Cinque tra le migliori storie della Marvel

I principali personaggi della Marvel, protagonisti delle sue migliori storie

Ecco le cinque migliori storie della Marvel secondo noi: vota la tua preferita e poi leggi l'articolo per scoprirne di più.

 
Seppur a volte abbia avuto nomi diversi, la Marvel Comics esiste fin dal 1939: 75 anni dunque di storie. Storie tra loro interconnesse, dove ciò che accade in un episodio di una serie può influenzare gli eventi di un’altra testata, secondo un meccanismo narrativo noto come continuity.

E all’interno di questo meccanismo, da alcuni a volte ritenuto limitativo, possiamo trovare delle pietre miliari della narrativa a fumetti. Ne abbiamo scelte cinque, in questo mare magnum di storie, senza avere la pretesa che siano per forza le migliori o quelle più indimenticabili. Tuttavia, sono senza alcun dubbio storie che hanno lasciato (e continuano a lasciare) un segno.


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L’ultima mano: Bullseye uccide Elektra

da Daredevil n.181, di Frank Miller

La copertina del n.181 di DaredevilFrank Miller rappresentò una rivoluzione, sia a livello grafico che narrativo, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Prima del suo arrivo, la serie di Devil era una delle meno vendute (e meno interessanti) della Marvel, ridotta ad una impietosa e anonima bimestralità.

Inizialmente Miller si limitò a disegnare, dal momento che le sceneggiature erano affidate a Roger McKenzie (anche se è quasi certo che ad un certo punto non si limitò solo a prestare le sue matite), ma a partire dal numero 168 divenne autore completo. E la testata tornò subito alla mensilità.

La crescita di Kingpin

Fu l’apoteosi: venne introdotta la ninja Elektra, una vecchia fiamma di Matt Murdock divenuta una spietata mercenaria, e recuperato quello che all’epoca era un nemico minore dell’Uomo Ragno, Kingpin, il quale da quel momento in poi divenne uno dei cattivi più memorabili dell’universo Marvel.

Miller non nascose le sue influenze grafiche, derivate anche dal fumetto europeo – qualcosa che all’epoca il cosiddetto Marvel Style faceva fatica ad accettare – e infuse nella serie anche echi della filosofia giapponese, così lontana dallo stile di vita americano. Quattordici numeri indimenticabili, che culminarono col 181, ovvero la storia The Last Hand.

Elektra, ribellatasi a Kingpin, viene attaccata da Bullseye: la coreografia del loro combattimento è spettacolare, non ha bisogno di dialoghi e si conclude tragicamente, con Bullseye che trafigge la ninja al petto, una immagine oggi iconica. Eppure Elektra trova la forza di strisciare sanguinante fino all’appartamento di Matt Murdock, dove muore tra le sue braccia.

L’apporto di Miller alla mitologia di Devil comunque non terminò qui, scrisse circa un’altra decina di numeri, per poi ritornare qualche anno dopo con un altro ciclo indimenticabile: Born Again, Rinascita.

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Capitan America si unisce ai Vendicatori

da Avengers n.4, di Stan Lee & Jack Kirby

La copertina del quarto numero di The Avengers, una delle migliori storie della MarvelLa Marvel Comics nacque ufficialmente nel 1961, ma come detto più sopra in passato era nota anche con altri nomi (Timely, Atlas), etichette con le quali aveva pubblicato numerosi fumetti supereroistici a sfondo bellico. Uno degli eroi più popolari di quell’epoca, la cosiddetta Golden Age, fu di sicuro Capitan America.

Stan Lee, che aveva scritto alcune storie pre-Marvel, rivitalizzò un personaggio della Golden Age, Namor, durante il suo ciclo di Fantastic Four e in breve si accorse che alcuni lettori di quell’epoca, pur essendo “cresciuti”, ora seguivano questa nuova avventura editoriale. E così, insieme all’altro deus ex machina di questo universo narrativo, Jack Kirby, recuperò il supersoldato per eccellenza.

Il ruolo di Namor, l’altro grande vecchio della Marvel

Fu proprio l’altro personaggio reduce della Golden Age, Namor, la causa scatenante: in preda ad una forte rabbia contro il genere umano, Namor approda su un isolotto abitato da Inuit, i quali adorano e rivolgono le loro preghiere a un “idolo nel ghiaccio” (sì, oggi una descrizione simile può apparire un po’ razzista, ma quelli erano altri tempi). Namor distrugge l’isolotto e scaraventa l’idolo in mare.

Il blocco di ghiaccio viene recuperato dai Vendicatori, i quali scoprono che l’idolo altri non è che Capitan America, miracolosamente ancora vivo dopo tutti questi anni. Wasp è la prima a capirlo con la celebre frase: «Non lo riconoscete? È il costume rosso, bianco e blu di Capitan America!».


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La storia rimane indimenticabile solo per questo particolare, poiché poi i Vendicatori affrontano la consueta minaccia aliena, più le orde di Namor, con Cap che alla fine decide di entrare nel gruppo. Stan Lee lo tratteggiò fin da subito come un uomo fuori dal suo tempo, reduce di un periodo che non esisteva più, ponendolo di fronte a dubbi esistenziali… che sarebbero stati esplorati per molti anni a venire.

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Jean Grey diventa Fenice Nera

da Uncanny X-Men n.100/137, di Chris Claremont, Dave Cockrum e John Byrne

La copertina di Uncanny X-Men 136Per gli X-Men può valere lo stesso discorso fatto per Devil. Anche loro un tempo erano una pecora nera della Marvel, addirittura ridotti solo a delle comparsate in serie altrui od oggetto di ristampe di vecchie storie. Fino al 1975, a Giant-Size X-Men, e alla Seconda Genesi di mutanti, che avrebbe dato il via negli anni successivi a una vera e propria invasione di serie, soprattutto a partire dagli anni ’90.

Il responsabile di questa rinascita fu lo sceneggiatore Chris Claremont, coadiuvato alla parte grafica inizialmente da Dave Cockrum e successivamente da John Byrne (che, ormai è storicamente accertato, non si limitò solo a disegnare). Il numero 100 segnò l’inizio di una trama a lunga gittata, come Claremont era abituato a fare: di ritorno da una missione nello spazio, Jean Grey sembrò sacrificare se stessa per salvare i suoi compagni di squadra dal difficile rientro nell’atmosfera terrestre.

Le storie e i personaggi messi in campo da Claremont

Invece rinacque, come Fenice, in possesso di formidabili poteri. Episodio dopo episodio, Claremont introdusse nuovi elementi quali il Club Infernale, Emma Frost, Sebastian Shaw e recuperò un nemico minore degli X-Men, Mastermind, il quale portò alla follia Jean con abili illusioni. Alla fine la ragazza cedette al “lato oscuro” e divenne Fenice Nera.

Ritenuta troppo pericolosa dall’Impero Shi’Ar, venne condannata a morte, ma alla fine fu lei stessa a suicidarsi dopo aver compreso quanto instabile e letale fosse diventata. Ma questo non fu che l’inizio di una nuova epopea, che avrebbe portato ai Giorni di un futuro passato. Nota a margine: abbiamo volutamente tralasciato le successive retcon e ci siamo basati sulla storia originale.

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La venuta di Galactus

da Fantastic Four n.48/50, di Stan Lee & Jack Kirby

La copertina di Fantastic Four 50I Fantastici Quattro sono stati i primi “supereroi con superproblemi” ideati dai due grandi artisti di cui abbiamo già parlato, ma erano anche la summa di quella che era (ed è) la grandeur dell’Universo Marvel, un mondo pieno di sfaccettature e territori sconosciuti.

Anche gli scettici dell’epoca capirono che Lee e Kirby facevano sul serio con la famosa trilogia della prima venuta di Galactus sulla Terra. Una storia simile oggi durerebbe un anno. All’epoca bastarono tre albi o meglio poche pagine alla fine del primo numero, l’intero secondo numero e metà del terzo, con lo spazio restante a fungere da prologo alla storia successiva, Questo uomo questo mostro.


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L’arrivo del gigante divorapianeti è annunciato dal suo araldo Silver Surfer, un personaggio totalmente ideato da Kirby, non previsto nella sceneggiatura iniziale, il quale pensò che una simile entità cosmica non potesse non annunciare la sua venuta.

La ribellione di Silver Surfer

Surfer viene temporaneamente debellato, ma Galactus rischia davvero di mettere la parola fine alla vita sulla Terra: ad impedirlo la ribellione di Surfer, conquistato dalle parole e dalle esortazioni di Alicia Masters, la fidanzata di Ben Grimm («Sei cieco come me?») e la minaccia del Nullificatore Assoluto, ritrovato dalla Torcia Umana dietro indicazione di Uatu l’Osservatore.

La prima bozza di sceneggiatura di Lee a Kirby fu lapidaria: «Mettili contro Dio»; nuovi dei erano sorti a sfidare i vecchi e questi erano i supereroi, cosa che sarebbe risultata ancora più chiara negli anni a venire.

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La notte in cui morì Gwen Stacy

da Amazing Spider-Man n.121, di Gerry Conway, Roy Thomas, Gil Kane e John Romita sr.

La copertina di Amazing Spider-Man 121, una delle storie della Marvel più memorabiliNel 1973 uscì una delle storie più controverse della Marvel, ancora oggi capace di generare discussioni. Dopo lungo dibattito, si è certi che l’ispiratore di tutto – il “mandante” – fu John Romita sr., la cui idea venne raccolta dal supervisore Roy Thomas e passata allo sceneggiatore Gerry Conway. Costui, allora ventunenne, non fece obiezioni: dopotutto era quasi un esordiente, che non poteva certo contestare una direttiva venuta dall’alto. Gil Kane infine diede vita con le sue matite in maniera magistrale al dramma.

Prima di questa storia, Peter stava per chiedere la mano di Gwen e rivelarle la sua identità segreta. Stan Lee lasciò questa eredità ai suoi successori, i quali però decisero di non seguirla, in quanto erano convinti che un Uomo Ragno sposato agli occhi dei lettori sarebbe apparso troppo “vecchio” (corsi e ricorsi storici) e non volevano ricorrere al classico espediente del “restiamo amici”.

Le varie morti della storia Marvel

Altro mito da sfatare è che Gwen non fu certo il primo personaggio dei fumetti vittima delle circostanze (e degli sceneggiatori). Tralasciando quei personaggi la cui morte è la causa scatenante della nascita dell’eroe (zio Ben ne è l’esempio perfetto), in anni precedenti altri personaggi erano rimasti vittime, sia in storie di guerra (i commilitoni di Nick Fury) che in battaglie supereroistiche (il padre dei fratelli Storm, una fidanzata di Iron Man, Janice Cord, e così via).

Ma Gwen era qualcosa di più: Gwen era sì la fidanzata storica dell’Uomo Ragno, era sì un personaggio molto amato dai lettori, ma soprattutto era la personificazione dell’innocenza, la vera ragazza della porta accanto. Quella ragazza che l’eroe di turno, non importa quanto grandi fossero le avversità, riusciva sempre a salvare. Secondo molti storici del fumetto, la storia della sua morte rappresentò la fine della Silver Age.

La lotta contro Goblin

La trama è nota: Goblin, Norman Osborn, recupera la memoria e decide di vendicarsi dell’Uomo Ragno, di cui conosce l’identità segreta. Si reca dunque nell’appartamento di Peter Parker, ma qui vi trova Gwen e la rapisce portandola sul ponte George Washington. L’Uomo Ragno si lancia al salvataggio, ma Goblin si libera della ragazza e, in uno sfortunato tentativo di rallentare la sua caduta con la ragnatela, l’Uomo Ragno le spezza accidentalmente il collo.

Anche se Goblin si autoaccusò dell’omicidio (imputando il tutto allo shock della caduta), uno snap aggiunto dal “perfido” Romita sr. non lasciò spazio a dubbi. Sì, questa storia fu un punto di non ritorno, un punto in cui si capì che i fumetti Marvel potevano osare, spingersi oltre le convenzioni fumettistiche. Ma fu anche l’inizio di un’epoca più oscura, che nella prima metà degli anni ’80 avrebbe trovato il suo terreno più fertile.

E comunque, più in generale, non sarà sfuggito che queste cinque pietre miliari (pur con le inevitabili differenze) sono state anche trasposte sul grande schermo: dopotutto se hai già una buona storia a disposizione, perché non sfruttarla?

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