérel. E la prima rappresentazione si tenne nel marzo del 1905 al prestigioso Grand Théâtre di Monte Carlo, dove fu accolta dal favore sia del pubblico che della critica.

Con Targioni-Tozzetti

In Italia arrivò un paio di mesi più tardi, esordendo ancora una volta al Teatro Costanzi di Roma. L’adattamento del libretto in italiano fu affidato a una vecchia conoscenza di Mascagni, Giovanni Targioni-Tozzetti, che però da quasi una decina d’anni non produceva più materiale originale per il compositore (anche se spesso lo aiutava a rimaneggiare quello preparato da altri). I due sarebbero ritornati a collaborare a pieno titolo solo una ventina d’anni più tardi, per le ultime due opere di Mascagni, Pinotta e Nerone.

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Il piccolo Marat (1921)

Verso la fine

L'edizione Sonzogno de Il piccolo MaratChiudiamo la nostra cinquina con Il piccolo Marat, opera in tre atti che ebbe un notevole successo al suo arrivo sulle scene, nel 1921. Fu l’ultima opera che Mascagni scrisse prima di ritirarsi, parzialmente, dall’attività di compositore d’opera. Da quel momento in poi, infatti, iniziò a ricevere incarichi di prestigio e di rappresentanza, spesso affidatigli dal regime fascista, che lo tennero a lungo lontano dallo spartito.

Certo, ci fu qualche eccezione a questo “ritiro”. Ad esempio compose la sinfonia Il canto del lavoro, eseguita per la prima volta nel 1928, e scrisse le musiche per il film La canzone del sole, film italo-tedesco. Ma fino al 1932 non mise più mano ad opere liriche.

La ricerca di un personaggio secondario

Il piccolo Marat è quindi importante perché segnava la fine di una stagione assai proficua. Inoltre, coronava un lungo percorso di avvicinamento di Mascagni ai temi della Rivoluzione francese. In molti, negli anni, gli avevano proposto libretti sui grandi protagonisti di quella stagione (da Maria Antonietta a Charlotte Corday, l’assassina di Marat), ma Mascagni cercava un protagonista meno noto. Lo trovò nel principe di Fleury protagonista del libretto preparato da Giovacchino Forzano.

L’opera ebbe un discreto successo a Roma e fu portata in giro per il mondo, dove ormai il nome di Mascagni era molto conosciuto. In Sud America, in particolare, furono eseguite più di 450 rappresentazioni. Meno fortunata, però, fu la storia di questo lavoro negli Stati Uniti: qui doveva infatti giungere nel 1926, ma una serie di rinvii resero impraticabile la prima. Così la prima rappresentazione de Il piccolo Marat negli States è datata addirittura 2009.

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