Cinque indimenticabili frasi di Colazione da Tiffany

La famosa colazione da Tiffany nel film interpretato da Audrey Hepburn

Colazione da Tiffany è sicuramente uno dei film più amati di ogni epoca tra le commedie romantiche: l’interpretazione di Audrey Hepburn – non a caso nominata quell’anno sia per l’Oscar che per il Golden Globe, anche se superata in un caso dalla Sophia Loren de La ciociara e nell’altro dall’ormai poco nota Rosalind Russell – è entrata negli annali, ma anche il suo personaggio, quello della celebre Holly Golightly, continua ancora oggi a destare interesse.

Come probabilmente saprete, quella pellicola era basata su un romanzo omonimo, firmato da Truman Capote; romanzo anch’esso molto bello, ma solo in parte sovrapponibile alla sceneggiatura hollywoodiana: nel libro, infatti, il personaggio di Holly è molto più simile, per darvi un’idea, a una donna tipo Marilyn Monroe, che non a caso Capote voleva venisse scritturata per la parte; inoltre, manca del tutto il coinvolgimento romantico tra Holly e Paul, che fu inventato di sana pianta per rendere la pellicola più consona agli standard del genere (nel libro, infatti, si allude vagamente all’omosessualità del protagonista maschile, alter ego dello stesso Capote).

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Ciononostante, a livello di ritratto, film e libro si assomigliano molto, e d’altronde il centro gravitazionale di entrambi è proprio la figura di Holly, donna in fuga da se stessa, dal proprio passato e in fondo anche dalla miseria, per abbracciare un ideale di vita diverso, per quanto vacuo. Per questo abbiamo combinato assieme romanzo e sua riduzione cinematografica per trarre le nostre solite cinque frasi indimenticabili: eccovele.

 

Lei vi servirà merda su un piatto

Il linguaggio colorito del libro

Una delle differenze fondamentali tra il romanzo e il film si riscontra anche a livello di linguaggio. Il volume, uscito nel 1958 e quindi tre anni prima della pellicola, infatti non si risparmiava qualche espressione colorita ed è sicuramente più netto nel tratteggiare la figura di Holly, vista come una ragazza fragile e facile preda delle “paturnie”.

«Provateci, qualche volta. Fatevi dire da lei qualcuna delle cose in cui crede. E intendiamoci bene – continuò – mi è simpatica, la ragazzina. È simpatica a tutti, ma c’è anche moltissima gente che non la può sopportare. A me è simpatica. È simpatica davvero, la ragazzina. Sono sensibile, io, ecco perché. Bisogna essere sensibili per apprezzarla, bisogna avere una vena di poeta. Ma voglio dirvi la verità. Potete farvi a pezzi per lei, e lei vi servirà merda su un piatto».

La frase che vedete riportata qui sopra, che viene pronunciata da O.J. Berman e che introduce il personaggio a Paul, è infatti presente anche nel film, anche se edulcorata, ed è affidata all’interpretazione di Martin Balsam, grande caratterista formatosi all’Actors Studio, premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 1966 e visto anche in PsycoIl promontorio della paura.

 

Moon River

La canzone di Henry Mancini

Quando si pensa al film diretto da Blake Edwards, non si può non richiamare alla mente la canzone che ne costituiva l’elemento centrale della colonna sonora, la Moon River scritta da Henry Mancini per la musica e Johnny Mercer per il testo e poi premiata con l’Oscar. L’italoamericano Mancini, all’epoca, si era già guadagnato una nomination con La storia di Glenn Miller e aveva ben impressionato con la colonna sonora della serie tv Peter Gunn, sempre diretta da Edwards (per il quale, qualche anno più tardi, avrebbe anche creato il celebre motivetto de La Pantera Rosa); Mercer, invece, era un paroliere già ampiamente affermato, con due Oscar conquistati per Le ragazze di Harvey con Judy Garland e È arrivato lo sposo di Frank Capra.

Moon River / Wider than a mile / I’m crossin’ you in style / Some day / Old dream maker / You heart breaker / Wherever your goin’ / I’m goin’ your way / Two drifters / Off to see the world / There’s such a lot of world / To see / We’re after the same / Rainbow’s end / Waitin’ round the bend / My huckleberry friend / Moon River / and me.

La loro collaborazione – che sarebbe proseguita anche con I giorni del vino e delle rose, capace di fruttare ad entrambi un ulteriore Oscar – diede vita a una delle più belle canzoni della musica non solo cinematografica americana. Già nel libro Holly era solita cantare qualche brano alla chitarra mentre aspettava che le si asciugassero i capelli, ma Capote parlava di successi discografici di quegli anni o di arie tratte da musical famosi come Oklahoma!; Mancini e Mercer, invece, riuscirono a cogliere perfettamente lo spirito, la malinconia e le aspirazioni del personaggio in una nuova canzone che fu poi magnificamente eseguita da Audrey Hepburn.

 

Non amate mai una creatura selvatica

Holly e il suo primo marito, Doc

Un punto chiave della storia di Capote e del film di Edwards è il primo marito di Holly, Doc, che arriva a New York quasi all’improvviso, rivelando il passato della ragazza. Come ricorderete, infatti, il personaggio interpretato dalla Hepburn era in realtà stata in un certo senso adottata, assieme al fratello Fred, da un veterinario del Texas, che aveva finito per sposarla quando lei era ancora una ragazzina.

«Non amate mai una creatura selvatica, signor Bell – lo ammonì Holly –. È stato questo lo sbaglio di Doc. Si portava sempre a casa qualche bestiola selvatica. Un falco con un’ala spezzata. E una volta un gatto con una zampa rotta. Ma non si può dare il proprio cuore a una creatura selvatica; più le si vuole bene più forte diventa. Finché diventa abbastanza forte da scappare nei boschi. O da volare su un albero. Poi su un albero più alto. Poi in cielo. E sarà questa la vostra fine, signor Bell, se vi concederete il lusso di amare una creatura selvatica. Finirete per guardare il cielo».

Da semplice uomo di campagna, Doc è convinto che Holly – il cui vero nome è Lula Mae – abbia semplicemente preso una sbandata e possa presto ritornare a casa; ma la sua è una pia illusione, perché la donna è, per come si descrive lei stessa, una “creatura selvatica” che in quanto tale non può essere addomesticata.

 

Mettermi in gabbia

L’amore per Holly

Come detto, libro e film differiscono su alcune questioni. Ad esempio, Paul – il personaggio interpretato sul grande schermo da George Peppard – nel libro non è affatto mantenuto da una donna, e anzi si può intuire la sua omosessualità (non a caso, è il chiaro alter ego dello scrittore, Truman Capote, sulla cui figura è stato costruito più di recente anche un bel film con Philip Seymour Hoffman); per questo nel romanzo tra lui e Holly non sboccia affatto l’amore, ma si instaura piuttosto un rapporto di amicizia e di confronto tra pari. Le ultime due battute che abbiamo scelto, e che rivelano il finale “rosa”, sono pertanto tratte esclusivamente dalla pellicola.

– Non permetterò a nessuno di mettermi in gabbia.
– Non voglio metterti in gabbia, io voglio amarti.
– È la stessa cosa.

Nonostante siano un’aggiunta dello sceneggiatore George Axelrod, le battute funzionano molto bene e si adattano perfettamente al personaggio di Holly, segno che il film – per quanto abbia dovuto pagare dazio ai generi hollywoodiani consolidati – non fu un’operazione completamente irrispettosa dell’opera di Capote, cercando di preservarne lo spirito. Axelrod, professionista tra i più apprezzati dell’epoca, ottenne anche un Oscar in quegli anni per l’adattamento di Va’ e uccidi, altro romanzo di grande successo, ma toccò forse il suo punto più alto con la scrittura della commedia Quando la moglie è in vacanza, poi da lui stesso adattata – assieme a Billy Wilder – in un celebre film interpretato, quello sì, da Marilyn Monroe.

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Finirai sempre per imbatterti in te stessa

Il gran finale

Nel libro come nel film, Holly inizia una relazione con un politico brasiliano, José, con il quale pare in procinto di sposarsi. Nel romanzo, tra l’altro, rimane pure incinta, perdendo poi però il bambino a causa di un incidente a cavallo; in ogni caso, la prospettiva è quella di lasciare New York e trasferirsi in Brasile. Proprio quando è il momento di prendere l’aereo, Holly e Paul si confrontano, mentre sullo sfondo incombe la figura del gatto senza nome, che Holly ha ospitato per molto tempo in casa sua ma che ora è fuggito e che un po’, randagio com’è, la rappresenta.

Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.

Il film – pensiamo, data la fama della pellicola, di non rivelare nulla che non sia già noto – si conclude con un celebre bacio sotto la pioggia tra Peppard e la Hepburn, lasciando intuire che la ragazza abbia compreso la necessità di mettere in qualche modo radici e di non continuare a fuggire; nel libro, questo epilogo è totalmente assente: Holly prende l’aereo e parte effettivamente per il Brasile, nonostante José non intenda più sposarla. La speranza di Paul, e quindi di Capote, è che lei, come il gatto, abbia trovato comunque una famiglia in cui sentirsi in qualche modo a casa.

 

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