Cinque indimenticabili fumetti italiani degli anni ’70

I componenti storici del gruppo TNT, protagonisti delle storie di Alan Ford

A livello di fumetto italiano, ogni decennio ha delle caratteristiche ben identificabili. Gli anni ’50 sono stati dominati dal western, i ’60 divisi a metà tra avventura e (soprattutto verso la fine) impegno, gli anni ’80 hanno visto il trionfo di generi come horror e fantascienza. E i ’70? Sono stati in un certo senso l’ultimo decennio in cui il mondo dell’intrattenimento giovanile è stato dominato dai fumetti, prima che la TV e i videogiochi minacciassero il monopolio costruito dalle avventure disegnate. Un decennio in cui le tensioni politiche, però, entravano ovunque. Un decennio in cui si cercava proprio nel fumetto una via di fuga da una realtà che appariva come sempre più caotica.

Le edicole italiane erano, all’epoca, ancora dominate da prodotti nati nei decenni precedenti, o importati dall’estero. Tex era letto da quasi ogni ragazzino, e chi non lo leggeva si rifugiava in Zagor. Topolino e Diabolik si rivolgevano rispettivamente al pubblico più giovane e più maturo, mentre Linus accontentava gli intellettuali.

Infine, l’Editoriale Corno iniziava ad importare i supereroi della Marvel, mentre Bonvi finiva di impostare la “striscia all’italiana”. C’era spazio per qualcosa di nuovo?


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In effetti sì. Nacquero, negli anni ’70, alcuni fumetti molto interessanti, molti dei quali ci fanno compagnia ancora oggi. Alcuni sbarcarono in TV, come quelli di Gulp e SuperGulp! (su tutti, basti citare Nick Carter).

Altri rimasero confinati nelle edicole, ben nascosti agli occhi dei più piccoli, come i numerosissimi fumetti erotici. Alcuni altri, come vedremo, divennero quasi proverbiali. Scopriamo allora i cinque che, a nostro avviso, hanno segnato quell’epoca.

 

1. Alan Ford

La scalcinata squadra di spie

In realtà Alan Ford non è propriamente un fumetto degli anni ’70, visto che il suo primo numero uscì nel maggio del 1969. Le vendite, per tutti i primi due anni, furono però scarsissime, tanto è vero che l’editore fu più volte sul punto di chiudere il mensile.

Poi, a partire dal 1971, cominciarono a crescere, tanto che il giovane agente segreto e i suoi compagni del Gruppo TNT divennero forse i più importanti protagonisti a fumetti di quel decennio, o quantomeno i più popolari.

Alan Ford attorniato dagli altri protagonisti della serie

Creato da Max Bunker (alias Luciano Secchi) e Magnus (ovvero Roberto Raviola), Alan era il titolare della testata, ma la serie era decisamente corale. Vi si raccontavano in maniera grottesca le disavventure di una scalcinata banda di agenti segreti di New York, poveri e incapaci ma spesso – per pura fortuna – in grado di risolvere le situazioni.

Oltre ad Alan, grande rilievo avevano il rissoso Bob Rock, modellato sulle fattezze di Magnus, il ladro gentiluomo Conte Oliver, ispirato invece a Bunker, e il furbissimo Numero Uno, vero deus ex machina della banda.

Il dopo Magnus

Il connubio tra Magnus e Bunker durò fino al 1975, quando il primo decise di lasciare la testata per dedicarsi a progetti meno popolari e soprattutto dal ritmo lavorativo meno forsennato.

La testata però, che era in quel momento una delle più vendute d’Italia, continuò ad uscire grazie alle matite di Paolo Piffarerio. Dopo varie vicissitudini editoriali e cambiamenti nello staff, il fumetto continua ad uscire ancora oggi, sempre scritto da Max Bunker.

 

2. Lupo Alberto

La striscia di Silver

Alan Ford inventò – o, meglio, rinnovò – il formato pocket, virandolo verso il grottesco. Ma il formato per eccellenza del fumetto comico era, da sempre, la striscia.

Striscia che aveva cominciato ad arrivare anche in Italia da qualche anno, grazie da un lato a Linus, rivista che traduceva il meglio della produzione americana, e dall’altro alle Sturmtruppen di Bonvi, primo esempio nostrano.

Lupo Alberto in una delle sue prime strisce

Proprio dallo studio di Bonvi uscì Silver, al secolo Guido Silvestri. L’autore carpigiano, classe 1952, aveva iniziato a collaborare con Bonvicini non ancora maggiorenne, nel 1969, lavorando soprattutto su Cattivik (che poi Bonvi gli avrebbe “regalato”) e Nick Carter.

Nel 1974, ormai pronto per un prodotto proprio, creò la striscia di Lupo Alberto per il Corriere dei ragazzi. Una striscia con animali antropomorfi che però di disneyano aveva ben poco.

Gli altri personaggi

Alberto è infatti un lupo che tenta costantemente di assalire la Fattoria McKenzie. Il suo obiettivo non è, però, quello di azzannare una gallina, quanto di rapirla, portarla lontana dal cane Mosè, perennemente di guardia, e amoreggiare con lei. Attorno a questi tre primi personaggi, poi, gravitano altri protagonisti come il maiale Alcide, il papero Glicerina o il toro Krug.

Dopo i primi anni, infine, è emerso con particolare forza il personaggio di Enrico La Talpa, che a volte fa da semplice spalla ad Alberto ma in altre occasioni gli ruba letteralmente la scena.

 

3. Cipputi

Il disilluso operaio di Altan

Gli anni ’70 furono, probabilmente, il decennio più politicizzato del dopoguerra. Tutto era caratterizzato dalla politica: le discussioni tra amici, i film al cinema, le canzoni dei cantautori. Perfino, ovviamente, i fumetti.

E la dimensione principale che gli autori trovarono per portare avanti le loro idee fu quella della satira. Proliferarono, quindi, le vignette e le strisce, soprattutto quelle che, più esplicitamente di quanto non facessero Sturmtruppen, Lupo Alberto o Nilus, tentavano di ironizzare sull’attualità italiana.

Cipputi, l'operaio di Altan

Già nel 1970 Alfredo Chiappori aveva creato Up il sovversivo, seguito poi da Tullio Pericoli, Luca Novelli e molti altri. Due, però, furono i personaggi che ebbero maggior seguito: Cipputi di Altan e Bobo di Sergio Staino.

Se quest’ultimo però fece la sua comparsa solo nel 1979 e quindi è poco rappresentativo del decennio, l’operaio metalmeccanico creato da Francesco Tullio Altan iniziò ad essere pubblicato dal 1975. Lo stesso anno, tra l’altro, in cui l’illustratore trevigiano creò un personaggio completamente diverso, ma baciato da altrettanta fortuna: la Pimpa.

Specchio dell’Italia

Cipputi era un operaio disilluso, simile a quelli che popolavano l’Italia degli anni ’70 e a cui i giovani contestatari cercavano di rivolgersi. Non sempre riuscendoci. Perché Cipputi sapeva di essere sfruttato, ma non intendeva ribellarsi a quello sfruttamento se non con l’arma dell’amara ironia.


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Il suo sarcasmo era specchio di quell’Italia in cui la classe operaia era al centro dei discorsi di ogni parte politica, senza che quei discorsi si trasformassero però in cambiamenti concreti.

 

4. Ken Parker

Il western da un diverso punto di vista

In un’epoca di così grande rinnovamento culturale, in cui si dava grande peso ai diritti civili e politici, era inevitabile che il western classico andasse in crisi, sia al cinema che nel mondo del fumetto. Certo, Tex e Zagor continuavano a vendere parecchio, visto anche che fin dagli esordi erano stati a loro modo molto moderni e anticonvenzionali.

Ma si sentiva l’esigenza, anche nel fumetto seriale e popolare, di qualcosa di nuovo. Un primo tentativo era arrivano in casa Bonelli a metà anni ’70, col varo di Mister No, testata che era però ambientata nel Brasile degli anni ’50.

Ken Parker, l'eroe di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo

La vera svolta fu Ken Parker, che apparve nelle edicole nel 1977, edito da quella Cepim che sarebbe poi diventata la Sergio Bonelli Editore. Autori di quella serie erano due ragazzi liguri (di nascita e d’adozione), Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, che, influenzati dalla letteratura e dal cinema americani più recenti, crearono un antieroe destinato a un grande successo.

Parker era infatti un trapper che si trovava ad agire nel solito, selvaggio West, ma lo faceva con un’umanità tutta nuova. Amico degli indiani, vicino agli operai sfruttati delle prime fabbriche, capace di difendere gli afroamericani e gli omosessuali, Ken Parker era un uomo perfettamente calato nel suo tempo, ma capace di rappresentare le stesse aspirazioni e i valori dei ragazzi degli anni ’70.

Una storia editoriale complessa

La storia editoriale del personaggio fu particolarmente frastagliata. La serie in formato bonelliano uscì dal 1977 al 1984, quando chiuse per l’impossibilità di coniugare i ritmi imposti da un mensile alla qualità artistica a cui erano stati abituati i lettori.

Le storie del trapper continuarono su rivista, con cadenza più variegata, fino a quando nel 1992 non comparve il Ken Parker Magazine. La nuova collana sopravvisse fino al 1996, seguita poi da una breve serie di speciali semestrali.

 

5. Giuseppe Bergman

Il talento di Milo Manara

Come anticipato, una realtà non certo trascurabile del fumetto italiano degli anni ’70 fu quella delle pubblicazioni erotiche. In quel decennio, infatti, si moltiplicarono le riviste dai contenuti forti, spesso al limite della pornografia.

Era, in un certo senso, il segno dei tempi: la società si svecchiava e una serie di tabù crollavano di colpo. La qualità di queste riviste, però, era spesso molto bassa, sia a livello di disegni, sia soprattutto di sceneggiatura.

Giuseppe Bergman, l'antieroe di Milo Manara

Quelle pubblicazioni consentirono però a tanti giovani fumettisti di farsi le ossa. Uno di questi fu Milo Manara, oggi considerato un maestro a livello internazionale non solo del fumetto erotico. Nato in Alto Adige nel 1945, studiò tra Verona e Venezia, prima di esordire, appunto, nel settore con Jolanda de Almaviva, serie per adulti su cui rimase dal 1970 al 1974.

Chiusa quella collaborazione, trovò spazio nel fumetto per ragazzi e d’autore, prima collaborando con Mino Milani, poi con Silverio Pisu. Nel 1978, ormai maturo, creò il proprio personaggio più famoso e quello che è considerato il suo alter ego: Giuseppe Bergman.

Le situazioni paradossali

Le storie di questo giovane protagonista – apparse, con lunghe pause, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni Duemila – sono spesso esplorazioni nel fantastico. A Manara piace infatti giocare col medium del fumetto, mettendo il suo ingenuo personaggio in mezzo a situazioni paradossali, che infrangono a volte anche la cosiddetta quarta parete.

Così è anche nella prima, celebre avventura, H.P. e Giuseppe Bergman, che è anche un omaggio a Hugo Pratt, l’autore che una decina d’anni prima, sul finire dei ’60, aveva rivoluzionato il genere creando il personaggio di Corto Maltese.

 

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